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Styrofoam: la glitch music arriva dal Belgio

Styrofoam: la glitch music arriva dal Belgio


La prima volta che ho ascoltato “A thousand words”, l’ultima fatica di Styrofoam, ho avuto la stranissima sensazione che tutto ciò che era attorno a me diventasse di pongo e cominciasse a muoversi in stop motion, me compresa. E,  mentre ascoltavo l’album,  io prendevo sempre maggiore confidenza con quel nuovo mondo che avevo conquistato e del quale ero diventata architetto e protagonista nel tempo (e nello spazio) di appena undici tracce. Ho pensato, inoltre, che avrei voluto conoscere Styrofoam prima, magari da adolescente, quando il gusto per la musica si inizia a delineare e ci si inizia a schierare per l’uno o l’altro “genere” perché, a mio parere, ascoltarlo è nobilitante. “A thousand words”, in particolare, costituisce la sesta tappa del corposo viaggio artistico del belga Styrofoam, al secolo Arne Van Petegem, e rappresenta al tempo stesso la sua prima “vacanza da solo”, poiché con questo album ha abbandonato dopo sei anni l’etichetta berlinese Morr Music  ed ha scelto la Nettwerk  (etichetta, tra gli altri, di Ladytron), affidandosi alle mani esperte del duo californiano WAX LTD, Wally Gagel e Xandy Berry. L’allontanamento dalla Germania, tuttavia, non ha modificato strutturalmente lo stile musicale di Styrofoam, che rimane fedele al genere indietronic e, più in particolare, alla glitch music (lo strumento principe è sempre l’Ableton Live), ma lo ha arricchito di venature pop che rendono l’album piacevole da fruire sin dal primo ascolto. Anche l’atmosfera rimane fedele alla malinconia ovattata e placida di band come The Notwist, Electric President e Mùm, ex “colleghi” punte di diamante della Morr Music. Il vero cambiamento rispetto ai lavori precedenti consiste nella scelta di rendere la voce di Styrofoam complementare alla sovrastruttura elettronica minimalista e non più scarsamente esposta come in precedenza, al punto da arrivare a definire Van Petegem “un ragazzino timido che ha vergogna della propria voce”. Rimane, invece, la scelta delle collaborazioni che sono numerose e variegate, come quella di Jim Adkins dei Jimmy eat the world in “My next Mistake” (che prima dell’ultimo ritornello ricorda i primi Depeche Mode), o Erica Driscoll delle Blondfire in “No happy endings” (in stile vagamente Pet Shop Boys). Ma, a mio parere, le tracce che meritano più di tutte l’acquisto dell’album sono tre: la delicata After Sunset, Bright Red Helmet (ascoltatela una volta e ditemi se non vi rimane in testa il ritornello) ed, infine, il pezzo che dà il nome all’album, A thousand words, splendidamente nostalgica e lievemente autunnale, fresche note in questa torrida estate.