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«Non ho scelta: sono un ottimista» Intervista con Jean-Charles de Castelbajac
Jean-Charles de Castelbajac è inarrestabile. Nel mezzo delle sue molte partnership con MB+F, Airborne e HALL HAUS che spaziano dagli orologi all’arredamento, le sue installazioni al Centre Pompidou alla Sketch Gallery di Londra e le sue collaborazioni nella moda con Vetements e Rossignol, il leggendario designer francese si prepara a un progetto che rappresenterà il punto alto di una carriera lunghissima che di punti alti è costellata: creare tutti i costumi per la solenne cerimonia di riapertura di Notre Dame. Non male per il designer che, quarant’anni fa, registrò insieme a Oliviero Toscani il cult brand anni ‘80 Jesus Jeans. De Castelbajac è tornato di recente a Milano per l’apertura di una mostra in Triennale che Iceberg gli ha dedicato in occasione del cinquantenario del brand, apertura accompagnata da un libro che ripercorre l’intera storia dei coniugi-imprenditori Silvano Gerani e Giuliana Marchini, che fondarono il Gruppo Gilmar, e di come la signora Marchini, motore creativo dell’azienda, incontrò il giovanissimo Castelbajac e ne fece lo stilista del brand che sarebbe poi diventato Iceberg, parola scelta perché «era la stessa in tutte le lingue del mondo». La nascita del brand rappresentò sia l’avvento di un mondo della moda che guardava sempre di più oltre la formalità della sartoria e verso il tempo libero e il ready-to-wear, vera rivoluzione di quegli anni, ma anche un periodo storico in cui i grandi imprenditori tessili «avevano già capito cosa poteva fare la creatività inserita all’interno dell’industria». De Castelbajac ricorda quell’epoca con affetto: «Era un momento molto eccitante. In Italia c’erano Giorgio Corregiari, Walter Albini, Enrico Coveri e stava emergendo Gianni [Versace, ndr]. Per la mia generazione, venire in Italia era come essere un mercenario. Le industrie italiane erano molto protettive verso gli stilisti emergenti, venivamo trattati come Michelangelo al Vaticano. In Francia non avevamo questo trattamento».
Ora, De Castelbajac guarda quegli anni come dall’alto ma senza una nostalgia che nella sua personalità così esuberante non ha posto. «Del passato non mi manca niente», dice il designer, «ho vissuto una vita strepitosa, ho avuto modo di fare progetti a livelli altissimi, di lavorare con Lady Gaga e con il Papa, ma questa non è più la moda. La moda ora è un medium – un medium molto interessante». Quando gli domandiamo cosa sia cambiato ai suoi occhi De Castelbajac non ha dubbi: «Noi pensavamo a trasgredire, a inventare, a cambiare le regole, cambiare le idee di prêt-à-porter chic e di alta moda. C’era una relazione particolare tra creativi e industria che io ho vissuto e sui mi piacerebbe fare una mostra, per raccontare tutto quello che io ho fatto con le industrie italiane perché nello stesso momento in cui lavoravo per Iceberg, lavoravo anche per Tecnica, per Starpoint, per Ellesse –tutte aziende emergenti». Scorrendo le pagine del libro che Iceberg ha dedicato alla lunghissima tenure del designer, quest’energia è evidente: le maglie a intarsio che mescolavano l’iconografia di Snoopy alle frasi di Amleto, le campagne che riunivano i volti più interessanti della pop-culture, la relazione con il mondo hip-hop e il dialogo con fotografi leggendari come David LaChapelle e Glenn Lunchford. Passando al mondo di oggi, però, De Castelbajac ammette che «la realtà della produttività e del marketing ora è diversa. Credo che il marketing sia morto Non è più il tempo delle “cinque P”: prodotto, prezzo, posizionamento, pubblicità e persone. Ora è il tempo delle “cinque E”: emozione, esperienza, ecologia, e-commerce e entertainement. Queste “cinque E” hanno cambiato tutto. Oggi non si vende più: si deve far vivere un’esperienza alla gente, si deve far vivere un’emozione».
C’è più spazio che mai per l’innovazione: bisogna essere innovativi per la pace, innovativi per l’ecologia, per l’accessibilità, per le risorse umane – Le ispirazioni devono essere nel futuro della società C’è più spazio che mai per l’innovazione: bisogna essere innovativi per la pace, innovativi per l’ecologia, per l’accessibilità, per le risorse umane – Le ispirazioni devono essere nel futuro della società
Viene spontaneo domandarsi se questo designer dall’immaginazione così esuberante e giocosa veda oggi possibilità di un momento di rottura. «Mais bien sur! Lo abbiamo avuto un poco con il Covid, perché la gente è stata isolata e ha sviluppato un altro tipo di conoscenza ecologica di cui c’era assolutamente bisogno», spiega De Castelbajac. «Un creativo oggi non deve avere una proposta di moda, ma sociale ed emozionale. Ma c’è più spazio che mai per l’innovazione: bisogna essere innovativi per la pace, innovativi per l’ecologia, per l’accessibilità, per le risorse umane – è là che sono le ispirazioni. Oggi le ispirazioni devono essere nel futuro della società, non più nelle donne di Hollywood». Ma sul piano dei designer? De Castelbajac segue la scena emergente francese con interesse e, su tutti, fa due nomi: «Jeanne Friot, che ha fatto il costume d’argento per i Giochi Olimpici [quello ispirato a Giovanna D’Arco, ndr], e Weinsanto. Ma abbiamo tantissimi creativi emergenti». Più che a una moda esteticamente migliore, De Castelbajac sembra credere a una moda più buona che guarda non solo a cosa si fa ma a come lo si fa. «Non ho scelta: sono un’ottimista, io sono un porta-stendardo dell’ottimismo. Il mio lavoro è anche l’arte di vedere il bicchiere mezzo pieno», spiega il designer per cui innovare la moda e, in senso più lato, il costume significa soprattutto essere capaci di sognare un futuro migliore per il mondo intero, mettendo in pratica dei principi il cui scopo è molto più vasto del semplice abbigliamento o dei trend. «A me interessa la storia», dice il designer riferendosi alla mania dell’archivio e della nostalgia che domina oggi le sfilate, «ma solo come esempio per il futuro. Bisogna mettere dell’elettricità nella storia». E come fare? «È l’energia che è importante. L’energia e la curiosità. Bisogna rimanere un fan tutta la vita. Un fan del talento, della creatività, della festa, della musica, del cinema, della letteratura».
Oggi non si vende più: si deve far vivere un’esperienza alla gente, si deve far vivere un’emozione Oggi non si vende più: si deve far vivere un’esperienza alla gente, si deve far vivere un’emozione
CREDITS:

Photographer Alessio Keilty 
Interview: Lorenzo Salamone