Barbie, Oppenheimer e il cinema al servizio della moda
Cosa ci insegna il successo dei film di Greta Gerwig e Christoper Nolan
26 Luglio 2023
Che la moda e il cinema siano sempre più legati non è certo una novità. Dentro e fuori i red carpet le celebrities sono ormai gli endorser prediletti dai grandi brand di moda, scelti con il compito di avvicinare al grande pubblico quel mondo che altrimenti sarebbe irraggiungibile per molti. Per capirlo basta pensare all’ansia spasmodica con cui seguiamo gli Oscar solo per giudicare i look delle star presenti alla cerimonia, ma anche all’impatto che lo sciopero degli sceneggiatori e degli attori avrà sull’industria della moda da qui ai prossimi mesi. Un rapporto strettissimo appunto, ma che coinvolge il pubblico e gli osservatori in maniera passiva, spettatori inermi di una parata di star con indosso outfit le cui cifre farebbe girare la testa a molti di noi. Ma cosa succederebbe se il cinema trovasse un ruolo attivo nel mondo della moda?
Qualcosa di simile l’avevamo vista lo scorso anno, quando l’uscita in sala di Minions 2 - Come Gru diventa cattivissimo aveva dato vita a quel fenomeno social ribattezzato dei “Gentleminions”, orde di giovani tra i 13 e i 17 anni che affollavano i cinema americani per guardare il film Dreamworks vestiti rigorosamente con giacca e cravatta. Se all’epoca il tutto si era tradotto soprattutto in un fenomeno social, il recente Barbienheimer ha avuto un impatto ben diverso dentro e fuori le sale cinematografiche. Se così come con Minions anche i film di Greta Gerwig e Christopher Nolan hanno portato nei cinema migliaia di persone vestite a tema, quello che i due film sono riusciti a fare in più è stato smuovere i desideri e i bisogni di consumo di chi in sala forse non c’è nemmeno stato. Come riportato da The Guardian, per il department store John Lewis l’uscita di Oppenheimer ha coinciso con un aumento del 21% nelle vendite di fedora, mentre l’azienda londinese Herbert Johnson ha visto una crescita nelle richieste della fascia demografica più giovane. Se l’idea di volersi vestire come il padre della bomba atomica non è sicuramente allettante, parte del merito di questo improvviso interesse per l’abbigliamento del fisico americano va alla costume designer Ellen Mirojnick. «Vedo Oppenheimer come una rock star» ha detto al The Guardian. «Era molto attento al suo aspetto. Era memorabile. Incarnava la forza della comunicazione come nessun altro.» Ma se rendere il personaggio interpretato da Cillian Murphy cool è stato un processo lungo e complesso - al punto che Nolan e Mirojnick hanno coinvolto tre diversi artigiani prima di trovare quello capace di creare il fedora perfetto, quando fatto da Warner Bros.con Barbie è probabilmente senza precedenti.
In un articolo pubblicato su TheWrap, Jeremy Fuster racconta il dietro le quinte di quella che internamente era stata ribattezzata “Operation Barbie Summer”, una campagna promozionale iniziata lo scorso gennaio e arrivata a coinvolgere oltre 22 diversi brand di moda, da Zara a Balmain. «Il nostro obiettivo era mostrare a tutti che 'Barbie' era più di un semplice film con Barbie» ha detto il co-presidente del gruppo della Warner, Michael De Luca descrivendo il processo che ha trasformato un semplice film in un fenomeno di costume capace di avere un impatto reale sui consumi nella moda. Secondo Stileo i click sui prodotti con il tag “Barbie” presenti sulla piattaforma hanno registrato un aumento del 450% nelle ultime settimane, mentre negli ultimi sette giorni gli utilizzi del “rosa” come filtro colore hanno registrato un aumento del 9.1% in tutte le categorie di moda. Il Barbiecore, come è stato ribattezzato fin dalla sua nascita, non è certo un’invenzione della Mattel e del team Warner, ma anzi affonda le sue radici in qualcosa che già esisteva de tempo - qualcuno ha detto Valentino Pink PP Collection? - riuscendo però a renderlo pop e di pubblico interesse. Ma se il successo di Greta Gerwin può essere considerato un toccasana per l’industria della bambole, destinata a raggiungere i 14 miliardi di dollari entro il 2027, questo può essere considerato anche con un esempio virtuoso di collaborazione tra moda e cinema, un rapporto costruttivo tra due mondi che spesso si limitano a scambiare tra di loro solo il superfluo e che invece, in un momento di difficoltà reciproca, avrebbe tutti i mezzi per essere uno il sostegno economico dell’altro.