La stagione dei grandi revival
A Milano e a Parigi i grandi nomi della moda del passato stanno tornando
11 Febbraio 2022
La storia della moda è una storia di corsi e di ricorsi – e proprio come i trend della moda vanno e vengono, anche i grandi brand di moda vivono strane esistenze. Sfogliando una vecchia edizione di Vogue, diciamo degli anni ’80, il lettore moderno potrebbe trovarsi di fronte a nomi di grandi brand che, oggi, non godono della stessa notorietà. Proprio quei brand, però, quest’anno sono tornati o stanno per tornare: se in Francia questa stagione dei grandi revival è iniziata nel corso della pandemia e raggiungerà la piena velocità con la prossima fashion week, anche in Italia le case del passato stanno riscoprendo gli archivi e trovando nuovi e giovani direttori creativi che le portino al passo col presente. Senza dubbio uno dei revival più attesi di febbraio è quello di Trussardi, brand ultracentenario che negli anni ’80 fu portato in auge da Nicola Trussardi e che mantenne il suo successo negli anni pur diluendo la propria forza nei mille rivoli delle sue diffusion lines; un altro grande ritorno annunciato negli scorsi giorni è quello di Balestra, maison de couture di Roma che negli anni ’60 vestiva il jet-set e le case reali di mezzo mondo ma poi progressivamente scomparsa sullo sfondo di un’industria che non sta mai ferma. Lo stesso, negli anni scorsi, è avvenuto con Patou e Courregés a Parigi seguendo l’imprinting di Daniel Rosenberry da Schiapparelli, la cui rinascita vera e propria iniziò solo nel 2019.
L’industria della moda ha una maniera tutta sua di decretare la vita o la morte di un marchio. La morte di un brand, apparente o meno che sia, è spesso una sorta di “morte civile”: i brand rimangono in vita ma, dopo anni, e spesso a causa della politica del licensing selvaggio degli anni ’80 e ’90, i loro prodotti scivolano sempre più verso i gradini più bassi della piramide del retail. Pierre Cardin, Angelo Litrico ed Enrico Coveri sono tutti esempi di storici brand di moda mid-century che sono noti ai Millennial per prodotti slegati dalla loro vera legacy sartoriale e dal loro autentico ruolo nella storia della moda – colpa del licensing ma anche di un difficile adattamento alle nuove impostazioni dell’industria della moda. Qualcosa di simile era successo anche ad Halston, brand tecnicamente in vita riaffacciatosi agli onori della cronaca solo dopo il successo dell’omonima serie Netflix. Patou, Courregés, Trussardi e Balestra hanno basato il loro revival sull’arrivo di una nuova guardia e non è un caso che questi revival siano avvenuti cavalcando l’onda della responsabilità sociale e della nuova e contemporanea direzione creativa – una perifrasi per indicare l’arrivo di designer nuovi ed eccitanti alla guida di brand scomparsi da anni dalle passerelle.
Questo revival è spesso e volentieri avvenuto nell’ambito di una sovrastruttura industriale più ampia: Patou ha avuto alle spalle l’onnipotente gruppo LVMH, Courregès ha avuto il gruppo Artemis che è proprietà dei Pinault di Kering, Trussardi ha avuto il fondo QuattroR. Balestra, che parteciperà alla Milan Fashion Week il prossimo 24 febbraio, sta invece basando il suo «reloading» sulle proprie forze – cosa che comunque ha senso considerato come il suo atelier non si sia mai veramente fermato, firmando look visti sul red carpet dell’ultimo Festival di Venezia. In generale comunque si può dire che, basandosi sull’esempio di Schiapparelli ma anche sui primi passi di Patou e di Courregés, negli ultimi anni sia i CEO che i creativi della moda hanno scoperto che le grandi maison del passato costituiscono in realtà degli ottimi spazi di costruzione e ricostruzione proprio in ragione dell’oblio in cui sono cadute.
Il nome di questi giganti commerciali del passato conserva ancora l’antico prestigio e dunque nasconde ancora grandi opportunità commerciali, oltre che grandi possibilità per i loro direttori creativi di operare in una sorta di safe zone, ottenendo grande successo nella maggior parte dei casi: Daniel Rosenberry, Nicolas Di Felice, Guillame Henry hanno trovato fama e fortuna diventando i protagonisti dei revival dei brand di cui sono alla guida – e i bookmaker della moda prevedono che lo stesso accadrà a Serhat Işık e Benjamin A. Huseby con Trussardi, considerato il crescente successo riscosso da GmbH dai tempi dell’esordio nel 2017. La parte più interessante dell’intero processo è che il format del revival di un brand storico è una sorta di win win per cui, da un lato, si dà modo a nuovi creativi di fare sentire la propria voce e, dall’altro, si impedisce che l’heritage costruito in anni di duro lavoro dai fondatori di quegli stessi brand non vada sprecato nell’incuria, assicurando dunque un senso di continuità a tutte le parti dell’industria della moda.