I sogni elettrici di Raf Simons per la collezione FW21
"Come idee disparate possono trovare una sinergia, una calma"
25 Marzo 2021
È andata in scena ieri la sfilata di Raf Simons per la collezione FW21. Ancora una volta uno show digitale, ancora una volta sfilata co-ed. Lo show è stato filmato al Barenzaal di Genk, una ex-miniera di carbone piena di antichi macchinari a metà fra il set di Metropolis e quello de The Rocky Horror Picture Show. Si è trattato di una sfilata speciale: Simons ha infatti rivisitato i grandi classici del proprio design (l’oversize, la decostruzione, i colletti da polo, gli orecchini singoli etc.) ma con una calma creativa nuova – il risultato è forse la collezione di Simons più equilibrata finora, in cui vengono abbandonate grafiche e applique e si è favorito un approccio al design che è cerebrale da un lato, con i suoi mille dettagli di costruzione e ricostruzione, ed estremamente tattile dall’altro. Il focus della collezione sono stati certamente i volumi comunicati tramite il layering e il lavoro sull’outerwear – con una categoria nuova (e che quasi sorprende non sia stata esplorata prima) rappresentata dai giubbotti trapuntati oversize.
I temi che hanno dominato la sfilata e i suoi 54 look sono stati esposti da Simons nelle sue show notes attraverso sei parole: Atarassia, Devozione, Alleanza, Sincronia, Dicotomia, Equanimità. Il primo e l’ultimo di questi termini vengono dal vocabolario dello stoicismo e indicano uno stato di filosofica indifferenza alle ingerenze del mondo esterno, “Devozione” e “Alleanza” si riferiscono all’attaccamento che Simons prova verso le sue ossessioni creative, mentre “Sincronia” e “Dicotomia” si riferiscono a queste stesse ossessioni: divise e separate fra loro ma unite da un filo di invisibili coincidenze. Come il designer scrive nelle sue note:
La collezione riguarda le cose che amo - cose che ho sempre amato, che sono sempre lì in ogni collezione, nei processi dietro di essa e nei vestiti. È una miscela di idee diverse […]. La collezione riguarda la maniera in cui idee disparate possano trovare una sinergia, una calma.
Questa sinergia e questa calma sono date dall’identità che unifica: la stabilità del self è la fonte di atarassia ed equanimità e ciò che dà senso alle varie idee e suggestioni è lo stesso Raf Simons che si riscopre in una collezione che è insieme un'ode al suo stesso immaginario ma un passo avanti rispetto allo stesso. La stessa musica dei Kraftwerk, gruppo citato in innumerevoli occasioni, di cui il designer stesso ammette l’enorme influenza è un’ulteriore chiave di lettura: "La loro musica ha definito me stesso e il mio lavoro – è elettronica e tecnologica, eppure ha sempre un cuore umano". Un altro riferimento alla filosofia stoica è stato il dettaglio più interessante e forse geniale della sfilata: un gioiello a forma di mano di teschio (il termine tecnico è sleeve garter, un accessorio degli anni ’20) che ha la doppia funzione di trattenere le volute della maglieria oversize e di simboleggiare il memento mori – in una maniera assai simile a come il tema è rielaborato nell’Autoritratto con la morte di Arnold Böcklin custodito a Berlino.
Ultimissima considerazione va ai materiali utilizzati. Prima ancora che essere una powerhouse di riferimenti culturali, infatti, Simons è un manipolatore e un tecnico della materia. La costruzione e il lavoro sui tessuti sono sempre al centro dei suoi show e qui hanno preso il posto che meritavano sotto i riflettori: in questo senso il look più emblematico è il diciassettesimo, una sorta di mantello in morbidissimo fleece accostato ad un paio di pantaloni oversize rosa (Simons ha parlato dell’oversize come a una maniera di far superare agli abiti il concetto di genere) con scarpe nere. Ma i maglioni-tuniche con intarsi di altri pattern e la particolarissima camicia oversize bianca apparsa alla fine dello show (che unisce un colletto di taglia normale a una costruzione e a un drappeggio alquanto teatrali) sono tutte testimonianze di un lavoro sottile e del tutto ingegnoso.