I locali notturni e le discoteche sono stati epicentri di cultura contemporanea. Nel corso del ventesimo secolo hanno messo in discussione i codici prestabiliti del divertimento e dello stare insieme e hanno permesso di sperimentare stili di vita alternativi. Al loro interno si incontrano le manifestazioni più d’avanguardia del design, della grafica e della moda, luci, suoni e effetti speciali per creare un moderno Gesamtkunstwerk.
Il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato ha deciso di intraprendere un viaggio attraverso la club culture di ieri e oggi, in una retrospettiva prodotta dal Vitra Design Museum e ADAM – Brussels Design Museum, che arriva al Pecci come unica sede italiana. Night Fever. Designing Club Culture 1960 – Today esamina la storia del clubbing, con esempi che vanno dai locali notturni italiani degli anni Sessanta creati dai membri del gruppo dei Radicali al leggendario Studio 54 di Ian Schrager a New York (1977-80); da Les Bains Douches di Philippe Starck a Parigi (1978) al più recente Double Club di Londra (2008), ideato dall'artista tedesco Carsten Höller per la Fondazione Prada.
Con
film,
fotografie d'epoca,
manifesti,
abiti e
opere d’arte, la mostra comprende anche una serie di
installazioni luminose e sonore che accompagneranno il visitatore in un viaggio affascinante attraverso il mondo del glamour, delle sottoculture e della ricerca nella notte che non finisce mai.
La mostra segue un percorso cronologico che prende avvio con le discoteche degli anni Sessanta, che per la prima volta trasformano il ballo in un rito collettivo da officiare in un mondo fantastico fatto di luci, suoni e colori in cui immergersi. Vi sono i luoghi della subcultura newyorchese, quali l’Electric Circus (1967), progettato dall’architetto Charles Forberg e dal famoso studio Chermayeff & Geismar, che con il suo carattere multidisciplinare influenzò anche i club europei, tra cui lo Space Electronic a Firenze (1969) concepito dal collettivo Gruppo 9999, une delle discoteche nate dalla collaborazione con i protagonisti dell’Architettura Radicale italiana. Tra questi si annoverava anche il Piper (1966) di Torino, lo spazio multifunzionale concepito da Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso, che con i suoi mobili modulari non solo faceva ballare, ma si prestava ottimamente anche per concerti, happening e teatro sperimentale. Il Bamba Issa (1969), una discoteca toscana sulla spiaggia di Forte dei Marmi ideata dal Gruppo UFO, era essa stessa un teatro dell’arte: qui tutto l’interior fungeva da palcoscenico. Nei tre anni di esistenza, ogni estate veniva trasformata secondo un nuovo tema.
Negli
anni Settanta, con l’ascesa della
disco music la cultura dei club ebbe nuovo impulso. Il dancefloor offriva un palcoscenico per performance individuali e collettive, creatori di moda come
Stephen Burrows o
Halston fornivano gli abiti giusti per uno stile sfavillante. Lo
Studio 54, aperto a New York da Ian Schrager e Steve Rubell nel 1977 e con gli arredi firmati dall’architetto Scott Romley e dal designer d’interni Ron Doud, divenne un luogo d’incontro molto amato dagli idoli del culto delle celebrità, allora ai primordi. Soltanto due anni dopo, il film
Saturday Night Fever segnò il culmine della commercializzazione del movimento disco. È bene ricordare però che l’anima della disco music non è mainstream: nata in club e bar frequentati dalla comunità LGBTQ+ e nera ma anche latinoamericana, marginalizzate dalla maggioranza bianca e eterosessuale, si sviluppò in modo assolutamente politicizzato e con una forte connotazione sociale come un
fenomeno underground, poi traghettato attraverso locali come il Paradise Garage – gay club che per primo rompe le regole della discriminazione razziale − verso la cultura di massa. Non a caso, i contro-movimenti come quello culminato con la
Disco Demolition Night di Chicago (1979) diedero voce a tendenze reazionarie, in parte caratterizzate da omofobia e razzismo. Contemporaneamente, discoteche come il Mudd Club (1978) o l’Area (1978) di New York, fondendo vita notturna e arte, offrivano nuove opportunità ai giovani artisti emergenti: fu in questo scenario che ebbero inizio le carriere di
Keith Haring e
Jean-Michel Basquiat.
Intanto, nei club londinesi come
Blitz e Taboo, con i
New Romantics nacquero un nuovo stile musica e una nuova moda. Tra i clienti più affezionati vi erano i gestori del Kinky Gerlinky, Michael e Gerlinde Costiff, e la stilista
Vivienne Westwood. A Manchester l’architetto e designer Ben Kelly progettò una cattedrale del rave postindustriale,
Haçienda (1982), cofinanziato, tra l’altro, dalla band britannica New Order. Da qui l’acid house, un sottogenere della musica house, partì alla conquista della Gran Bretagna. House e techno, nate nei club di Chicago e Detroit, possono essere indicati come gli ultimi due grandi movimenti della dance music, che hanno caratterizzato un’intera generazione di club e raver. Lo stesso vale anche per la scena berlinese dei primi anni Novanta, dove discoteche come
Tresor (1991) diedero nuova vita a spazi abbandonati e deteriorati, scoperti dopo la caduta del muro. Anche il
Berghain, aperto nel 2004 in una vecchia centrale termoelettrica, dimostra che una scena disco vivace si sviluppa soprattutto dove ci sono gli spazi urbani necessari.
Dagli anni 2000, lo sviluppo della club culture si è fatto più complesso: da un lato è in forte ripresa e in continua espansione, appropriata da marchi e festival di musica globali, dall’altro, molti club sono spinti fuori dai contesti urbani o sopravvivono come tristi monumenti di un passato edonistico.
A completare la struttura cronologica della mostra troviamo un’installazione musicale e luminosa, una silent disco che catapulta i visitatori nella movimentata storia della club culture. Una raccolta selezionata di copertine di dischi, tra cui i disegni di
Peter Saville per Factory Records o la copertina programmatica dell’album
Nightclubbing di Grace Jones, sottolinea infine le importanti relazioni tra musica e grafica nella storia delle discoteche dal 1960 a oggi.
NIGHT FEVER. DESIGNING CLUB CULTURE 1960 – TODAY una mostra di Vitra Design Museum e ADAM – Brussels Design Museum. Dal 07.06 al 06.10.2019 presso il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, Viale della Repubblica 277, 59100, Prato.