Il 2025 darà il colpo di grazia al mondo del clubbing?
C’è una crisi strisciante che sta lentamente strangolando le discoteche europee
15 Gennaio 2025
I nightclub sono stati al centro della cultura europea per decenni in quanto spazi di espressione, di connessione e di evasione. Dai magazzini industriali di Manchester e Berlino alle discoteche glamour di Milano, queste location rappresentavano la ribellione giovanile, la sperimentazione creativa e l’innovazione musicale. Oggi, però, i dancefloor di tutto il continente sono sempre più vuoti, alcuni dei locali più leggendari stanno chiudendo e un intero movimento culturale si trova di fronte a un futuro incerto. L’epicentro di questa crisi sembra essere il Regno Unito - un tempo centro globale della musica elettronica. Come riportava Euroweekly News già lo scorso ottobre, secondo la Nighttime Industries Association (NTIA) il Regno Unito ha perso il 37% dei suoi nightclub in soli quattro anni: nel 2013 c'erano 1.700 locali attivi nel paese, nel 2024 quel numero era sceso a meno della metà, con soli 787 locali rimasti. Se le tendenze attuali continueranno, ha detto l’associazione, i nightclub nel Regno Unito potrebbero scomparire del tutto entro il 2030. Un declino che non è attribuibile a una singola causa ma a una combinazione di pressioni economiche, culturali e normative. I costi in aumento, in particolare gli affitti e le spese operative, hanno lasciato molti locali in difficoltà economica. La crisi del costo della vita ha aggravato il problema poiché le giovani generazioni (ovvero la demografica più interessata al clubbing) non possono più permettersi una serata fuori. Studenti e giovani professionisti che in passato frequentavano regolarmente gli eventi infrasettimanali ora considerano il clubbing un’occasione rara piuttosto che un’abitudine regolare. Ma la questione è più profonda della semplice economia – è la cultura che sta cambiando.
Da un punto di vista statistico, la Gen Z consuma molto meno alcol rispetto a quelle precedenti. Le stime del The Guardian, ad esempio, suggeriscono che quasi un terzo dei giovani ora si astiene completamente dal bere, un calo dei consumi che ha impattato il modello economico tradizionale dei nightclub, da sempre basato sulle vendite al bar per integrare i ricavi dei biglietti. I danni si sono già cominciati a sentire l’anno scorso: il fallimento della catena di nightclub Rekom UK, che gestiva insegne come Pryzm e Atik, ha portato alla chiusura di diciassette locali in tutto il Regno Unito, inclusi alcuni dei più grandi nelle città di Leeds, Plymouth e Nottingham lasciando un vuoto nella nightlife che i piccoli locali boutique faticano a colmare. Una moria tanto grave che anche uno dei consiglieri del sindaco di Manchester ha chiesto interventi come riduzioni fiscali e un’estensione delle agevolazioni sugli affitti per dare ai club in difficoltà una possibilità di sopravvivere.
we need to bring back clubbing culture! the gym is way too packed for a friday night
— not jenna (@jeennaa) November 9, 2024
Il problema è esteso anche alla capitale del clubbing europeo, Berlino, patria di locali come Berghain, Tresor e Watergate, che però sono stati anch’essi colpiti dalla crisi. Come racconta Financial Times, il Watergate, uno dei locali più famosi di Berlino, ha annunciato la sua chiusura alla fine del 2024, citando affitti insostenibili e un calo del turismo. La gestione del club ha lamentato che «i giorni in cui Berlino era inondata di visitatori amanti dei club sono finiti». Anche l’aumento dei costi e normative più rigide sulle licenze hanno reso sempre più difficile per i club operare. Molti ora devono affrontare denunce per rumore da parte di residenti in nuovi complessi abitativi, il che ha ridotto ulteriormente la loro capacità di restare aperti. Provando a moderare i toni disfattisti, Marcel Weber, presidente della Berlin Club Commission, ha descritto questo fenomeno più come una trasformazione che come un declino, citando la nascita di nuovi locali come RSO Berlin e eventi come Rave the Planet - una rivisitazione della storica Love Parade.
Anche l’Italia offre un esempio particolarmente netto di come i cambiamenti demografici e culturali stiano trasformando la vita notturna. Secondo un’inchiesta di Repubblica circolata largamente negli scorsi mesi, dal 1990 il Paese ha perso più della metà delle sue discoteche. Negli ultimi quattordici anni oltre 2.100 locali hanno chiuso i battenti, sostituiti da supermercati, banche e altri spazi commerciali. Il declino delle discoteche italiane è legato al calo della popolazione giovanile. Tra il 1983 e il 2006, l’Italia ha registrato un calo del 46% della sua demografia giovane, un cambiamento demografico che ha avuto un impatto profondo sulla domanda relativa al clubbing poiché ci sono semplicemente meno giovani a riempire le piste da ballo. Culturalmente, i giovani italiani stanno abbandonando l’esperienza tradizionale della discoteca in favore di alternative sociali: ristoranti di lusso che si trasformano in spazi per feste notturne, come Bullona e El Porteño a Milano, stanno diventando sempre più popolari mentre nel frattempo si diffondono i listening bar. Questi locali offrono esperienze più curate, rivolgendosi a una clientela più abbiente che vuole evitare il caos dei club tradizionali. Il caso che possiamo notare in Italia, comunque, è quello di una frammentazione della scena: le serate a tema queer di Milano come quelle del Rocket attirano ancora una gran folla di giovani che ne fanno una scena culturale vera e propria; c’è poi il mondo delle serate techno, che ruota intorno a luoghi come il Gatto Verde, Fucine Vulcano e Buka, ma anche circoli come Amelia e Masada, anch’esso dotato della sua subcultura.
Quello che sembra essere cambiato e soprattutto quello che sembra essere in declino è il format della discoteca anni ’80 di cui anche Max Pezzali lamenta la scomparsa nella sua Discoteche abbandonate. Se un tempo lo stesso club accoglieva diversi target di pubblico, oggi il format generico della “discoteca generalista” e del tipo di esperienza che questa offre è decisamente scaduto. Al di là del tipo di pubblico che frequenta un certo locale, le discoteche più classiche risultano troppo affollate con lunghe file all’ingresso, ai bar e ai guardaroba; risultano troppo costose dato il bisogno di pagare qualcosa praticamente a ogni step e, infine, risultano insipide data la genericità della propria offerta. E se è forse banale sottolineare che il pubblico queer più giovane cerchi spazi più sicuri e specifici alla propria comunità, rimane notevole come sui social la rave culture possieda una sua rappresentazione/narrazione ultra-settoriale che di recente ha iniziato a produrre i suoi meme e persino i propri brand di abiti come nel caso di Feral Clothing e 44 Label Group, oltre che a possedere una propria etiquette sociale e persino una propria “uniforme”, fatta di look shirtless, top da bikini indossati con cargo baggy, borsette e marsupi, pantaloni camouflage e dettagli vagamente fetish. Forse converrebbe dare ragione a Marcel Weber: il clubbing non sta morendo, si sta solo trasformando.