The New Yorker e il merch dei magazine
La storica rivista americana è diventata ormai un cult brand
27 Novembre 2020
The New Yorker, storica rivista americana fondata nel 1925, ha da poco lanciato all'interno del suo web store nuovi item, che costituiscono un vero e proprio merch. Accanto infatti alle classiche stampe con la riproduzione di disegni e storiche copertine della rivista, si trovano ora T-shirt, cappellini, felpe, calzini, beanie, body per bambini, ma anche tazze, matite, carte da gioco e taccuini, tutti decorati dall'iconico logo della testata. La nuova collezione del magazine racchiude tutta la sua vocazione fashion, costituita da item basici e semplici, accanto ad oggetti per la casa che non possono mancare sulla scrivania dei lettori più fedeli.
L'idea del merch è stata sviluppata da Nicholas Blechman, creative director del magazine, che ha dichiarato: "Vogliamo coinvolgere all’interno del progetto l’arte che contraddistingue il nostro magazine. Vorremmo chiedere a fumettisti e illustratori cosa amerebbero fare”, riferendosi al sodalizio che unisce la rivista ad artisti, illustratori, e fumettisti, parte integrante della pubblicazione.
La rivista vanta da tempo una sezione di e-commerce sul proprio sito, dove fino ad ora erano in vendita poster e disegni incorniciati delle copertine dei numeri più famosi, ma un merch vero e proprio rappresenta una novità. Si tratta di una mossa inedita - ma non totalmente inaspettata - da parte della rivista di culto, che ha deciso di monetizzare proprio sul suo cult status, dopo il successo travolgente della tote bag logata della rivista, realizzata un paio di anni fa.
Secondo quanto riporta uno studio realizzato da Alliance per Auditel Media, il 2020 ha visto un declino di pubblico e inserzioni pubblicitarie di circa il 40%, una flessione che è andata a colpire in particolare le testate del settore moda, mentre le pubblicazioni legate al mondo della politica, dell'attualità, della cultura, hanno visto crescere il proprio pubblico. Rientra in questo quadro proprio The New Yorker, che a differenza di altre testate appartenenti anch'esse al gruppo Condé Nast, ha registrato un aumento di audience del 16% con un traffico web in crescita del 23%. Secondo quanto riporta WWD, il paywall che The New Yorker ha introdotto nel 2014 frutta circa 120 milioni di dollari alla rivista.
Come già accaduto in altri settori, la pandemia ha accelerato dei cambiamenti già in atto. Da una parte l'evoluzione contenutistica che ha interessato The New Yorker negli ultimi anni, che si è aperto sempre di più a temi di attualità - come la brutalità della polizia, le elezioni presidenziali e la pandemia - ha incontrato il gusto e gli interessi dei lettori, soprattutto in un momento storico come questo, come confermato anche dal successo di The Atlantic. Dall'altra, l'ormai inefficacia delle inserzioni pubblicitarie ha costretto giornali e riviste a mettersi alla ricerca di nuove modalità modi di guadagno, un problema in parte ovviato con l'introduzione di paywall, con la creazione di newsletter verticali dedicate a specifici argomenti a cui ci si può abbonare, o contenuti branded che mixano la narrazione classica della rivista alle esigenza del cliente.
In questo quadro, quindi, il merch creato dal New Yorker è un plus, un'ulteriore affermazione della propria fama e del proprio successo, non un modo per supplire a problemi di bilancio. Come dimostrato anche dal successo della tote bag, un nuovo pubblico di lettori (e fashionisti) ha visto nei prodotti della rivista un modo per affermare la propria identità, la propria cultura, il proprio essere hip. The New Yorker sa di essere ormai un brand, di rappresentare uno spaccato di pubblico ben preciso, colto, informato, democratico, che sa di esserlo (o aspira ad esserlo) e ama sfoggiarlo. La rivista diretta da David Remnick racchiude in sé un immaginario e una narrazione per certi versi aspriazionali, a cui anche chi non ha mai letto la rivista vuole appartenere.