C’è un problema con il merch dei rapper italiani?
C'entrano la qualità dei prodotti e i loro design
10 Agosto 2022
La moda e il mondo dell'hip hop sono ormai da tempo due ambienti intrecciati, che si influenzano a vicenda. Gli artisti ne sono coinvolti, i loro dischi lo stesso, la promozione di quest'ultimi non è da meno. Se in passato eravamo cresciuti con l'idea che il merch di un cantante si limitasse a quello venduto sulle bancarelle fuori dai concerti, oggi le cose sono cambiate in modo radicale. Ovviamente tutto è cominciato negli Stati Uniti quando Kanye West, in occasione dei suoi primi album, stringeva collaborazioni con BAPE e Fragment Design rendendo così esclusivissime - e ricercatissime nel mondo del resell - le t-shirt pensate per la promozione dei suoi dischi e dei suoi tour. Da lì si è partiti per arrivare al merch ispirato da Riccardo Tisci per il tour di Watch The Throne, o ai design ideati da Virgil Abloh per le hoodie e le tee del merch del tour di Birds in the Trap Sing McKnight di Travis Scott. Era finito il tempo in cui i fan si limitavano ad ascoltare i loro artisti preferiti: ora volevano anche vestire i loro abiti.
Dal canto loro, i rapper italiani hanno sempre avuto il loro merchandising senza però puntarci in modo consistente. In passato, ad esempio, abbiamo avuto la maglia "Io odio Fabri Fibra", ma è stato con l'esplosione della trap che nomi come Sfera Ebbasta e Ghali hanno iniziato a guardare con interesse il mercato del merchandising e le possibilità che offriva. Così sono nate BHMG e STO Clothing, senza dimenticare le partnership con KFC, Evisu e Benetton arrivate successivamente. Dal 2016 in poi fare una linea d'abbigliamento autoprodotta era diventato uno step fondamentale per ogni rapper in uscita con un nuovo disco, riflesso naturale dell'esplosione dello streetwear, che proprio in quel periodo vedeva il suo picco di massima fama. Oltre i nomi citati, anche altri rapper hanno deciso di puntare su linee di abbigliamento e merch: la Dark Polo Gang ha fondato il suo brand Triplo Sette Wear, mentre i membri della Lovegang avevano fatto lo stesso con l'omonimo brand. In tutto questo susseguirsi di maglie e hoodie, però, si nasconde quello che rimane ancora oggi un grande problema: il merch dei rapper italiani sembra sempre svogliato, in pochi casi davvero pensato per aggiungere qualcosa in più oltre quello di rappresentare l'album o il live di turno.
Ora come ora, il merch dei rapper italiani sembra essere tutto uguale con ispirazioni fin troppo palesi a quello dei colleghi americani. Un problema che non si limita al design, ma arriva fino alla qualità dei capi e ai prezzi, decisamente troppo alti. Ovviamente ci sono delle eccezioni, come con Mecna o la già citata Dark Polo Gang, che ha addirittura unito le forze con Kappa per alcuni drop in collaborazione. Casi isolati però, che ci fanno chiedere se i rapper italiani dovrebbero ripensare il loro merch. Domanda la cui risposta, inaspettatamente, è no. I numeri, di fatto, danno loro ragione, vista la velocità con cui vanno soldout gli item messi in vendita. Viene spontaneo pensare allora che per il pubblico italiano il merchandise di un rapper altro non sia che un cimelio da tenere come ricordo, da indossare al massimo per andare al concerto dello stesso artista. I fan si accontentano e i rapper non hanno bisogno di sforzarsi di più. Eppure questo dimostra come per la fanbase rap italiana, il merch di un rapper (italiano) non sia qualcosa che si possa prendere sul serio. Se va bene uscire il sabato sera con una hoodie di Travis Scott del tour di Astroworld, lo stesso evidentemente non si può dire per una maglietta del brand di Sfera Ebbasta. C'è evidentemente una falla nella narrazione dell'hip hop in Italia. Il dilemma è: dipende dagli artisti o dai loro fan?