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Come la moda vuole fare soldi con i resi

Articoli invendibili o deal irrinunciabili?

Come la moda vuole fare soldi con i resi Articoli invendibili o deal irrinunciabili?

L'industria della moda è da tempo alle prese con la sfida dei resi online: capi restituiti dai clienti che appesantiscono i costi operativi dei rivenditori, beni difettati che una volta restituiti non si possono più vendere, accessori comprati e rimandati indietro nel giro di pochi giorni. Una categoria che rappresenta una vera emorragia di denaro per brand e retailer. Ma ora c’è qualcuno che potrebbe aver trovato una maniera proficua di lucrare sui resi. Come riporta BoF, infatti, una nuova generazione di start-up e marketplace sta aiutando i brand a rivendere a prezzi scontati articoli leggermente danneggiati o restituiti per ridurre l'eccesso di inventario ed evitare gli sprechi. Il problema è uno dei tanti che affligge la moda. Secondo Loop Returns, infatti, il tasso di reso per abbigliamento, calzature e accessori è pari al 26% — il più alto tra le categorie di consumo. Nel 2023, il 18% di tutti gli ordini online negli Stati Uniti è stato restituito, in aumento rispetto al 17% del 2022, secondo i dati della National Retail Federation (NRF). Per mitigare l'impatto finanziario, sono apparsi marketplace locali come Bazar che rivendono articoli restituiti con prezzi scontati, o piattaforme di gestione dei resi come Revive o Archive, che aiutano i brand a decidere se riciclare, donare o rivendere i prodotti e già collaborano con New Balance, The North Face o Sandro. Ma ora ci sono delle nuove piattaforme che fanno dei resi una merce a sé stante. Bazar, ad esempio, è un marketplace con un giro d’affari da un milione di dollari annui che consente ai brand di elencare articoli che non possono essere rimessi in vendita a prezzo pieno. Mentre Revive, che quest’anno ha fatto tre milioni di dollari in revenue e vuole arrivare ai cento milioni annui in cinque anni, offre ai brand la possibilità di rimettere a nuovo i resi per rivenderli attraverso i propri canali.

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Al di là degli sprechi, il problema dei resi per i brand è che costituiscono delle vendite mai realizzate. Mentre alcuni rivenditori hanno cercato di imporre tariffe sui resi per ridurre la pressione finanziaria, piattaforme come Bazar e Revive sono nate per convertire queste vendite nulle in nuovi profitti. E come si nota dal giro di affari di queste piattaforme, c’è una forte domanda da parte dei brand che cercano di trarre maggior valore dai resi, un approccio che, al di là del lato pecuniario, offre anche l'opportunità di espandere la base clienti e di attirare clienti di fascia media migliorando l'immagine di sostenibilità dei marchi. Nonostante il potenziale, il mercato per il è ancora in fase di sviluppo dato che nel caso di articoli difettati è necessaria come minimo una riparazione (servizio previto da marketplace come Trove e Archive) e ovviamente i grandi brand commerciali, quelli che smuovono alti margini e attirano clientela, sono assai meno accessibili che quelli del medio mercato, la gestione della cui brand equity è meno rischiosa. Mentre Bazar si occupa di valutare la condizione della merce e prende una percentuale sulle vendite di brand di fascia medio-bassa; Revive, ad esempio, lavora su una gamma più ampia di fasce di prezzo per riparare gli articoli restituiti e riportarli a condizioni quasi nuove, consentendo ai brand di rivenderli a prezzo pieno. Secondo alcuni marchi, il ritorno sugli investimenti di dieci aumenta di volte rispetto al costo del servizio. La CEO di Revive, Allison Lee, ha parlato a BoF della redditività del modello, osservando che molti brand trovano più conveniente rivendere tramite Revive che accumulare l'inventario in eccesso.

Come si diceva, oltre ai ricavi, la rivendita dei resi offre un'opportunità per raggiungere nuovi segmenti di clientela. Secondo BoF, il mercato del resale online è destinato a crescere del 21% si anno in anno per i prossimi cinque anni, offrendo ai marchi un'opportunità preziosa per coinvolgere questo pubblico. Non di meno, bisogna ricordare che la natura di questo business riguarda solo superficialmente la rivendita e ha invece il suo cuore nell’ottimizzazione dell’inventario (Revive è presentato precisamente come un «Data-powered Inventory Optimization Tool») e dunque ha il suo potere nello sviluppo di modelli sempre più rapidi ed efficienti. Revive prevede di introdurre un modello di drop-shipping nel 2025, che consentirà ai brand di inviare resi individuali direttamente ai magazzini per una ristrutturazione più rapida. Ma è chiaro che le cose sono ancora gli inizi: sia Revive che Bazar sono ancora servizi disponibili solo negli USA e dunque dovrebbero confrontarsi con gli enormi volumi e la merce di lusso prodotta in Europa e soprattutto con i brand europei, notoriamente diffidenti. Revive restituisce la merce ai brand che possono «lanciare una collezione sostenibile, rifornire i bestseller esauriti o utilizzare la nostra rete di influencer», per vendere sotto una nuova specie questi resi. La scalabilità del progetto è stata già dimostrata nei fatti ma basterà, un domani, a gestire i 3,2 miliardi di euro d’inventario invenduto che pesa sulle spalle di LVMH o il miliardo e mezzo di euro di merce in magazzino che Kering deve smaltire quest’anno?