La collab Heaven by Marc Jacobs per Donnie Darko ricorda un cult senza tempo
«Perché indossi quello stupido costume da uomo?»
10 Ottobre 2023
Esisteva un’epoca in cui il ragazzino che a scuola si vestiva di nero, ostentando atteggiamenti rabbiosi e un certo amore del macabro, era soltanto il classico freak, uno di quegli archetipi anni ’80 immortalati in The Breakfast Club di John Hughes che, inevitabilmente, finiva per correggersi e normalizzarsi alla fine della storia. Ma al principio dei 2000 arrivò sulle scene (e con un film stranissimo) un antieroe a cui i metalheads, emo ante-litteram e reietti di ogni genere potevano ammirare: era Donnie Darko. Protagonista di un film un po’ incomprensibile ma dalle vibe immacolate, questo triste adolescente tanto profetico quanto schizofrenico (nel senso clinico del termine) raccolse la bandiera degli esclusi e degli arrabbiati che Kurt Cobain aveva lasciato cadere col suo suicidio poco meno di un decennio prima. Da allora, dopo un fallimento al box office e una rapida rinascenza culturale attraverso i video a noleggio, Donnie Darko non solo diventò un cult film al pari di quelli di Gregg Araki e Harmony Korine, ma lanciò anche la carriera di Jake Gyllenhaal verso altezze mai viste. Ora il film è diventato protagonista di una capsule di Heaven by Marc Jacobs che ne ritrae i protagonisti (la prima volta che il film di Richard Kelly diventa esplicitamente protagonista di una collezione di moda) ma l’impatto che il film ha avuto sulla cultura pop, proprio come il suo conturbante appeal, è tanto vasto quanto sotterraneo. Durante una puntata di Actors on Actors, parlando con Gyllenhaal, Lady Gaga ebbe a dire: «Nel mondo della musica, ma anche in quello della moda, Donnie Darko è una religione».
Ora, se nel mondo della moda la citazione più esplicita al film a cui si può pensare è lo Skeleton Intarsia Sweater creato da Anthony Vaccarello per la FW18 di Saint Laurent (il capo non apparve in sfilata ma rimane a oggi uno dei pezzi più iconici, insieme al Razor Blade Sweater della FW12 di Stefano Pilati), il vero contributo del film fu quello di dare una codifica definitiva all’archetipo del teen goth. Grazie a Donnie Darko, la malinconica e idiosincratica atmosfera musicale del disagio giovanile di quegli anni fu liberata dal l'armamentario paramilitare del metal, dalle flanelle e dai jeans strappati del grunge, per collocarsi in una dimensione suburbana in cui sopra al costume da scheletro di Halloween si indossa una hoodie grigia. Il rigore delle uniformi scolastiche è solo il prolungamento di un guardaroba esclusivamente bianco e nero in cui si nasconde l’anima gotica di chi sembra normale ma non lo è, in cui una camicia bianca riecheggia fantasie del più oscuro romanticismo byroniano. Uscito nel 2001, il film di Kelly divenne il precursore di quell’ondata alternativa che dominò l’intero decennio, lanciando scosse nella cultura pop che continuano a farsi sentire. Ancora oggi, una popstar come Phoebe Bridgers si veste come Donnie Darko e la colonna sonora del film è considerata come la responsabile del sad cover phenomenon - , la Mad World di Gary Jules rimane una traccia ben più iconica dell’originale dei Tears for Fears. Alcuni, più critici, suggeriscono che il film sia il precursore o anche il remoto iniziatore della moderna ossessione che le nuove generazioni nutrono per l’esplorazione e la comprensione della malattia mentale, ma in verità ne è stato il riflesso partecipazionista.
Se American Beauty e Tempesta di Ghiaccio erano prodotti rivelatori di una natura scioccante della famiglia tradizionale, ma narrati dal punto di vista dei genitori, Donnie Darko fu il primo e più bizzarro film a raccontare la disconnessione tra la facciata ridente della società e l’abisso più spaventoso della follia attraverso la lente della disfunzione giovanile. Negli anni Richard Kelly ha sostenuto che il film riguardasse solo il viaggio nel tempo, ma credergli è impossibile: il film parla di malattia mentale, non solo con un protagonista che mostra molti dei classici sintomi della schizofrenia, ma con una serie di personaggi di contorno che ci raccontano come le nostre nonne, i nostri genitori, compagni di classe e consulenti scolastici siano tutti preda di demoni personali forse più gestibili ma non meno oscuri – l’intera società rappresentata nel film, in effetti, sembra profondamente malata. Sotto un certo punto di vista, quello della cultura-come-manufatto, arrivando ai primissimi albori della cultura di Internet, il film divenne una piccola fabbrica di meme e aforismi ripetuti come un tam-tam attraverso i primi blog di MSN, Tumblr e Flickr e via dicendo. Fu uno dei primi film di quella stessa epoca a guadagnare il proprio cult status grazie al fenomeno Internet dei primi 2000. Tanto forte fu l’effetto di Internet, che ancora oggi molti fanatici del film dicono di amarlo non per la trama francamente incomprensibile, ma per il mondo che costruisce per i suoi personaggi, per la maniera in cui riesce a trasformare la classica cittadina americana in una specie di nerissima favola, specchio di quel malessere dei Millennial che il positivismo anni ’80 (il film è ambientato nell’ottobre del 1988) non era più in grado di spiegare.