Il fondatore di Supreme Italia è stata condannato a 8 anni di carcere
Oltre ad un risarcimento di 8,7 milioni di euro
05 Luglio 2021
Negli anni futuri, lo scontro fra Supreme e il brand legal fake Supreme Italia sarà ricordato come il fashion beef più lungo e complicato della storia della moda. La guerra legale sui trademark si è conclusa a favore del brand americano facendo la giurisprudenza di casi di copyright a livello globale. Lo scorso 28 giugno, è arrivata la prima sentenza fuori dal contenzioso sul brand che ha condannato il fondatore di Supreme Italia Michele Di Pierro e il figlio Marcello rispettivamente a 8 e 3 anni di carcere, oltre a pagare 7,5 milioni di sterline, che corrispondono a poco più di 8,7 milioni di euro.
La sentenza è stata pronunciato da un giudice inglese Martin Beddoe a Londra in quanto la società International Firm ltd che controllava Supreme Italia, Supreme Spain e tutti gli altri marchi satelliti ha la sede legale a Londra. Le carte del processo hanno fatto emergere poco dopo che l’azienda londinese aveva solo 300 sterline nei suoi conti.
Al momento, né Supreme né VF Corp hanno commentato l’esito del processo che comunque rappresenta la prima condanna personale nella lunghissima battaglia che ha affrontato Supreme. Il caso del legal fake era iniziata nel 2017 spostandosi dall'Italia alla Spagna e infine in Cina, dove scoppiò il caso Samsung, quando il brand tech annunciò e poi ritirò la partnership con Supreme Italia. Lo scorso 3 dicembre era stata ufficializzata nell’Unione Europea la registrazione del trademark del Box Logo ma solo la sentenza della scorsa settimana sembrerebbe aver chiarito la questione una volta per tutte. Secondo il resoconto che del processo fa Jonathan Browning di Bloomberg:
«Fin dall'inizio del processo a Londra, i legali di Supreme hanno cercato di differenziare l'operazione Di Pierro dalla vendita di beni contraffatti nei mercati di strada. Registrando temporaneamente marchi e aprendo negozi, Di Pierro ha gestito una larga operazione commerciale, ha detto alla giuria Jonathan Laidlaw, un avvocato che agisce per la società».