Come è cambiato lo streetwear in Italia?
Analisi di un fenomeno dal 2016 a oggi
19 Agosto 2024
C'è stato un momento in cui lo streetwear aveva una patina luccicante e al contempo misteriosa a ricoprirlo, era un periodo storico evidentemente di transizione, in cui moda, musica e arte si allineavano per gettare le basi di un fenomeno generazionale che ancora si stava formando. I primi anni '10 sono stati fondamentali in questo senso. La moda si è avvicinata al rap facendo così nascere il culto attorno al lavoro di Riccardo Tisci da Givenchy, tra i primissimi a rendere lo streetwear un affare da passerella, ma soprattutto, facendo nascere e crescere le figure di quelli che sarebbero diventati i Re Mida della moda ai giorni nostri: da Virgil Abloh a Matthew M. Williams, fino a Heron Preston.
Creare hype è il vero primo mestiere di questi uomini in grado di fare tutto: sono dj, sono designer, sono artisti. Abloh in particolare incarna un mito costruito negli anni tra la nomina a direttore artistico del joint album di Kanye West e Jay-Z, Watch The Throne, la nascita di Pyrex Vision e Off-White e l'arrivo da Louis Vuitton nel 2018. Ci sono dei passaggi intermedi nel recente passato di Abloh che, in senso lato, hanno un'importanza ancora maggiore rispetto agli eventi appena nominati. Se oggi lo streetwear è un fenomeno di massa, lo dobbiamo in particolare a lui. Perché quello che lega un Industrial Belt di Off-White e un paio di Nike x Off-White è proprio lo zip-tag del brand fondato da Abloh. Lì, tra i due item appena citati, possiamo collocare la nascita del fenomeno dello streetwear, che insieme a un paio di Yeezy 350, alle box logo Supreme e ai jeans di Zara da quaranta euro ha visto la sua esplosione nel 2015.
Essere hypebeast
Oggi la parola hypebeast è considerata alla stregua di un insulto, eppure non bisogna guardare troppo indietro per ricordarsi di quando ci si vantava di esserlo. Le outfit battle su Youtube e le colonne sonore di quel periodo, da X0 Tour Llif3 di Lil Uzi Vert a goosebumps di Travis Scott, rappresentano un manifesto di chi in quegli anni, con un paio di Air Pods da 200€ recitava a memoria i prezzi di ogni indumento che indossava insieme ai versi di LaFlame. Un eredità impossibile da cancellare, tanto che ancora oggi, oltre cinque anni dopo, item come le hoodie e le Jordan 1 sono rimasti due staple di un movimento che in realtà ha solamente perso il nome e la voglia di apparire che c'era un tempo, confermando il fenomeno hypebeast come un trend capace, nel bene e nel male, di lasciare un segno.
In casa nostra, l'esplosione dello streetwear è ovviamente legata all'arrivo della musica trap e a quei nomi come Sfera Ebbasta e la DPG, che tra rime e fitpic hanno portato nelle menti degli adolescenti italiani la necessità impellente di parlare come loro e, soprattutto, vestirsi come loro. Per soddisfare questa fame di moda sono quindi nate centinaia di pagine e community in cui si cercava l'item impossibile in un meccanismo in cui a una fisiologica crescita della domanda corrispondeva un'ovvia riduzione dell'offerta.
Gli oggetti del desiderio
Come detto, non esiterebbe lo streetwear senza Virgil Abloh, ma soprattutto senza Kanye West e le sue Yeezy 350 v2. Prodotte in decine di colorway ancora oggi, le sneaker parte della collabo tra Ye e adidas erano tra gli item più richiesti, colonna portante di interi outfit insieme alle già citate Jordan 1 e tra i primi modelli di sneaker a far parte di quello che è poi diventato il mondo del resell.
Ma c'è un brand fra gli altri che ha beneficiato in modo esponenziale della nascita del fenomeno dello streetwear: Supreme. L'aura misteriosa e un tempo esclusiva del marchio fondato da James Jebbia ha conquistato i ragazzini di tutto il mondo, regalandoci il primo caso di legal fake e sdoganando lo skateboard come fenomeno culturale e di costume. Il parziale declino del brand e la perdita del suo fascino corrisponde proprio alla fine di un'epoca, quella dei drop del giovedì e dei bot che per anni ha fatto parte della routine di un numero enorme di adolescenti e non.
Lo streetwear oggi, in Italia
Oggi lo streetwear è così affermato da non fare più notizia. Qualcosa è cambiato però: lo stile delle sue personalità chiave. C’è stata un’evoluzione verso un tipo di streetwear meno appariscente, per certi versi anche più funzionale e sostenibile. Aprendo TikTok non è raro trovare video che consigliano quali pantaloni devono esserci nel guardaroba per l’inverno, con gli ormai immancabili workpant Dickies o Carhartt che hanno preso il posto degli skinny di Zara. Lo stile appariscente fatto di ostentazione e loghi è in parte scomparso, sostituito da look minimal in cui gli imperativi semprano essere "cozy" e "conscious". Mentre i fit sono cambiati, anche le abitudini d'acquisto hanno fatto lo stesso, dando vita a trend onnipresenti nei feed social e nelle strade delle città: le Detroit Jacket e le Varsity hanno visto una seconda giovinezza con la riscoperta del vintage e del second hand, mentre un cardigan abbinato a dei Sebago è diventato un'altrnativa più che valida alla combo hoodie e sneaker.
Se pensate però che quel mondo sia scomparso, vi sbagliate di grosso. Le Yeezy 350 V2 continuano a dominare le vendite, mentre il fascino delle box logo di Supreme continua a rimanere intatto nei siti di resell. Alle Jordan 1 si sono affiancate le Dunk, aprendo però la strada anche a novità, su tutte la rinascita delle New Balance grazie al lavoro di Teddy Santis, quello che potremmo definire come il Virgil Abloh dei prossimi anni.
La vera notizia è però quanto questo discorso sia valido anche sul suolo italiano. Il knitwear, così come i pantaloni dai fit più loose, hanno visto una crescita esponenziale negli armani degli adolescenti italiani che, grazie anche all'arrivo di UNIQLO nel nostro paese, hanno iniziato a vedere della luce in fondo al tunnel. La vera domanda è però se questo cambio di gusti e stili sia dovuto unicamente alla crescita anagrafica di quella che un tempo era la "generazione hypebeast" o se questa ha cambiato i propri gusti solo perché chi un tempo ne influenzava acquisti e outfit ha cambiato la rotation del proprio guardaroba. La risposta, probabilmente, sta nel mezzo. Spinta dagli streetstyle e dai feed Instagram, la passione per la moda un tempo nata grazie ai Virgil e ai Kanye ha preso vita propria, trasformandosi in quella che è a tutti gli effetti la fase del post-streetwear.