Che ruolo sta avendo TikTok nella guerra in Ucraina?
Tra le giornate tipo nei bunker di Kiev e i tiktoker scelti da Biden per raccontare il conflitto
14 Marzo 2022
I social media stanno assumendo un ruolo cruciale nella narrazione, se non proprio nello svolgimento, della guerra che si sta consumando sul suolo ucraino a seguito dell’invasione da parte delle truppe russe lo scorso 28 febbraio, tanto che in molti hanno azzardato a definire il conflitto "la prima guerra di TikTok": il primo scontro narrato tramite clip in tempo reale e anche il primo ad essere interpretato attraverso la cultura e i ritmi dell'app. Molto più di Instagram, soprattutto grazie ad algoritmi di censura meno rigidi, la piattaforma è stata lo sbocco principale per diffondere notizie dall’Ucraina al resto del mondo, ma mentre i cittadini nascosti nei rifugi antiaerei o in fuga dalle loro case hanno condiviso le loro storie sull’app, d’altro canto la piattaforma è stata anche medium di diffusione di fake news e propaganda pro-Russia.
@valerisssh Putin, I wait u in Chernihiv
Su TikTok i ragazzi ucraini della Gen Z come @valerisssh sono passati dal condividere le immagine di vacanze patinate a documentare la loro giornata tipo nei bunker di Kiev, per non parlare dei vari “pov: you live in Ukraine” che mostrano case senza finestre e gente che si infila sotto le coperte completamente vestita per farsi trovare pronta in caso suoni la sirena antiaerea. @moneykristina, diventata famosa sulla piattaforma grazie ai suoi video su criptovalute e Nft, si è ritrovata a catturare il momento esatto in cui un missile decollava nel cielo davanti a lei, mentre una fila chilometrica di macchine si snodava in direzione del distributore di benzina. La Casa Bianca ha seguito da vicino l'ascesa di TikTok come fonte di notizie dominante, decidendo giovedì pomeriggio di radunare le 30 migliori star della piattaforma su Zoom per fornire loro le informazioni chiave della guerra in corso, dalla distribuzione degli aiuti umanitari alla collaborazione con la NATO, sino a come gli Stati Uniti reagirebbero in caso di uso di armi nucleari da parte della Russia. Un’attività divulgativa ai limiti della propaganda che il direttore della strategia digitale della Casa Bianca, Rob Flaherty, ha giustificato dicendo "volevamo assicurarci che tu avessi le ultime informazioni da una fonta autorevole."
Mentre in molti Paesi occidentali le proprietà degli oligarchi vengono sequestrate e dai social spariscono anche le immagini delle giovani donne dell’élite russa, per anni simbolo di lusso e privilegio - come quello della figlioccia del ministro degli esteri russo Lavrov, la figlia di Abramovich ex presidente del Chelsea, o la nipote dell’ex presidente russo El’Cin - la Russia si è mossa per bloccare Instagram e Whatsapp, dopo che la sua società madre, Meta, ha affermato che avrebbe consentito la pubblicazione di appelli alla violenza contro Vladimir Putin e i soldati russi coinvolti nell'invasione dell'Ucraina. Una repressione, quella del gigante dei social media, che limiterà ulteriormente l'accesso della maggior parte dei russi alle informazioni estere sulla guerra, aumentando l'influenza dei media statali insieme ad una nuova legislazione che prevede fino a 15 anni di carcere per coloro che verranno accusati di diffusione di "informazioni false" sulla guerra.
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La memoria collettiva associa guerre specifiche a diversi formati multimediali: il Vietnam è stata la prima guerra televisiva, la prima guerra in Iraq nel 1991 è stata la prima guerra delle notizie via cavo, dodici anni dopo l'invasione americana dell'Iraq è stata chiamata guerra di YouTube, nel 2012 Israele e Hamas avrebbero partecipato alla prima guerra dei tweet, nel 2016 il Time ha annunciato la prima guerra di Facebook, riferendosi a un live streaming delle forze irachene e curde che combattono per cacciare lo Stato Islamico da Mosul. Le guerre hanno preso il nome dei social indipendentemente dal fatto che le piattaforme in questione abbiano davvero determinato il modo in cui le persone pensavano, vivevano, documentavano, combattevano, quelle stesse guerre. In questo caso se da un lato i social sono stati uno strumento di sfogo per esorcizzare le emozioni della Gen Z, a volte tramite meme cinici al limite del cattivo gusto, i filmati che hanno mostrato senza filtri la violenza che si sta consumando all’altro lato dell’Europa hanno anche contribuito significativamente ad un moto di solidarietà e partecipazione emotiva senza precedenti. Eppure, oggi più che mai il fatto che un social network stia diventando la principale fonte d'informazione per i giovani riguardo a questioni di politica mondiale è fuorviante, polarizzante e spaventoso più che mai. Allo stesso tempo se c'è una cosa che distingue l'impatto di TikTok rispetto a tutti gli altri social è proprio la personalizzazione dei contenuti proposti ai singoli utenti sulla base di algoritmi: per ciascuno l'app è un'esperienza individuale in cui non siamo tuttavia mai del tutto noi a decidere, così, magari giustapposti grottescamente a balletti e haul di Shein, anche alle persone più disinteressate può comparire uno scorcio di attualità.