Lo studio del corpo umano in mostra a Fondazione Prada
Cere Anatomiche: La Specola di Firenze racconta il corpo umano attraverso la sua riproduzione più fedele
23 Marzo 2023
Natura collecta, natura exhibita e talvolta “natura restituta”, ricomposta, ricostruita, ma mai idealizzata poiché verità. Cere Anatomiche: La Specola di Firenze | David Cronenberg in mostra dal 24 marzo al 17 luglio 2023 all’interno dello scrigno espositivo della sede milanese di Fondazione Prada fa luce sulle nostre profondità più intime, celate. Un’esposizione che è in sé immagine e metafora viva dell’atto d’indagare e del fare approfondimento, che in molti casi più colloquialmente definiremmo svisceramento. Seppur siamo ormai lontani dal tempo degli aruspici, è evidente quale sia la stella a guidare la proposta culturale di Fondazione Prada, forse oggi non lontana dall’illuministico “rendere felice il volgo facendolo più colto”.
Intento didattico che è insito nell’esistenza stessa delle cere della Specola, create originariamente per facilitare lo studio accademico sul corpo umano, diventate poi esempio di maestria di un’artigianalità oggi scomparsa, la ceroplastica. «Un’operazione di sperimentazione didattica con cui intendiamo raccontare il valore di una collezione e della sua storia (...) e il contributo del pensiero creativo nella conoscenza». Così Miuccia Prada, sottolinea questo ambizioso progetto che assieme alla passata exhibition Human Brains evidenzia un focus preciso sul corpo e i suoi moti.
Cere Anatomiche dona maggior fruibilità al patrimonio, ai più sconosciuto, della Specola, museo aperto al pubblico dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo nel 1775. Da Goethe a Melville, passando per Stendhal il contenuto delle teche ha incuriosito, sorpreso, spesso nauseato gli avventori. Melville definì la collezione «horrible and nauseating», sconcertato dalla nudità e verità dei corpi che come lucide statue decorano altari imbottiti di seta e filo d’argento. David Cronenberg, maestro indiscusso del body horror, interpreta il corpus costituito dalle quattro figure femminili distese, dette “Veneri”, attraverso un cortometraggio in scena all’interno di un monolitico teatro anatomico rievocato nel podium. In “Four unloved women, adrift on a purposeless sea, experience the ecstasy of dissection” il regista esalta l’erotismo evocato dalle pose e dalle espressioni delle cere, così lontane idealmente dalla rigidità del corpo esposto sul tavolo di dissezione.
Queste rosee e pettinate figure imbellettate, vulnerabili in aspetto e ingenue e trasognate nei gesti ricordano qualcosa che non esiste se non negli ossimori visuali di Gustave Moreau dove corpi smembrati appaiono circondati da virginali figure iridescenti, e nella pornografia del dolore. Cronenberg ne celebra l’aspetto vitale, filmandole quasi in estasi, ansimanti e vogliose, comodamente distese al sole in uno scenario, tanto lugubre quanto surreale, di quiete balneare. Nella idealizzazione di estasi della dissezione ritornano le eco delle sante in martirio, con gli occhi al cielo e i capelli composti, già lontane dal dolore e proiettate nell’oltre, ma anche il grottesco e il repellente di Edward Kienholz, arricchito da un colto gusto per l’assurdo alla Laura Betti, esemplare nella sua interpretazione di “Solamente gli occhi”.
Eppure un nonsoché di dolce orrore permea dalle pregiatissime teche, illuminate a intermittenza da asettiche lampade da sala operatoria. C’è qualcosa di familiare, di caldo e avvolgente, che ci trattiene e ci invita a cercare più a fondo a guardare con più attenzione, senza paura quelle ceree copie di copie di noi, che già nelle fattezze Botticelliane ci risultano quasi impossibili, archetipiche e in un attimo cessano di spaventarci e ci affascinano come le raccolte didascaliche di uccelli marini e testuggini dei cabinet di curiosità. Non c’è mediazione nella fruizione della verità, che si rivela cruda e sconcertante e ci disarma nelle forme e nei volumi. Cere anatomiche ci guida con mani invisibili da maieuta socratico attraverso la scoperta delle nostre fattezze più terrene e ci ricorda quanto noi, nonostante tutto, siamo fatti anche di carne.