Come Timberland ha costruito il suo futuro
Future73 celebra il 50 anniversario dell’iconico Original Yellow Boot
08 Febbraio 2023
In questi strani tempi per l’industria della moda, una collaborazione può ucciderti o, ancor peggio, può suggellare la tua più completa ininfluenza in un universo che continua a muoversi alla velocità della luce. Allo stesso modo la collaborazione giusta può farti ritrovare un posto nel mondo, aiutando i consumatori a ricordarsi delle tue unicità. Ma cosa succede quando quelle collaborazioni sono più di una, anzi, più di cinque? E quando vengono accompagnate da una serie di iniziative che, nel mentre, mirano a far riscoprire ai consumatori la tua vera essenza? È una domanda da fare a Timberland, che con Future73 celebra i 50 anni dall’iconico 6-inch yellow boots, con una speciale iniziativa che coinvolge sei tra designer e creativi chiamati a reinterpretare la loro personale visione dell’icona: da Edison Chen, a Samuel Ross, Suzanne Oude Hengel, e Nina Chanel Abney, e poi ancora Humberto Leon e Christopher Raeburn.
Stratham, New Hampshire
Timberland fu fondata nel 1973 da Nathan Swartz con l’obiettivo di produrre boot tecnici per i lavoratori che dovevano servire a proteggersi dalle ostili condizioni atmosferiche del luogo, basti pensare che solo qualche giorno prima del lancio ufficiale del progetto i termometri dello stato hanno fatto segnare anche 25 gradi sotto lo zero. Viene dunque naturale comprendere quanto i concetti di resistenza e impermeabilità, oltre che quello di comodità, fossero fondamentali per il brand. Quello che oggi è il Timberland “village” sorge esattamente dove Swartz aveva trasferito la sua Abington Shoe Company da Boston qualche anno prima, una factory estremamente innovativa posizionata nel mezzo del nulla. Al suo interno trova spazio anche un centro di prototipia, il Design Lab, composto da alcuni dei primissimi macchinari proprietari di Timberland, all’interno del quale il team di designer e ingegneri è in grado di realizzare un yellow boot in meno di 45 minuti. Il legame tra il brand e il suo luogo di nascita è, come spesso accade per i brand americani di workwear, viscerale e si riconosce dall’ingresso stesso dell’HQ, davanti il quale compare un albero (timber, per l’appunto) che rappresenta l’iconico logo del brand.
Da Stratham a New York la strada non è poi così lunga, motivo per il quale è soprattutto nella capitale mondiale del rap che il brand si afferma per esplodere nella metà degli anni ‘90, come vera e propria uniform dell’estetica hip-hop. Lo ricorda anche Drieke Leenknegt, CMO di Timberland, sottolineando l’incredibile rilevanza delle icone del mondo rap nella diffusione del brand: da Notorious BIG a Nas, passando per il Wu-Tang Clan. È proprio la crew di Long Island ad avere ispirato uno dei sei designer chiamati a rappresentare il futuro di Timberland, Edison Chen. L’attore e founder di CLOT ha ricordato come: «il mio primo ricordo legato a Timberland e al 6-inch è stata la cover di VIBE con il Wu-Tang Clan. Vivevo a Hong Kong e cercavo di assorbire il più possibile della cultura hip-hop degli USA; tanto da aspettare il mio primo viaggio a New York per comprare il mio primo paio di Yellow Boot.» Sono i rapper i primi a rendere un item pensato per i lavoratori del New Hampshire realmente appealing per il mondo della moda, inserendoli all’interno di quel mondo incredibile che è stata la cultura del videomaking della Golden Age del rap. I secondi, a dir il vero: come racconta Rob Walker nel suo libro nel suo libro Buying In: The Secret Dialogue Between What We Buy and Who We Are, «i primi ad indossare i Timberland boot furono gli spacciatori di NY, ragazzi che dovevano stare in strada tutta la notte e avevano bisogno delle migliori calzature possibili per mantenere i loro piedi caldi e asciutti». La controparte urbana di chi doveva spostare quintali di legno su e giù per il Granite State.
Ed è anche per celebrare l’incredibile rilevanza della rap e della black culture che all’interno dei festeggiamenti per i 50 anni del brand è stata inserita la release del The Hip Hop Royalty Boot - nello stesso anno in cui anche l’hip hop compie 50 anni - e un progetto di workshop portato avanti da Chris Dixon, designer di Timberland e membro del collettivo CNSTNT:DVLPMNT, che porterà il brand attraverso le città chiave della I-95, l’iconica autostrada che percorre tutta la East Coast americana.
L’arte di lavorare assieme
In un articolo del 2015, Sarah Halzack scrive sul Washington Post «The company says that the cornerstone of the comeback has been a two-year customer study in which it collected data from 18,000 people across eight countries. In analyzing the trove of responses, Timberland was able to diagnose its problems and to zero in on its ideal customer — an urban dweller with a casual interest in the outdoors». Il focus messo dalla compagnia nell’individuazione nel loro consumer ideale si traduce, nel tempo, in quello che Drieke Leenknegt definisce l’approccio ideale di ogni prodotto Timberland: “SPG”. «Style, Performance and Green. Crediamo che sia estremamente importante che ognuno di questi pezzi debba far parte di ogni prodotto che creiamo. E parte dei prodotti di Future73 sono l’espressione totale di questa idea».
Parte dell’idea stessa di un brand heritage come Timberland è quella di evolversi continuamente, come racconta anche Humberto Leon, un altro dei protagonisti di Future73: «Rispetto alla mia prima collaborazione con Timberland (con Opening Cerimony) di 15 anni fa sono cambiate tante cose, soprattutto ora ci sono tante possibilità in più da un punto di vista tecnologico, e un brand come Timberland ha innovato tanto, restando sempre fedele a se stesso, e permettendoci di sperimentare tantissimo con i materiali».
Gli ultimi anni di Timberland sono la dimostrazione di quanto minuziosamente quel consumatore sia stato individuato, così come della capacità del brand di individuare e perfezionare l’arte della collaborazione in maniera estremamente intelligente, andando ad arricchire l’heritage del brand ed essendo capace di circondarsi di un ecosistema e di una “community” rilevante a far sì che il percepito del brand aumentasse oltre la semplice brand-to-brand collaboration, un esperimento fin troppo ricercato dai brand di mezzo mondo. Da questo genere di progetti che nasce la collaborazione con Veneda Carter, Bee Line, BAPE o Tommy Hilfiger, per non parlare delle recenti co-creazioni con Supreme e con Stüssy, che hanno contribuito a rendere il brand una perfetta tela per raccontare il macro-trend di questo preciso momento storico: un casual-formal wear urbano e adulto, diretta evoluzione dell’influenza dello streetwear sull’industria del ready to wear. Lo racconta bene anche Samuel Ross, descrivendo la sua collaborazione con Timberland come parte di un processo di crescita personale molto importante per A Cold Wall: «A Cold Wall rappresenta perfettamente il mio percorso dalla gioventù all’età adulta. Ho iniziato ACW quando avevo 25 anni, ora ne ho 31 e ho una moglie e due bambini. Durante questo periodo l’idea stessa di cosa i vestiti che produci o che indossi devono cambiare parecchio. Aver avuto il mio primo figlio ha cambiato tutto, perché in quell'esatto istante era cambiato il mio ruolo nella società e credo che avessi bisogno di una nuova uniforme per rappresentarlo. Con la partnership con Timberland ho avuto l’opportunità di realizzare delle cose di alta manifattura, basate su un concetto molto più legato al menswear tradizionale e mi è sembrata una storia onesta da raccontare».
Il futuro
Il concetto di onestà è estremamente presente lungo tutto il racconto di Future73, un progetto nato con l’obiettivo di visualizzare il futuro di un oggetto così tanto iconico da aver rappresentato l’essenza stessa di Timberland. Sei approcci completamente differenti che derivano da sei visioni del mondo - oltre che da sei parti del mondo - diverse. Edison Chen, il founder di CLOT, ha ad esempio raccontato il processo dietro il suo modo di intendere le collaborazioni, “facilitato” dal ruolo del suo brand in Asia e nel mondo: «cerchiamo di sottolineare gli aspetti più iconici dei brand con cui collaboriamo, in modo autentico rispetto al nostro messaggio e al nostro brand. Per noi come CLOT è più semplice perché riusciamo a rappresentare la Cina in un modo che non tanti brand cinesi sono riusciti a fare».
Per Humberto Leon è invece stata l’idea di sfidare le possibilità tecnologiche del brand nel riprodurre uno stampo mai fatto prima a spingerlo a voler osare, oltre alla pazza idea di non voler ricondurre un capo a una specifica stagionalità: «nei brand ogni capo o scarpa ha sempre una funzione stagionale. Ma io sono cresciuto in California indossando 6-inch con gli shorts e quello che volevo era realizzare qualcosa che potesse essere utile per ogni stagione». Suzanne Oude Hengel ha destrutturato il classico Timberland boot attraverso un uso ingenieristico del knitweart, mentre REABURN si è affidato a una certa idea di funzionalità e di riciclo - sia la sua creazione che quella di Chen fanno parte dle progetto Timberloop votato alla sostenibilità e alla promozione dell’economia circolare - mentre ancora Nina Chanel Abney, pittrice e talentuosa artista contemporanea ha lasciato che la sua idea di Timberland guidasse la sua collaborazione. Approcci diversi che si identificano alla perfezione nella volontà di un brand di fare cose diverse, passando dal vero workwear americano (con TimberlandPro) all’attenzione per il mondo outdoor senza però dimenticare quello che ha reso il Timberland 6-inch una delle più immediate icone americane: la volontà, indossando un paio di boot, di sentirsi bene. In qualsiasi modo possibile.