5 show che dimostrano che la New York Fashion Week non è morta
Nonostante qualcuno sostenga il contrario
17 Febbraio 2022
La New York Fashion Week, vista dagli occhi di europeo, che per di più vive e lavora a Milano, è qualcosa di peculiare: abituati come siamo ad avere sotto casa i grandi brand europei, giganti che hanno dominato l’industria per decenni, ciò che succede sull’altra sponda dell’oceano sembra piccolo e lontano – ma non necessariamente lo è. Il design americano finisce spesso vittima di un certo pregiudizio (di cui anche chi sta scrivendo soffre ogni tanto) che porta a considerarlo secondario rispetto al lavoro dei designer europei. Persino giganti come Tom Ford, Marc Jacobs e Michael Kors (che ha presentato una collezione molto pregevole in questa fashion week) ricevono un’attenzione molto tiepida rispetto ai grandi brand del lusso europeo, mentre marchi americani di culto come Bode, The Row, Enfants Riches Deprimés o ERL o non presenziano, o presentano altrove (The Row si è trasferito a Parigi quest’anno, per dirne una) o hanno presenze saltuarie come nel caso di Pyer Moss, che ha praticamente smesso di dare notizie di sé dopo lo show couture dello scorso luglio. Nel frattempo i designer americani che diventano famosi (da Teddy Santis a Tremaine Emory e Rhuigi Villaseñor, per menzionarne alcuni) godono di enorme influenza ma operano in una sfera molto distante dalla moda di lusso classica che la New York Fashion Week ricalca.
Eppure, preso atto di questa curiosa configurazione per cui la moda americana è più influente che mai ma la fashion week americana non lo è, definire in maniera troppo tranchant la New York Fashion Week come qualcosa di irrilevante significa generalizzare inutilmente. Se è vero che New York non ha lo stesso impatto di Milano o Parigi, è anche vero che cassarne tutte le collezioni in blocco come insignificanti significa non riconoscere l’eccellente lavoro firmato da una serie di creativi che attirerebbero molte più lodi e risonanza se fossero vittima del pregiudizio che gli europei hanno verso gli americani.
Ecco dunque 5 show che dimostrano che la New York Fashion Week non è morta.
Laquan Smith
Laquan Smith è forse il più newyorchese designer di questa lista. Il suo brand eponimo ha debuttato nel 2013, costruendo collezione dopo collezione un linguaggio femminile, vagamente eccessivo e vistoso ma anche molto misurato. Le collezioni dell’anno scorso, la FW21 e la SS22 hanno portato un rigore nuovo nell’estetica del designer ma è con lo show FW22 aperto da Julia Fox che la sua visione estetica si è concentrata al massimo. Smith ama i centimetri di pelle scoperta, le paillettes, i cut-out – è uno stile per sua stessa natura eccessivo, aggressivamente femminile, e che quest’anno si è concentrato con chirurgica precisione su costruzioni e materiali.
Gabriela Hearst
L’uruguayana Gabriela Hearst, paladina del della moda sostenibile, è un esempio di designer con un piede fermamente saldo su entrambe le sponde dell’Atlantico. Se il suo lavoro per Chloé è giustamente celebrato, anche la collezione che porta il suo nome e andata in passerella qualche giorno fa è stata molto forte, stabilendo un equilibrio difficile tra rigore sartoriale e morbidezza, tra blazer e scialli frangiati, tra eleganza e informalità. Il pregio principale della collezione è quello di applicare al design il metodo della genderlessness senza retorica o acrobazie superflue, prendendone i principi come un semplice dato di fatto.
Dion Lee
Dion Lee è un designer australiano che negli anni ha sviluppato un’estetica sleek-chic imparentata con il lavoro di Matthew Williams e del Julius Juul di Heliot Emil e reminiscente di certe soluzioni progettuali introdotte da Rick Owens. Il suo lavoro però è più estremo, più elegante, costruito con una sofisticazione costruttiva rara oltre che con una mistura di geometrismo e sensualità che colpisce molto in passerella ma che, sul piano del prodotto, è capace di parlare singolarmente a tutte le fasce di pubblico – dall’amante del luxury sportswear a chi preferisce una moda più conservatrice. Pur se in dialogo con le tendenze del mercato e dell’industria, la collezione FW22 di Lee è stata originale, ricca di intricati dettagli che non sono parsi mai artificiosi o arbitrari.
Peter Do
Peter Do è forse uno dei principali maestri del luxury fashion americano contemporaneo. Fattosi le ossa sotto Phoebe Philo e portabandiera di un’estetica normcore uber-concettuale, quasi giocosa nelle sue acrobazie composite, Peter Do è capace di eseguire variazioni perfette e sofisticatissime su item sartoriali quotidiani come un paio di jeans, un cappotto, un completo, una messanger bag. Se il suo esordio in passerella dell’anno scorso era stato uno dei punti più alti della New York Fashion Week, la collezione FW22 ha portato il discorso ancora più avanti, raddoppiando in raffinatezza, in una pulizia di linee e silhouette che tiene sempre sulla corda gli spettatori ma anche in una sofisticazione estrema che pochi brand in tutto il mondo sono in grado di emulare plausibilmente.
Maryam Nassir Zadeh
Maryam Nassir Zadeh ha esordito come una boutique, presentando la sua prima collezione nel lontano 2012. Negli ultimi anni la sua estetica ispirata al vintage, amica di uno styling apparentemente caotico ma costruito con occhio attentissimo è andata raffinandosi sempre di più, culminando con le ultime due collezioni e specialmente nella recente FW22 che, oltre ad aver portato la body positivity anche nel menswear, è riuscita a calare il linguaggio creativo della designer in un’estetica che è insieme molto personale ma anche estremamente indossabile – una voce della hands on fashion di cui sentiremo sicuramente parlare per molto a lungo nei prossimi anni.