L'era di Anna Wintour sta per finire?
Dopo le ultime controversie, la regina dovrebbe passare la corona
02 Novembre 2020
Negli ultimi trent'anni, chiunque sia dentro che fuori dall'industria della moda ha associato il nome Anna Wintour al concetto stesso di moda moderna. Come direttrice artistica di Condé Nast e caporedattore da ben 32 anni di Vogue America — la rivista considerata come la più potente pubblicazione di moda al mondo — è stata sempre considerata come una madrina della moda oltre che una delle figure che ha dato all'industria l'immagine che possiede oggi. Persino la cultura pop l'ha immortalata ne Il Diavolo Veste Prada, che era basato su di lei, e in innumerevoli brani rap e hip hop che l'hanno menzionata. La sua intera carriera è stata costruita su un metodo meticoloso, che l'ha portata ad anticipare e rispondere in modo appropriato alle tendenze culturali du jour e a plasmare la maniera stessa in cui i trend nascono e la celebrity culture viene rappresentata nei media e percepita dalla società.
Ma negli ultimi mesi, uno dei principali dibattiti interni al settore ha riguardato la rilevanza del ruolo della Wintour: di fronte al cambiamento dei tempi, ha ancora senso il suo ruolo? Nel corso degli ultimi anni, in effetti, si sono rincorsi molti pettegolezzi sul possibile pensionamento della grand dame, ma a mettere seriamente in dubbio la sua rilevanza è stata l’onda lunga del movimento Black Lives Matter. Mentre le strade delle città americane erano animate dalle proteste contro il razzismo, molti impiegati e sottoposti hanno iniziato a denunciare gli episodi di discriminazione che si verificavano nel proprio luogo di lavoro ed erano rimasti finora taciuti. E una delle aziende più colpevoli era proprio Condé Nast.
Le gravi critiche sulle policy di assunzione dell’azienda hanno portato al licenziamento di alcuni dei redattori-chiave di molti giornali, come la rivista di cucina Bon Appetit, e, nella tempesta di denunce sollevatasi su Twitter, anche il nome della Wintour è stato menzionato – con accuse da parte di ex-dipendenti di Vogue circa la situazione di ostilità razziale che sarebbe stata alimentata proprio da lei nel corso degli anni. In tutta risposta, la Wintour non si è licenziata ma si è limitata a porgere le sue scuse:
«Dirò chiaramente che Vogue non ha avuto sempre modo di elevare e dare spazio a editor, scrittori, fotografi, designer e creativi neri. Abbiamo commesso degli errori, con immagini o storie offensive e intolleranti. Mi prendo piena responsabilità per ogni errore».
Ma in un recente editoriale del New York Times ci si è domandati se questa scusa non fosse stata tardiva. Il regno della Wintour deve finire? Quando fece il suo ingresso da Vogue, nel 1989, una delle sue prime mosse fu mettere Naomi Campbell, una modella nera, sul primo numero diretto da lei – una decisione molto progressista per l’epoca. Ma negli ultimi dieci anni, la Wintour ha anche pubblicato contenuti controversi – il che solleva dubbi circa l’opportunità di un suo ritiro dalle scene.
Nel 2008 venne pubblicata l’ormai famigerata cover con LeBron James e Gisele Bundchen, che molti associarono alla celebre posa di King Kong e Fay Wray e accusarono di promozione di stereotipi razzisti. Nel 2016 la cover riproduceva l’immagine di Irina Shayk perquisita da un poliziotto a Central Park – glamorizzazione del fenomeno dello stop-and-frisk promosso dall’allora sindaco Bloomberg, una pratica di polizia razzista che bersagliava proprio la popolazione nera della città. Nel 2017 toccò a Karlie Kloss, apparsa nelle vesti di geisha e prontamente accusata di appropriazione culturale. Queste erano solo alcune delle occasioni in cui Vogue si è trovato costretto a scusarsi nel corso degli anni – una vicenda dovuta, secondo alcuni ex-impiegati, alle politiche di assunzione aziendali, sempre concentrate sull’assumere persone «magre, bianche, di famiglia abbiente e laureate in università private».
Non c’è dubbio sulle difficoltà del lavorare all’interno dell’industria – difficoltà rese palesi nel modo in cui la Wintour stessa è stata rappresentata da altri e si è comportata in prima persona. La questione circa il suo pensionamento non riguarda comunque né la sua competenza, né il suo rigore: ha già dimostrato ampiamente di essere una delle figure-chiave dell’industria. La questione riguarda la sua capacità di rimanere al passo coi tempi, specialmente nel caso dell’America dove la questione del racial divide è più scottante che mai. La Condé Nast ha dichiarato di recente che ci si sta muovendo verso l’adozione di nuove politiche: «Anna e Vogue, insieme a tutti i leader dei nostri brand, hanno lavorato insieme per aumentare l’inclusivity in ogni nostra attività». Ma sono in molti dentro e fuori l’industria della moda ad avere differenze d’opinione, divisi fra chi vorrebbe vedere una nuova figura al timone di Vogue e chi difende l’eredità culturale di Wintour.