Essere designer afroamericani in America, oggi
Da Kerby Jean-Raymond a Tyler, The Creator l'impegno della black culture nella moda
01 Ottobre 2020
Dopo la vittoria del CFDA Award e la nomina come direttore creativo globale di Reebok, quello di Kerby Jean-Raymond è diventato un nome sempre più di rilievo nel panorama sociale afroamericano. Un ruolo che l’ha portato in tempi recenti al lancio di “Your Friends” a New York, una nuova piattaforma creata insieme a Kering per unire moda, arte, musica, filantropia e benessere con l’obiettivo di "formare un ecosistema di creatività che reinventa il modo in cui i consumatori scoprono e interagiscono con i marchi".
Fin dall'inizio del lancio di Pyer Moss nel 2013, l'etichetta si è occupata di costruire una narrativa che parlasse del patrimonio della comunità afro-americana, in modo da creare un brand totalmente devoto al Black Heritage. “Da parte mia, Pyer Moss stava introducendo alla moda una nuova generazione che prima non si preoccupava dell'attivismo, della musica e della collaborazione", ha dichiarato in un'intervista per The Cut. Il ruolo di Raymond e del suo brand ha contribuito fortemente a rilanciare il concetto di impegno sociale da parte della moda: il designer newyorkese, per le sue ultime sfilate ha affittato il Weeksville Heritage Center e il The King's Theater a Brooklyn, dove lo scorso settembre ha mostrato per la prima volta la tee “Vote or Die”, una reinterpretazione della maglietta e della campagna rilasciata per la prima volta nel 2004 da Sean P. "Diddy" Combs. La versione di Jean-Raymond in uscita oggi è progettata per incoraggiare la registrazione degli elettori e mettere in luce l'organizzazione non profit "Rock the Vote". Tutti i proventi saranno donati a "Rock the Vote" e gli acquirenti avranno l'opportunità di registrarsi per votare direttamente sul sito web del marchio.
La voglia di dare piena consapevolezza del potere di voto al cittadino si è trasformata in un fenomeno che ha coinvolto tante realtà come Dover Street Market, Foot Locker, Micheal Kors, Kenneth Cole, Gap e Patagonia su tutti. Quest’ultimo ha sviluppato un tag sui propri denim che recita “Vote the asshole out” per rimarcare l’importanza di dover eleggere “climate leaders”. Necessità rimarcata anche dal creatore di No Vacancy Inn e Denim Tears, Tremaine Emory, con il suo continuo lavoro sulle ingiustizie sociali. Nel 2017 ad esempio, in seguito alla morte di sua madre, ha rilasciato magliette a beneficio di Every Mother Counts, un'organizzazione dedicata a fornire assistenza sanitaria alle madri di tutto il mondo.
Nel 2018 ha collaborato con l'artista Brendan Fowler, mentre all'inizio di quest'anno ha rilasciato una capsule con Levi's ispirata alla storia del cotone negli Stati Uniti e al suo legame con la schiavitù. E non è un caso se il lancio della sua prima collezione è conciso con il 400° anniversario del giorno in cui iniziò la schiavitù in America. “Voglio che le persone che non sono afroamericane si sentano legate alla nostra lotta. Voglio che gli afroamericani si sentano orgogliosi di ciò che abbiamo passato e di ciò che abbiamo realizzato." ha dichiarato a Dazed in un’intervista. L’importanza di questo voto l’ha ribadito anche Tyler, the Creator con un post lanciato sul profilo Instagram di Converse, esordando i giovani a votare e annunciando che questa sarà la prima volta in cui anche lui si recherà al seggio.
In un’inchiesta di Channel4, è emerso come durante le elezioni del 2016 più di 3.5 milioni di afroamericani siano stati targettizzati come “deterrenza”. Secondo le indagini, l'obiettivo della campagna di Trump era quello di dissuaderli dal sostenere completamente il Partito Democratico prendendoli di mira con "pubblicità oscure" sui loro feed di Facebook, attaccando Hillary Clinton e, in alcuni casi, sostenendo che la candidata Democratica non nutrisse simpatie per gli afroamericani. Una scelta dovuta in parte al tasso di affluenza alle urne negli Stati Uniti, uno dei più bassi tra i paesi sviluppati con solo il 56% delle persone votanti alle elezioni del 2016. La generazione Z costituisce un elettore su dieci, mentre secondo Pew alle prossime presidenziali l'elettorato sarà il più diversificato in assoluto, con un terzo degli elettori ammissibili rappresentato da persone di colore.
La vera forza di Kerbito sta nell’avere fin da subito indirizzato il suo lavoro verso una nicchia di consumatori ben precisa: "Vogliamo continuare ad accettare e chiedere aiuto a un sistema che non ci rappresenta? Come puoi vedere, la maggior parte di questi consigli sono tutti bianchi, la maggior parte dei direttori creativi sono bianchi e quando ai neri viene chiesto di aiutare a gestire queste organizzazioni, il più delle volte siamo trattati allo stesso modo in cui viene trattata l'Africa. Abbiamo molte risorse creative e loro prendono quelle risorse e le vendono all'estero” ha dichiarato a The Cut. Intervistato per la serie Good Morning Vogue sulla stessa rivista ha spiegato perché quella sarà la sua ultima intervista, per il momento. Inizierà ad adottare il “Beyoncè approach”, cioè parlerà solo quando avrà qualcosa di valore da raccontare, soprattutto per evitare di essere frainteso nelle sue dichiarazioni. Il suo lavoro è diventato un onda d’urto impossibile da non notare, e i media e le riviste più importanti di moda ne stanno rendendo conto. Gli esempi lampanti in merito a ciò sono il suo abito blu, indossato dalla sua collega designer Aurora James in un dipinto dell'artista Jordan Casteel sulla copertina del numero di settembre di Vogue e, contemporaneamente, Angela Davis sulla copertina di Vanity Fair di settembre con un vestito bianco Pyer Moss.
La linea netta tracciata da Kerbito sembra essere stata ripresa da tanti altri brand che hanno preso posizione. Se il ruolo di un marchio è di voler trasmettere dei valori positivi attraverso i propri vestiti, non si può girare la testa dalla parte opposta. Con il consumatore al centro del mercato, per questi colossi della moda rappresentarli diventerà ben presto un dovere.