Domenica, 14 luglio 2019, sono le sette e mezza di sera al Centre Court di Wimbledon, e nessuno tra gli spettatori di quella che si sta candidando come una delle finali più epiche degli ultimi anni, sarebbe disposto a scommettere una sola sterlina su Novak Djokovic, il numero uno al mondo. Il suo avversario Roger Federer, 8 volte campione di Wimbledon, ha 3 championship point e sta servendo per il ventunesimo titolo slam della sua carriera.
A questo punto interviene un bravo sceneggiatore hollywoodiano, lo svizzero perde il servizio, si va 12 pari e dopo 5 ore Novak si riconferma campione del torneo che lascia macigni di gloria nella storia dello sport. Il serbo non esulta ma si avvicina alla rete con una camminata leggera come quelle che si fanno solo sulla stazione spaziale in assenza di gravità, e il sorriso di chi sapeva che quella sterlina avrebbe potuto avere ben altra sorte. Appena terminato il match un milione e 300 mila spettatori - la finale più vista di sempre in Italia - crede di aver assistito a un evento facilmente ripetibile per il tennis, ma come una costante nella storia di questo sport, tra i protagonisti c’è anche il coccodrillo verde di Lacoste, ricamato sul petto della polo banca di Novak Djokovic.
Cambiano i tennisti, gli stili di gioco, si alternano tendenze e mode, ma quel coccodrillo cucito sul capo più iconico nella storia del tennis trasmette anche dopo 100 anni un’ eleganza in movimento, che unisce l’atto tecnico e gestuale a una precisa idea di forme e bellezza, così affascinante da aver superato i 23,77 x 8,23 metri del court.
RENé “L’ALLIGATORE”
Prima di essere “solo” un rettile ricamato su qualche indumento, René Lacoste è stato un grande giocatore di tennis – ritiratosi a soli 25 anni - di quelli vestiti in abito bianco e mocassini. La sua intelligenza strategica gli ha permesso di superare evidenti limiti tecnici iniziali, portandolo a vincere 10 tornei del Grande Slam e componendo una delle squadre di Coppa Davis più forti di sempre. Il valore di Lacoste e degli altri 3 “moschettieri”, come era chiamata la squadra francese, è stato quello di aver portato il tennis da uno stadio semiprofessionistico a una consacrazione come fenomeno di costume, che porterà anche alla nascita del Roland Garros in Francia.
La storia iniziale del coccodrillo ha motivi ancora lontani però da un’idea di prodotto destinato alla moda. Passeggiando davanti a una vetrina di un negozio di pelletteria a Boston, nel 1923, René sfidò il suo compagno di squadra Pierre Gillou, scommettendo con lui una borsa in pelle di coccodrillo in omaggio se l’indomani avesse vinto il suo match.
Nonostante la sconfitta, il giorno seguente la stampa americana riportò questa vicenda e il soprannome “alligator” rimase così un carattere distintivo di Lacoste anche in Francia, tanto da coinvolgere Robert George a ricamare sul blazer da gara un coccodrillo, poco differente da quello attuale.
Il simbolo del coccodrillo è stato realizzato in una precisa posizione, con le fauci spalancate, non così comune per un animale che il più delle volte cerca di mimetizzarsi nel silenzio più assoluto, attaccando all’improvviso e con estrema sicurezza. Semioticamente infatti il coccodrillo Lacoste esprime valori di forza e determinatezza, all’epoca associati al fondatore, per il suo stile di gioco aggressivo trasportato poi nella filosofia del brand. A questo si aggiunge la scelta del suo ideatore Robert George, di utilizzare un soggetto riconoscibile a tutti, noto anche se non comune dalle parti degli Champs Elysées. La marca in questo modo diventa più facilmente memorizzabile e presente come soggetto indipendente, un co-protagonista a tutti gli effetti, prima nel tennis e negli anni successivi negli sport marini e nel golf.
LA POLO COME ICONA
René Lacoste fa parte di quella categoria di persone per la quale nuove sfide significano nuove soluzioni. Il secondo momento in cui il fondatore del brand si conferma una delle pietre angolari del fenomeno di “fashionizzazione” dello sport coincide con l’invenzione di un nuovo capo d’abbigliamento, che raccoglie esigenze pratiche l’indispensabile eleganza: la Polo. Gli U.S. Open del 1927, giocati nel clima torrido di agosto del West Side Tennis Club di Forest Hill (NY), ispirano Lacoste a inventare la polo a maniche corte, che andava a rimpiazzare le camicie e i blazer pesanti e poco adatti a favorire i movimenti degli atleti.
La Chemise realizzata in cotone Petit Piquè inaugura così il fenomeno dell’eleganza funzionale, oltre che porsi come un simbolo sinonimo di qualità e resistenza. Il fenomeno si espanse, anche grazie alla consacrazione del tennis come sport popolare, e le polo iniziarono ad essere prodotte e richieste anche al di fuori dell'attività sportiva.
Negli anni la polo col coccodrillo passerà dal campo da tennis alla strada diventando emblema di aspirazione sociale e status symbol destinato a segnare l’estetica Preppy, Yuppie e Paninari.
La L.12.12 diventò la polo per eccellenza, interpretata nei colori più classici a partire dal 1951 fino alle versioni a righe e ai toni salmone e menta tipici anni ’80. Per anni segnerà l’inizio di quel rapporto maniacale e ossessivo nei confronti della marca, da sfoggiare nelle piazze delle grandi città o per elevare la propria immagine in provincia. Da fenomeno di eleganza sportiva diventa emblema la divisa della cultura del successo degli anni ‘80, che cambia il rapporto delle generazioni più giovani con il prodotto moda. Il parallelo e le somiglianze con quanto accade oggi tra gli hypebeast conferma il carattere ciclico dell’industria del fashion.
Proprio nel 1983, sull’onda di quell’entusiasmo Lacoste realizza il primo modello di sneaker, un item che grazie al proprio valore permette al brand di uscire dall’aspetto prettamente sportivo e riposizionarsi anche nell’industria della moda. Quel periodo rappresenta una sterzata nell’idea comune di percepire il brand Lacoste, e quella vitalità continua a ispirare i nuovi progetti. Un esempio è proprio l'ultimo modello di sneaker Courtline, che recupera i colori e le silhouette tipiche degli anni ‘80, equilibrando il touch sportivo e le correnti streetwear con un nuovo valore di eleganza, che René descriveva così.
DI NUOVO NELLE STRADE
Negli anni ‘90 la parabola di Lacoste subisce una flessione, pur mantenendo credibilità e rispetto nel mondo del tennis. Negli ultimi anni, il brand sembra essere tornato alla carica con nuove prospettive e ambizioni, grazie soprattutto al nuovo direttore creativo Louise Trotter - prima donna a ricoprire questo incarico -, la “Queen of Clean” che ha presentato la sua prima collezione durante la settimana della moda parigina dello scorso febbraio. Louise Trotter sta portando avanti il compito non facile di regalare al pubblico un nuovo modo di intendere il brand, continuando a renderlo familiare e fedele a quanto ci si aspetterebbe di trovare dalle collezioni Lacoste.
Dalle polo fino a un focus su accessori e sneaker, i progetti di Lacoste firmati nelle ultime stagioni si rivolgono a un nuovo pubblico, che strizza l’occhio a quei meccanismi sociali e culturali che ne hanno permesso la diffusione per le strade negli anni ‘80. La capsule con Supreme è sintomo chiaro di una nuova ondata di vitalità, condividendo la stessa forza visiva dei suoi simboli e la capacità di essere in un primo momento divulgatori e infine rappresentanti di un’élite affezionata. Anche il più recente drop in collaborazione con Tyler, The Creator racconta molto della capacità di innovare e conservare l’heritage legato al tennis, che rendono il coccodrillo un simbolo senza tempo.
Lacoste sta dialogando in modo diverso con il mercato e lo testimoniano anche le vendite online, passate dal 2/3 % del 2015 al 13 % di inizio 2019. Una nuova visione strategica sta aiutando a confermare la predisposizione del suo fondatore di osservare inmodo analitico la realtà ed estrarne i bisogni primari, come quando inventò una macchina studiata per gli allenamenti e utilizzata da molte generazioni di tennisti.
Importante in questo nuovo corso è anche aver riconquistato l’appeal della propria fanbase, legata al brand e educata anche grazie ai propri genitori, che negli anni passati hanno vissuto momenti diversi della storia di Lacoste. Il nuovo pubblico, che si unisce a quello più affezionato ai valori di pulizia ed eleganza del coccodrillo, alimenta il discorso che lega il brand a molte subculture giovanili e a una scena underground casual più diffusa in Inghilterra e Francia. Il filo rosso che collega Lacoste alla ribellione e libertà di espressione giovanile non è interrotto nemmeno ai giorni nostri, un esempio in Italia è il brano trap “Lacoste” pubblicato da Ketama 126 e Pretty Solero nel 2017.
L’ammirazione mista a delusione con la quale Roger Federer guarda il suo carnefice in completo bianco, rimarranno a lungo impresse nella memoria sportiva di molti appassionati. È certo anche che queste immagini non racconteranno solamente un evento circoscritto al tennis, ma alimenteranno un fenomeno estetico che slega i normali rapporti di dipendenza tra sport e moda.
Praticamente tutti i 15mila del Centre Court hanno tifato Federer per 5 ore, senza trattenere l’esultanza e la pelle d’oca, ora però sono davanti al nuovo campione, che per la quinta volta sta alzando il trofeo più importante del circuito. Parte l’applauso a scena aperta, non solo per fair play, nulla è stato alterato, Lacoste rimane nella storia del tennis, dello stile e dell’eleganza.