Shot Portrait
21 Settembre 2010
Francesca Woodman,fotografa, morta suicida a 22 anni.Come ha fatto? Dove ha imparato? Semplice. Talento allo stato puro.Francesca Woodman nasce a Denver , Colorando il 3 aprile 1958, figlia d’arte il padre George ,pittore e la madre Betty ceramista.Già a tredici anni comincia ad utilizzare la prima reflex e a fare i primi autoscatti.
Decide di iscriversi all’ Abbot Academy, una scuola privata per sole donne, tra i pochi licei americani ad avere corsi di arte. Subisce l’influenza da una delle insegnati la fotografa Wendy Snyder McNeill , che ritrarrà poi alla Rhode Island School of Deisgn (RISD). A questo periodo risalgono le prime fotografie, stampate nella camera da letto trasformata in studio fotografico. Negli anni a venire, ha continuato a usare se stessa come soggetto privilegiato delle sue foto, rappresentandosi sia in contesti domestici, con la predilezione per ambienti vintage e decadenti, che in mezzo alla natura, da sola o con amiche nel vivo di azioni e perfomance appositamente progettate.
All’amica Sloan Rankin , che le domandava perchè utilizzasse spesso se stessa come modello, la Woodman rispondeva “è una questione di convenienza. Io sono sempre disponibile”. La frase ironica e schietta ci aiuta a comprendere la ricerca dell’io e delle propria intimità che contraddistingue la sua fotografia, dall’altro la condizione di giovane artista adolescente che negli anni Settanta sosteneva da sola i costi di produzione del proprio lavoro. Si coglie un ricamo narrativo ricco di rilievi esistenziali, di evocazioni simboliche , di lunghe esposizioni e di riflessioni dedicate alla scoperta dell’io e dell’intimo sentimento. Ironia e disincanto combinati ad autorevolezza e consapevolezza definiscono uno sguardo di rara sensibilità e concorrono a un’azione compositiva che mescola ombre, figure senza volto, corpi, mobili, oggetti, frammenti e doppie esposizioni. Ecco dunque un volto quasi sempre tagliato dall’inquadratura, nascosto dai capelli o da maschere e un corpo che molto spesso si sposa al mondo circostante , un mondo che è <> come diceva Maurice Merleau-Ponty ,giocando con gli spazi che la circondano. La comunione di sé con gli oggetti che fanno da scenografia alle sue foto, rivelano un desiderio di immergersi completamente nell’universo, da cui poi riemergere con identità rinnovata. Una fuga continua da sé , a cui segue un immancabile ritorno. Ciò lo si vede negli scatti realizzati ad Andover (nel primo periodo), poi a Boulder, nella campagna fiorentina e soprattutto , in quelle realizzate alla MacDowell Colony, nel Hampshire.
Immagini delicate, sofferte , a tratti misteriose, quelle di un’artista geniale e precoce attraversata, come recita il titolo del suo primo ed ultimo libro, << DISORDINATE GEOMETRIE INTERIORI>>.