Come 'How to Make It in America' ha raccontato la genesi dello streetwear in tv
La serie tv che dieci anni fa parlava di qualcosa ancora sconosciuto
25 Settembre 2020
Dalla nascita dei grandi network e delle major, cinema e televisione non hanno mai perso l'occasione di raccontare fenomeni e movimenti, trasformando in prodotto qualsiasi spunto provenisse dalla società. Una caratteristica esplosa ulteriormente negli ultimi anni, da quando l'avvento dello streaming ha trasformato soprattutto le serie tv in un potente mezzo di comunicazione prima dei Millennial e adesso della Gen Z.
Sembra strano che un fenomeno come lo streetwear, perfettamente a cavallo tra le due generazioni, sia rimasto fuori dai giochi del cinema e della televisione. Nel corso degli anni la tv ha preferito parlare di moda attraverso reality come Project Runaway e il recente Making the Cut, mentre le opere di finzione si contano sulle dita di una mano, come l'italiana Made in Italy coprodotta da Amazon e Mediaset e Girlboss, prodotta invece da Netflix. Proprio Netflix, insieme a Complex, è pronta a lanciare Sneakerheads, una serie sul mondo del resell in arrivo in streaming il 25 settembre, mentre sullo stesso tema è in sviluppo un film con Pete Davidson e O’Shea Jackson Jr scritto e diretto da Ian Edelman, il nome che prima di chiunque altro ha capito e raccontato il fenomeno streetwear in televisione.
Era il 2010 quando HBO mandava in onda il primo dei sedici episodi di How to Make It in America, una serie decisamente per pochi, come testimoniato da quelle recensioni che all'epoca la bocciarono etichettandola come "furba" o nella migliore delle ipotesi "eccessivamente cool". Nonostante un inizio stentato HBO decise però di rinnovare la serie per una seconda stagione, aumentando il budget e inserendo guest star come Pharrell e Pusha-T, spingendo in generale lo show verso una direzione ancora più coraggiosa e ampia. Ma nonostante tutto, un mese dopo la fine della seconda stagione la serie venne cancellata, lasciando le storie dei loro protagonisti incomplete e i fan desiderosi di sapere cosa sarebbe successo. Qualcuno negli anni ha parlato di serie revival e di film, ma quello che conta di più è l'eredità lasciata da HTMIIA in soli sedici episodi, quel solco indelebile e generazionale al pari di serie come Girls o Seinfeld nel saper disegnare New York nei suoi usi e costumi.
In un lungo speciale di Complex, il cast e lo stesso Edelman hanno più volte sottolineato come nelle loro menti la serie non parlasse assolutamente di hype culture o streetwear, somigliando decisamente di più alla storia di formazione di due giovani appassionati di moda in una New York piena di stimoli e problemi. La storia di Ben e Cam racconta però la genesi di un mondo ancora in stato embrionale, quando Supreme e Palace erano solo due adesivi sulla tavola di Wilfredo Gomez e BAPE faceva capolino sulle giacche di Domingo Brown, interpretato da Kid Cudi. La nascita di Crisp, il brand fittizio che i due protagonisti cercano di fondare, è la storia di tanti brand reali nati e morti negli ultimi dieci anni, partoriti dalla hype culture e uccisi dalla stessa. Ogni puntata dello show costituiva un breve how to per chiunque volesse aprire il proprio brand, una guida di gioie e dolori che avrebbe messo in guardia una generazione intera di aspiranti designer: dalla ricerca dei tessuti (era il momento d'oro del denim giapponese) fino alla lotta con i competitor (quel Neanderthals così vicino a Vetements prima ancora che il brand francese esistesse), triangoli amorosi e amicizie lasciano spesso spazio a business plan sbagliati e incontri fallimentari con i clienti.
Se è vero che dieci anni dopo la serie somiglia a un autentico viaggio nel tempo nel mondo della moda (un'epoca in cui nulla passava per i social e tutto veniva venduto tramite pop-up), How to Make It in America rappresenta ancora oggi l'unica voce dello streetwear sul piccolo schermo, un viaggio nel passato con la capacità di parlare al presente ancora oggi, quando Ben e Cam sarebbero solo due su un milione.