Qual è il senso della collaborazione tra Travis Scott e McDonald’s?
Scott è una azienda, una multinazionale, e si comporta come tale
08 Settembre 2020
Sono passati 5 anni dall’uscita di Rodeo, il disco che ha proiettato Travis Scott nella blogosfera, rendendolo la prima vera superstar della trap era, quella in cui il rap era diventato il nuovo pop e, per i brand, i rapper i perfetti sostituti delle stelle dello sport. In questi anni, nessun altro artista è stato in grado di elevare la sua immagine come quella di Travis Scott, riuscendo a declinarla in qualsiasi comparto dell’entertainment moderno. Persino il suo esordio con Rodeo era stato accompagnato dalla release di una action figure dello stesso Travis: ora una nuova action figure comparirà sul mercato, come parte di un collaborazione con McDonald.
La partnership tra uno dei brand più popolari al mondo e Travis Scott replicherà qualcosa che era stato pensato solo per Michael Jordan e che non si vedeva sul mercato dal 1992. McDonalds realizzerà per Travis un menù apposito (come era stato per il McJordan), di cui farà probabilmente parte una sorta di Quarter Pounder con salsa BBQ, patatine e Sprite, oltre alla già citata action figure e, probabilmente, del merch. In rete è circolata la notizia di una tee appartenente alla collezione venduta per oltre 600 dollari, un modus operandi alimentato da quel circuito dell’hype ai limiti dell’idolatria di cui Travis Scott stesso è stato tra i principali fautori.
Business Insider è stato il primo media a leakare la notizia, ottenuta pare attraverso un memo di Morgan Flatley, capo marketing di McDonald’s US. Nel memo si legge che Travis «è un vero fan di McDonald’s e del nostro iconico e appetitoso cibo. [La collabo] susciterà entusiasmo tra i nostri giovani clienti multiculturali e avrà anche qualche sorpresa per deliziare il nostro staff assicurarsi che sia coinvolto nell’evento globale». Sempre secondo Business Insider, l’obiettivo di McDonalds è dunque estremamente targettizzato: «Dobbiamo assicurarci di star guardando attraverso la lente dei nostri operatori, del nostro staff, della nostra gente per entrare meglio in contatto con i giovani afroamericani».
Se negli ultimi anni infatti McDonald’s sembra aver risolto il suo problema con le generazioni più giovani (la Gen Z, al contrario dei Millennials, è molto più propensa a mangiare da McDonald's), il rapporto tra il brand e la black community è più intricato e complicato. Lo ha descritto bene Marcia Chatelain nel suo libro, Franchise: The Golden Arches in Black America in cui viene ripresa la storia di come McDonald’s abbia provato più volte a diventare un simbolo per i quartieri neri, riuscendoci solo in parte. Come racconta Chatelain infatti, negli anni ‘70 i McDonald's d’America rappresentavano gli unici posti in cui gli afroamericani potevano mangiare liberamente, così come i franchising erano le attività in cui gli afroamericani erano portati a investire. Le cose non andarono perfettamente, fino ad arrivare alle accuse di oltre 50 titolari afroamericani di franchise di McDonald's che hanno fatto causa all’azienda accusandola di averli ingannati circa le opportunità del loro business, promettendo alti guadagni e andando invece a posizionare i loro punti vendita in quartieri dall’alto tasso di criminalità e povertà.
Negli anni ‘80 e ‘90 la rincorsa verso il pubblico afroamericano è stata messa in atto attraverso la sponsorizzazione della NBA. Per anni, il brand è stato il principale sponsor della lega, arrivando a istituire un torneo tra i migliori giovani del paese (che si tiene ancora) e a realizzare commercial storici con stelle del calibro di Magic Johnson, Larry Bird e Jordan stesso. Fu proprio nell’ambito di questa collaborazione che Michael Jordan firmò per commercializzare il suo menù McJordan personalizzato - un caso unico nella storia. Ma se avvicinarsi all’NBA, una lega prevalentemente nera con un grande seguito di giovani afroamericani, è una enorme strategia mediatica vincente, siamo così sicuri lo sia anche Travis Scott?
Prima della sua recente intervista per la copertina di GQ, erano state rarissime le volte in cui Travis si era espresso su temi politici e su questioni di più pressante attualità come la police brutality e Black Lives Matter. Nell'intervista, Travis si è detto pronto a lavorare a stretto contatto con la sua città, Houston, per trovare modi di fare la differenza all’interno della comunità e di «avere un impatto reale» sul mondo: «è una battaglia che stiamo combattendo, e sembra che nessuno voglia darci il risultato che stiamo cercando».
Durante il SuperBowl del 2019 Travis Scott era stata l’unica star afroamericana ad accettare di esibirsi durante l’halftime Show, dopo che Jay Z, beyoncé, Rihanna e altri avevano boicottato l’esibizione per protestare contro il mobbing subito da Colin Kaepernick. Ci fu una raccolta firme per chiedere a Travis di non esibirsi e lui stesso partecipò allo show a condizione che la NFL donasse mezzo milione di dollari in beneficenza. Addirittura Meek Mill e Jay Z chiesero a Travis di ripensarci ma, come scrisse Justin Tinsley al tempo su The Undefeated: «È probabile che quello per il Wish You Were Here Tour di Scott continuerà a essere il biglietto più ricercato. Ed è difficile credere che Scott non vincerà almeno un Grammy il mese prossimo, considerato quanto SICKO MODE sia restato in cima alle classifiche per tutta la seconda metà del 2018». Nessuno, dunque, ha mai pensato che quella decisione potesse avere un qualche effetto sulla carriera di Travis Scott, e questo perché il pubblico di riferimento, il target e l’intero brand di Travis sono diventati quello che in gergo finanziario si definisce too big to fail.
Dopo la partnership milionaria con Nike, un documentario su Netflix e una collaborazione con il videogioco più popolare degli ultimi 20 anni, Fortnite, Travis Scott è diventato il perfetto compimento del capitalismo americano, un capitalismo dall’immagine perfettamente pulita, inattaccabile dai backlash dei social media perché talmente ubiqui dal finire con il piacere a tutti. Travis Scott ha fatto della sua carriera la rappresentazione perfetta dell’era Instagram, andando sempre più a posizionare come “Kanye West della nostra era” più che come nuovo Kanye West. Il pubblico di Travis Scott non è più necessariamente lo stesso di Kendrick Lamar, ma quello di Drake. Travis è il rapper della middle class americana, padre della figlia di una delle più potenti influencer del pianeta. Travis Scott è il rapper di tutti, come McDonalds. Ed è per questo che è difficile immaginare che possa riuscire nell’obiettivo di ampliare il già numeroso pubblico del brand, che da certo punti di vista del capitalismo rappresenta il lato più oscuro e stereotipato.
Fabian Gosler su Highsnobiety ha sottolineato come la collaborazione tra Travis e McDonald’s sia quella tra il rapper più popolare al mondo tra le Gen Z e uno dei fast food che in primis è responsabile degli alti tassi di obesità dei giovani americani, sottolineando forse in maniera fin troppo moralista come Travis Scott stia mettendo il suo compenso economico davanti alla salute dei suoi fan. Ma Travis Scott è una azienda, una multinazionale, e si comporta come tale: è molto probabile che della partnership con McDonald's faranno parte delle azioni di beneficenza direttamente collegate alla vendita del menù, che peraltro sarà venduto al prezzo popolare di 6 dollari. Non ha senso chiedersi se sia etico che Travis Scott faccia pubblicità ad un fast food, come non ne ha pretendere che i brani dei rapper siano educativi o che un brand non alimentati un hype folle e certamente insensato attorno alle sue collaborazioni. L’obiettivo di tutte queste iniziative è costruire quella che probabilmente è già oggi la più grande macchina da merchandising della storia della musica recente, molto più che riavvicinare McDonald's alla comunità afroamericana. Da questo punto di vista è chiaro che Travis Scott non garantisca street credibility, ma engagement e coolness, una coolness che un brand “vecchio” come McDonald's - come altri nel settore dei fast food, come Dunkin che collabora con la megastar di TikTOk Charli D’Amelio - non può che cercare nell’universo dei social media. Ma se è adesso chiaro a cosa serva Travis Scott a McDonalds, la vera domanda è: a cosa serve McDonalds a Travis Scott?