Roma Cult Files: Pizza Hype
Il collettivo di reselling formato da Carlo Bartolomucci, Silvio Gianmarco e Alessandro Tanzi si racconta
22 Novembre 2017
E’ notte fonda, mi trovo in una location segreta nel cuore del quartiere Africano a Roma, sede del collettivo di reselling Pizza Hype.
Alcuni degli item e delle sneakers più hype del momento invadono la stanza. Ad accogliermi ci sono i tre fondatori del collettivo: Carlo Bartolomucci, Silvio Gianmarco e Alessandro Tanzi. I tre ragazzi appaiono diversissimi dall’idea che oggi comunemente si ha del reseller. Niente pezzi rari o costosi addosso, un’attitudine più punk che fashion e molta voglia di raccontarsi con ironia. Ognuno dei tre ha una personalità ben distinta. Carlo è il motivatore e l’elemento trainante, Silvio è carismatico e casinista, Alessandro è l’uomo d’affari. Questo equilibrio funambolico e a tratti precario è però capace di sprigionare un’energia travolgente, che si avverte nell’aria. Questi tre ragazzi, in poco tempo, sono stati capaci di dare vita ad una delle realtà di reselling più interessanti e riconoscibili della penisola.
Decido quindi di immergermi nel loro mondo, nel loro speciale modo di vedere le cose. Sarà una lunga notte…
#1 Com’è nato Pizza Hype?
CB: Stavamo seduti in un bar, in stato di palese alterazione, tanto da pensare che una Yeezy su una pizza fosse una buona idea.
SG: Io non me la ricordo così… stavo sulla tazza del cesso, parlavamo al telefono di quello che ci eravamo detti la sera prima sull’aprire o meno un sito di resell. Siccome non eravamo ancora sicuri di come potesse venire vista dall’esterno un’idea simile, ho pensato che si poteva aprire un finto blog, per poi iniziare a resellare. Da lì è venuta fuori la pagina Instagram con il primo logo (orrendo) con la Yeezy e la Pizza.
AT: Io mi sono aggiunto qualche mese dopo, quando uscirono le Beluga.
#2 Da quanto siete in attività?
All’incirca un anno.
#3 Com’è nata in voi la passione per le sneakers e lo streetwear?
SG: Parlo per me, io ho iniziato con la roba da skate. Poi mi sono fissato con i marchi indipendenti inglesi semisconosciuti che stampavano su Gildan. Sono sempre stato più interessato alla cultura dietro le cose e all’aspetto artistico, diciamo. L’hype non mi ha mai interessato.
CB: Mio padre surfava, quindi per me l’inizio è stato l’abbigliamento da surf. Poi ho cominciato ad ascoltare sempre più Hip Hop e da lì mi sono interessato sempre di più al mondo sneakers e streetwear, fino a farlo diventare un’ossessione.
AT: Io ammetto di essermi incuriosito quando ho capito che dietro a questo mondo potevano esserci prospettive di guadagno. Poi però è nata la passione, perché senza quella i risultati non sono difficili da ottenere. Bisogna amare quello che si fa.
SG: Non resellavate se vi vestivate Abercrombie! (Ride)
#4 Qual è la filosofia di Pizza Hype?
CB: Fondamentalmente tirare avanti, facendo più cose possibile. Compriamo tutto quello che possiamo per garantire sempre una selezione vasta. Spesso ci sentiamo molto poveri per questo.
AT: Spesso rinunciamo a qualcosa di nostro per far crescere Pizza Hype. Non ci pesa.
#5 Cosa ne pensate della diffusione del reselling, da parte soprattutto delle generazioni più giovani?
CB: Per noi è un affare
SG: Vai, Carlé! (Strilla)
CB: Parliamoci chiaro, spesso sfruttiamo i reseller improvvisati. Il più delle volte sono ragazzini, che, non avendo soldi, svendono per paura di non riuscire a recuperare l’investimento iniziale. Per mantenere un’attività di resell ci vogliono parecchi soldi. La nostra abilità è comprare da loro ad un prezzo molto inferiore al prezzo medio di mercato e rivendere ad un prezzo superiore a quello medio di mercato.
SG: Il resell non è una novità, c’è da sempre. Oggi è un mercato saturo, perché c’è stata una sovraesposizione dei vari brand. Io ho scoperto Supreme 5 anni fa, grazie ai fake. Anche prima di Barletta i fake hanno aiutato questo processo di diffusione incontrollata. Contemporaneamente l’enorme diffusione dell’hip-hop ha alimentato il fenomeno.
#6 Anche la figura del reseller oggi è cambiata, da persona che agiva nell’ombra a vero e propria figura esaltata, specialmente dalle nuove generazioni…
AT: In giro per le community di fb ho visto gente con i biglietti da visita con scritto “reseller”. Sinceramente, mi sembra ridicolo.
CB: Bisogna capire che molti di quelli che sono conosciuti, perchè si autodefiniscono “plug” o “reseller” spesso non fanno una lira. Mentre ci sono ancora persone che, senza bisogno di farsi pubblicità sui social, muovono il resell-game dalle retrovie. Poi come sempre ci sono delle eccezioni…
#7 Qual è la fascia di età dei clienti di Pizza Hype?
CB: Molti sono giovanissimi, per questo cerchiamo di comprare molti item di fascia più “economica”, per esempio compriamo molte maglie Supreme. Perché è l’item più semplice da vendere a chi magari non lavora per via dell’età e ancora dipende dai genitori. Poi ovviamente andando avanti cominciano ad arrivare clienti adulti che magari ti spendono 3000 euro in un mese o anche i classici spoiled kids, che possono spendere anche più di un adulto.
SG: Bella per loro! Io sono fan della classica scenetta dei ragazzini piccoli con le shopping bag! Oltretutto per i ragazzini venire a contatto con brand come Supreme, che mischiano moda, musica e cultura può aprire tantissimi orizzonti. Un ragazzino che grazie a Supreme, per esempio, scopre chi sia Andreas Serrano, che quella grafica è anche la cover di un album dei Metallica…
#8 Ricevete anche delle critiche?
CB: Ci sono i puristi dello streetwear che ce l’hanno a morte con il resell. Non capiscono che dove girano soldi, ci sono interessi. Ultimamente si è sentito parlare di risse, di rapine, è l’altra faccia della medaglia…lì non si tratta più di vestiti e scarpe, ma solo di soldi.
SG: Io posso capire il discorso, perché in parte anche io vesto in un certo modo per “identificarmi” e non sempre è bello quando qualcuno mette le mani sulla tua passione, però fa tutto parte del gioco.
#9 Cosa c’è nel vostro armadio?
CB: Molti pensano che i reseller abbiano chissà quanti vestiti, io preferisco per ora reinvestire nella nostra attività e comprare per me solo oggetti a cui attribuisco un valore personale. Nel mio caso, Bape.
SG: Io quest’anno avrò venduto un centinaio di paia di scarpe, ma per me ho preso solo questo paio di AM 97 Ultra “Skepta”. Preferisco andare in giro con abiti vissuti, che mi ricordano determinati momenti e situazioni, piuttosto che avere cose nuove ogni giorno. Soprattutto le sneakers devo distruggerle, prima di cambiarle.
#10 Lo streetwear sta diventando fast-fashion?
SG: Ormai, l’hype si esaurisce sempre più in fretta. Molti degli item perdono la maggior parte del valore in poche settimane.
CB: Ormai quando esce un drop di Supreme o una sneaker hypata, già si pensa alla prossima. Pochissimi pezzi si salvano da questo ciclo di hype fast-fashion.
#11 Il vostro rapporto con il telefono? Quanto incide sulle vostre vite?
CB: Io ho scaricato un’App che mi dice quante ore ho utilizzato il telefono durante il giorno. Oggi segna 16 ore (ride). Alla fine vivo una vita quasi normale, ma sempre col telefono in mano.
SG: Io non ho l’App ma credo di superare spesso le 16 ore giornaliere. La mia ex mi ha lasciato, perchè stavo sempre col telefono in mano, per farti capire a che punto sono arrivato.