Ci siamo dimenticati di Snapchat
Che fine ha fatto il social che ha inventato le stories?
21 Febbraio 2022
Quando si parla del 2016, si fa sempre riferimento a come quell'anno sia stato indimenticabile per la Generazione Z: l’uscita di alcuni album diventati iconici, l'esplosione dello streetwear, la nostalgia legata ai ricordi della prima adolescenza collaborano a rendere dorato nei nostri ricordi un periodo che, sebbene sia lontano solo sei anni, sembra appartenere a un altro secolo. Parte di quel periodo erano ovviamente anche i social di riferimento in cui, oltre ai soliti Facebook e Twitter, avevano il loro vero punto di riferimento in un nome poi scomparso dalle memorie di molti: Snapchat. Fondato nel 2011 da Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown, l’app raggiunse il suo apice di popolarità a cavallo tra il 2015 e il 2016 distinguendosi dalla concorrenza non solo per una grafica colorata e vivace, ma anche per un aspetto tecnico che non aveva eguali. Snapchat piaceva perché era inedito, potendo contare su due feature all’epoca inedite: i filtri e gli Snap. Se rientrate in quel gruppo di persone che non ha mai creato uno snap, probabilmente siete solo troppo vecchi o troppo giovani. L’idea di poter creare un contenuto dalla durata limitata di 24 ore era qualcosa di mai visto, totalmente opposta alla visione di “un post è per sempre” usata da Facebook e Instagram e per questo capace di attrarre a sé una fetta di utenti nuova e creativa. Snapchat riuscì a spostare più in là il confine tra comunicazione e immediatezza, dando un fascino tutto nuovo ai post da social network.
Ad abbellire gli Snap, ovviamente, c'erano i filtri che con la loro estetica esageratamente divertente hanno segnato inevitabilmente l'estetica dei selfie nel 2016. Nessun social network prima di allora aveva pensato in questo senso agli autoscatti, e anche per questo l’app riuscì a diventare un vero e proprio cult capace di inquadrare i bisogni dei teenager in elementi semplici come i selfie, ma soprattutto con il desiderio e il bisogno di esserci sempre, connessi e reattivi, pronti a rispondere a uno Snap o ad "aggiungere" persone nuove. Snapchat giocava di proposito con la voglia di essere sempre raggiungibili dei più giovani, e su queste fondamenta ha costruito il suo successo, finché, come tutti i social network, ha esaurito il suo ciclo. La popolarità di Snapchat, per la verità, è durata molto poco, e la colpa non è neanche tanto sua. Finito l’effetto novità, gli Snap e i filtri non erano abbastanza per convincere gli utenti a utilizzare un’app dedicata solo a quelle feature che poco dopo, nel 2016, diventarono la nuova arma segreta di Instagram e delle sue Stories. Con un bacino d’utenti ben superiore rispetto a quello di Snapchat, Instagram ci mise poco a convincere gli utenti, dandogli una nuova forma di comunicazione capace di attrarre tutti, dagli adulti che usavano l’app in modo maldestro ai creator che in poco tempo impararono a sfruttarla per il loro tornaconto personale. A stretto giro le Stories integrarono anche i filtri, dando la possibilità agli utenti di crearne di propri mettendoli a disposizioni della community e contribuendo, nel bene e nel male, a far sbarcare il format delle Storie su qualsiasi altro social: Facebook, Twitter e addirittura Whatsapp.
Oggi Snapchat è difficilmente definibile come il social di riferimento dei teenager, anche se forse non lo è mai stato davvero. Fenomeno passeggero, troppo avanti per essere capito, la creazione di Evan Spiegel, Bobby Murphy e Reggie Brown può contare su 300 milioni di utenti ogni giorno - negli Stati Uniti, nel 2021, il 48% degli utenti aveva tra i 15 e i 25 anni - un numero comunque abbastanza rilevante per continuare a considerare Snapchat tra i social su cui almeno i brand devono restare. Quello che conta di più attualmente è che, nonostante i dati non parlino esplicitamente di una vera e propria caduta rovinosa di Snapchat, oggi nessun teenager - almeno in Italia - dichiarerà più di preferire il social del Ghostface Chillah (questo il nome dell'iconico fantasmino nel logo) a qualsiasi altro social network. E questo sì che rischia di diventare un problema a lungo termine per la piattaforma fondata da Evan Spiegel, Reggie Brown e Bobby Murphy ormai undici anni fa.