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Perché Stella McCartney ha lasciato LVMH?

Per molti, un fatidico segno dei tempi

Perché Stella McCartney ha lasciato LVMH? Per molti, un fatidico segno dei tempi

L’annuncio, stringatissimo, è arrivato ieri sera: Stella McCartney acquista la quota di partecipazione che LVMH ha nel suo eponimo brand che così torna pienamente indipendente. La notizia è strana. Certo è capitato che i founder di certi brand, accumulato abbastanza capitale, acquistassero le quote degli altri investitori per tornare a una piena indipendenza. Ma l’unico caso davvero eclatante di un founder che basicamente paga per uscire da un gruppo industriale e rendere il proprio brand di nuovo indipendente è quello di Azzedine Alaia, all’epoca della sua uscita dal Gruppo Prada oltre un decennio fa, nel 2007. Come nel caso di Alaia, che avrebbe mantenuto legami con il gruppo da cui era uscito per la produzione di scarpe e borse, McCartney non dovrebbe tagliare i ponti con LVMH ma rimanere nel gruppo nel ruolo, per altro fumoso, di “ambasciatore globale per la sostenibilità”. Ma cosa ha spinto McCartney, per di più in un momento di crisi del lusso globale, a voler lasciare la piattaforma logistica e gestionale del più importante gruppo del lusso mondiale per affrontare da sola le acque in tempesta del mercato? Chi vorrebbe mai scendere dal carro del vincitore? Sui propri social, Vanessa Friedman si è domandata se questa uscita non fosse «un segno dei tempi di Trump» ed è difficile non trovare un collegamento tra il retrofront che il nuovo governo USA sta facendo sugli obblighi di sostenibilità per le aziende, la presenza di Arnault all’insediamento di Trump e il rigore con cui Stella McCartney ha incentrato proprio sulla sostenibilità il proprio brand. 

La nostra ipotesi è che, per non compromettersi ideologicamente, sia McCartney che LVMH abbiano deciso di separare le proprie strade: in questo modo da un lato McCartney potrà mantenere le sue policy e conservare la propria libertà di espressione e, dall’altro, Arnault ha eliminato una possibile voce di dissenso che poteva nascondersi nei propri ranghi. In effetti McCartney era intervenuta al COP28 delle Nazioni Unite chiedendo di cambiare i dazi sui prodotti in pelle o sui materiali non sostenibili nel dicembre 2023. In effetti, se lo facesse oggi, le sue frasi potrebbero avere una risonanza diversa con il governo USA e suscitare rappresaglie di qualche tipo, sia tramite shitstorm su X/Twitter che tramite minacce di nuovi dazi e tariffe in America. Ovviamente comunque ciò che si nasconde tra le righe va ancora in maggiore profondità di così. È impossibile non domandarsi, ad esempio, come mai LVMH abbia deciso di liberarsi di un asset, ammesso che quest’ultimo generasse in effetti profitti. Qui le ipotesi sono duplici. Potremmo pensare, ad esempio, che McCartney abbia voluto dissociarsi dal modello di business aggressivo di LVMH e procedere a un ritmo più organico senza le ingerenze di una tavola alta. C’è anche la possibilità, forse più immaginosa, che la designer abbia capito di non poter star dietro alla strategia del rincaro dei prezzi e adesso voglia provare a vedere se i suoi prodotti possano trovare successo in un segmento di mercato più accessibile – in tal caso McCartney andrebbe lodata per la propria astuzia. 

Ma forse c’è un motivo se la separazione è apparsa consensuale. Potremmo anche pensare infatti che gli effetti che la crisi dei consumi di lusso sta avendo stiano spingendo gruppi come LVMH a concentrare le proprie risorse su brand al altissimo ritorno come Dior e Louis Vuitton sbarazzandosi dei pesci piccoli – quando il mare è in tempesta, la prima cosa da fare è gettare la zavorra fuori bordo.  Ad ogni modo, la notizia è stata data con una brevità tale da lasciar supporre che entrambe le parti stiano cercando di concludere la faccenda in fretta e senza esporsi troppo. Che sia un segnale della crisi del lusso o un segnale del nuovo corso non è dato sapere. L’unica certezza è che con il 2025 è ufficialmente iniziato un periodo in cui potremmo vedere verificarsi eventi sempre più inaspettati: più il business di LVMH dipenderà dagli USA e dunque dal rapporto con Trump, più le ideologie progressiste della moda e dei suoi designer troveranno punti di conflitto e di attrito. Ma in un mondo dominato dalle relazioni PR, la moda e i suoi protagonisti sapranno o potranno permettersi di parlare a voce alta?