Perchè sfilare in fashion week in un calendario vuoto?
La rivoluzione delle sfilate co-ed sta lasciando il mese della moda in magra
13 Dicembre 2024
La prossima Milan Fashion Week Men’s FW25 in programma dal 17 al 21 gennaio 2025 è stata annunciata in settimana durante la consueta conferenza di Camera della Moda Nazionale Italiana. E se già siamo abituati a una settimana della moda maschile piuttosto scarica, quella che ci aspetta sarà più simile a un weekend lungo e soprattutto sarà abbastanza vuota. Nonostante la presenza di grandi nomi come Prada, Zegna, Dolce & Gabbana, Armani e Magliano, le novità latitano. Molti brand iconici, come Gucci, Fendi, Etro e Dsquared2, hanno infatti optato per sfilate co-ed durante la settimana della moda femminile di febbraio di fatto unificando i propri sforzi per una fashion week femminile che sarà più meritevole di questo nome, almeno per quanto concerne la forma. Ad ogni modo, questa situazione non solo presenta seri interrogativi sul ruolo e sul futuro della settimana della moda maschile a Milano ma solleva anche il dubbio che la pioggia di sfilate di Co-Ed su cui numerosi brand hanno deciso di puntare non sia la conseguenza di una crisi che ha portato molti a razionalizzare le proprie finanze. Negli ultimi anni, i costi esorbitanti per l’organizzazione di una sfilata hanno spinto molti brand a ripensare le proprie strategie: i brand più grandi si giocano tutto su un singolo appuntamento o addirittura adottano altri format come ha fatto in questi anni Celine ma anche Maison Margiela; i brand più giovani (che spesso restano allo stato di “emergenti” per un decennio intero) spesso dispongono solo delle classiche presentazioni, con una visibilità ridotta e un impatto limitato. In un mondo della moda sempre più saturo e sempre meno redditizio, le sfilate sono un lusso che il lusso non può permettersi?
@maisonmargiela Maison Margiela Artisanal 2024 ‘Nighthawk’ A film based on an original concept by @JGalliano and directed by @Kasiuha Premiere today, September 30th at 8.30 p.m. CET On Instagram, Youtube, and MaisonMargiela.com
original sound - Maison Margiela
Non solo questo scenario evidenzia l’assenza di un sistema efficace che supporti i giovani designer favorendo invece brand esteri e wardrobe brands che meriterebbero forse la cornice di Pitti Uomo e non quella di Milano, ma crea un vuoto che mina sia la creatività che la rilevanza di Milano nel panorama internazionale. «Where Are the Brands? Milan Men’s Fashion Week Calendar Offers Soft Start to 2025 Season» titolava l’altroieri WWD mettendo di fronte al mondo intero e a tutti gli insider dell’industria notando che un unico brand, MSGM, ha pensato di presenziare in calendario con un party – un nuovo format di cui sappiamo ancora poco ma che appare più vicino ai recenti sforzi di Moncler e Stone Island e che, come spesso capita per il brand di Massimo Giorgetti, dovrebbe includere la sua comunità milanese in un’ottica meno rigida rispetto al classico palinsesto di show. E forse il problema principale di questa situazione riguarda proprio l’eccessivo affidamento sul fashion show come unico mezzo di comunicazione. Alternative come eventi interattivi, installazioni artistiche e momenti di scambio culturale potrebbero offrire nuove opportunità, sia per i brand consolidati che per i giovani talenti ma soprattutto potrebbero arrivare ben più lontano di dove può arrivare un concetto “classico” di sfilata che è ormai diventato il fossile di se stesso: spettatori che fanno video più che guardare, front row piene di celebrità prezzolate, collezioni di cui solo il 2% arriverà effettivamente in negozio. Senza parlare di come Milano, come città, potrebbe beneficiare enormemente da un approccio più inclusivo e diversificato, che integri la moda con altre espressioni culturali, attirando così la fashion community che già la anima ed è già presente sul territorio e valorizzando il suo ruolo di capitale della moda.
Già l’anno scorso il brand anarchico HG/LF aveva presentato la propria collezione con l’espediente di uno spettacolo teatrale mentre PDF di Domenico Formichetti aveva trasformato la propria presentazione in una sfilata-concerto che forse ha avuto limitata risonanza sui media tradizionali ma che sui social era stata ampiamente condivisa dal gran numero di giovani studenti e appassionati di moda. Entrambi gli eventi hanno spostato il focus dalla moda di lusso elitaria e dalle note ma seccanti logiche di mercato verso una moda più “vera” sia dal punto di vista dell’immediatezza creativa che da quello della connessione con il pubblico. Ma serve chiarificare che non parliamo soltanto di brand alternativi al mainstream o dall’appeal più giovanile – l’idea di una presentazione comunitaria è quella che ha fatto esplodere Diesel nelle prime collezioni di Glenn Martens, quando vennero organizzati feste e rave aperti a migliaia di studenti di moda che, in un caso, rimasero a ballare e a guardare lo show anche sotto la pioggia. Anche Moncler e la sua strategia promozionale sono un esempio perfetto di innovazione che funziona: dal faraonico show in Duomo passando per il lancio della collaborazione con Pharrell al Portrait Milano con tanto di live performance, tutti gli eventi firmati Moncler delle scorse fashion week hanno avuto un respiro più ampio delle classiche sfilate e una risonanza ancora maggiore mentre Loro Piana, che non organizza sfilate, ha convertito l’edicola di Via dei Giardini in uno stand dove si distribuivano torte giapponesi al pubblico avvolte da sciarpe di seta - inutile dire che ben presto davanti all’edicola si è formata una vera e propria fila.
if nyfw is dead it’s because people only want already established household names to show and there isn’t enough financial backing for experimental independent designerzzzzzzz not the otha way around
— thatadult (@rianphin) February 12, 2024
In ogni caso, iniziative del genere, sebbene innovative, rientrano in strategie di marketing ormai consolidate per molti brand e dunque possono spostare temporaneamente la natura del problema senza davvero modificarla. La vera sfida sta piuttosto nel comprendere se si possa effettivamente rompere il modello tradizionale della sfilata per proporre esperienze nuove. Il défilé resta a oggi il mezzo più immediato per presentare una collezione a stampa, buyer e pubblico globale che guarda tutto dai propri schermi. Ma è proprio questo formato escludente che solleva dubbi: se, da un lato, la sfilata è sempre stata un’occasione esclusiva per presentare abiti e accessori, dall’altro ha anche creato una distanza crescente tra i brand e il loro pubblico, rendendo difficile un’interazione diretta. Come se non bastasse, negli ultimi anni, questa forma tradizionale è anche diventata sempre più costosa, e anche grandi marchi hanno deciso di ridurre il numero di show, probabilmente per motivi strategici, ovvero economici. Questa tendenza solleva una domanda importante: perché continuare a insistere su una "fashion week" che, in realtà, è "week" solo nel nome, se ormai è diventata un evento diluito e così poco incisivo? Non sarebbe il caso di sperimentare approcci alternativi, che non solo rispettino il posizionamento di ogni brand, ma che provino anche a rompere la cornice ormai limitante della sfilata? Questo senza menzionare l’assenza di iniziative che includano il sofferente settore del Made in Italy nel quadro generale della narrazione di Milano - iniziative per ora limitate a un ambito iper-settoriale come nel caso della presentazione del film di Co-Lab 18, consorzio di 18 aziende leader del settore manifatturiero italiano.
Eventi più orientati alla community, esperienze interattive e una maggiore fusione tra moda, arte, innovazione e intrattenimento potrebbero non solo restituire a Milano l'immagine di capitale dell'innovazione che cerca (e dice) di essere, ma anche rafforzare la coesione e la forza della comunità locale della moda. L'alternativa a questo approccio rischia di portare a calendari sempre più diluiti, come quello che vedremo nella prossima MFW di Febbraio, dove i grandi brand saranno in netto contrasto con le nuove realtà emergenti, che faticano a ottenere visibilità. Questa situazione non è solo specchio di un divario crescente tra brand consolidati e nuovi talenti, ma riflette anche le disuguaglianze che, in modo più ampio, stanno dividendo sia la società che l'industria del lusso. Se i brand non intraprendono un percorso più inclusivo e interattivo, il rischio è quello di assistere a una maggiore marginalizzazione di chi sta cercando di emergere nel panorama globale della moda. nss già durante la pandemia ma anche tempo addietro aveva sollevato tali questioni spingendo per modelli e paradigmi nuovi o quantomeno differenti, anche perchè, come insegna Tomasi di Lampeduse ne Il Gattopardo, per far si che tutto resti com’è bisogna che tutto cambi. La Milan Fashion Week è davvero pronta per cambiare?