«Come essere nel corpo di un cervo»: le Vibram FiveFingers raccontate dal loro ideatore
Abbiamo incontrato Robert Fliri in occasione dell’installazione di Vibram alla scorsa Design Week
14 Giugno 2022
«Mi sembrava di essere nel corpo di un cervo, e non più di un uomo. Un animale che istintivamente salta da una parte all’altra», ci ha raccontato Robert Fliri, l’inventore delle FiveFingers di Vibram, che compiono quest’anno i loro vent’anni e sono state celebrate con una mostra nel Vibram Connection Lab di Milano che ne ripercorre la storia durante la scorsa Design Week. «Siamo andati a cercare qualcosa che non esisteva e non esiste ancora oggi nella mente di chi produce scarpe», ha raccontato Fliri alla stampa davanti i primi prototipi delle FiveFingers, creati tra innumerevoli difficoltà in un’Italia dei primi anni 2000 che non era pronta a concepire la scarpa come «un oggetto che è in se stesso un’opera d’arte». Ai tempi della nascita di quei prototipi Fliri era solo uno studente e le difficoltà erano state molte: lui, giovane designer, aveva concepito la futura FiveFingers come un guanto, il laboratorio invece pensava ancora in termini di scarpe. I primi prototipi, in effetti, erano tagliati, cuciti e creati a mano ma il problema veniva dal fatto che la scarpa andava prodotta industrialmente e dunque i computer dovevano elaborare da zero il complessissimo disegno tecnico richiesto per produrre la FiveFingers in massa. La soluzione arrivò tramite la classica plastilina, trasformata in una pellicola di un millimetro, modellata su uno stampo e mandata in Cina dove venne scannerizzata in 3D due volte, con e senza la plastilina, per creare un disegno tecnico per sottrazione.
Dal prototipo al primo modello passò un anno e mezzo, dal primo modello alla first generation passarono altri due anni circa, con lo storico modello KSO, acronimo di Keep Stuff Out, prima FiveFingers “chiusa” per evitare l’intrusione di sassi e altri elementi. È il modello più avanguardistico e più semplice insieme o, come lo ha definito Fliri, «questo è uno strumento. Ci abbiamo messo solo elementi funzionali. Non c’è decorazione. Questo è disegnato come disegnerei uno strumento – non ci sono cose effimeri, decorazioni, marketing. Questa è pulita. Concentrarsi sull’essenza, sulla vera funzionalità, a me piace quando una cosa è pura». La prima generazione però non è tutta disegnata come uno strumento: in alcuni membri di questa prima “famiglia”, per usare le parole di Fliri, «si può vedere che a Vibram piace sperimentare» con FiveFingers ricoperte di fleece, o modelli pensati per bambini, o all’uso di tecnologie come il knitting tubolare per la cui produzione in massa non esistono nemmeno macchinari. Un’altra famiglia di FiveFingers si chiama Glove perché replica l’uso della pelle dei guanti da guida e suole malleabili e leggerissime che Fliri ha definito «incompreso dal mercato». Intorno al 2008 e il 2010 il brand scoprì finalmente il mercato di massa per le sue FiveFingers: «Il designer si apre verso la decorazione. Questo è un modello di running […], ha già dentro molto design ornamentale. Abbiamo avuto anche modelli più grezzi e aggressivi – ma si nota che ci siamo aperti verso il mass market con una distribuzione più capillare e molti più modelli».
Accanto alla famiglia delle FiveFingers che hanno visto la luce, gli archivi di Vibram custodiscono altri modelli più sperimentali, Robert le chiama «prove tecniche», troppo complicati per arrivare al mercato di massa. «Noi abbiamo sempre cercato di spaziare verso tutto ciò possiamo prendere». Ma ce ne sono altri in lana, altri in mesh, alcuni cuciti e incollati, altri di pelle del tutto perforata, altri ancora costruiti come sandali avant-garde o costruiti con materiali del tutto naturali. Uno dei modelli migliori ha una suola tridimensionale che nacque come puramente decorativa, un ritratto di Marylin Monroe, ma che si scoprì possedere una grip sul terreno incredibile e così entrò in produzione. Ecco come Fliri conclude il percorso:
«Quando il successo americano ci ha proiettato verso un utilizzo molto sportivo, ci ha anche un po’ tolto il focus sui prodotti più estetici o di moda. A me va bene perché io penso che sia un progetto funzionale. E questo è il lato più interessante di questa azienda dove l’interesse progettuale e tecnico sposa una follia, o per altri creatività, straordinaria che crea sempre una tensione tra i due poli».