L'autentica Napoli di Betti Pedrazzi
La baronessa di "É Stata la Mano di Dio" raccontata dagli scatti di Eleonora D'Angelo
17 Maggio 2022
L’appuntamento è a Napoli, davanti al teatro Mercadante, il secondo giorno di tournée dello spettacolo Tartufo. Elisabetta Pedrazzi, per tutti Betti, nel pomeriggio aveva ribadito al telefono: «Ma come faccio a riconoscervi? Non vi ho mai visto!» – «Non si preoccupi, saremo noi a riconoscerla.» Betti è quell’attrice che nell’ultimo film di Sorrentino, in quella cucina gialla piastrellata della famiglia Schisa, dichiara una verità nuda e cruda, cui purtroppo non fatichiamo a credere: «L’umanità è orrenda, te l’hanno detto?». E nella sua schiettezza si presenta così anche nella realtà, senza alcun tipo di fronzolo. «Lo sapete vero che se mi chiedete di stare in posa, inizieranno ad uscirmi delle facce terribili? Io non sono capace, non so se lo sapete... ». Ci parla così, direttissima, con le sue mani gesticolanti e affusolate, sempre incollate a una sigaretta, che questa sia un drum, una Iqos o una Camel strappata a qualcuno. Sul tavolino appoggia il suo portasigarette in argento, uno charme che ci eravamo dimenticati da parecchio tempo: «Era di mio padre, ci sono tanto affezionata».
Ci sediamo per due chiacchiere, al Caffè Toraldo, per scioglierci un po’ e tra le prime domande, ci chiede: «Ma perché avete scelto proprio me?». Le iniziamo a spiegare chi siamo, la nostra realtà napoletana, e di come non serva una modella professionista per fare un editoriale di moda. Quello che cerchiamo è l’italianità e partire dalle origini di un posto che è casa e che nasce con la gente, tra la gente. Betti ci racconta così della sua Napoli d’adozione, di cui si fida ciecamente: «Napoli è forse l’unica città che ancora mantiene qualcosa di autentico. È vera, non si è modificata con il tempo in mezzo a tutta questa finzione». Difficile non aver visto l’ultimo film di Sorrentino È stata la mano di Dio, vincitore di 8 David, e non ricordarsi di quella scena cult tra la Baronessa Focale e il giovanissimo Fabietto. Parliamo di qualche minuto, intensissimo, dove lo spettatore non sembra pronto a vedere quello che sta per succedere. E forse nessuno sarebbe riuscito ad interpretare quel momento con così tanta naturalezza: «Tra le righe del testo neanche avevo compreso l’atto fisico in sé, infatti si vede poco o nulla. Ma avevo capito il senso di tutto, sapevo che per Fabietto (Filippo Scotti) sarei stata un semplice principio, ciò che gli serviva per vedere un futuro».
E il futuro è un po’ quello di cui abbiamo bisogno tutti e su cui si riflette la stessa opera Tartufo di Moliére, con regia francese di Jean Bellorini, ospite al teatro sul mare di Napoli. Betti, nei panni della Signora Pernella, insieme a compagni come Teresa Saponangelo (Elmira), Gigio Alberti (Orgone), Federico Vanni (Tartufo) ci mostra il caos, le relazioni, la gioia, la libertà che in chiave ironica cerchiamo di conquistarci, tra il sacro e il profano. «Il teatro toglie le maschere, quelle che ci portiamo addosso tutti i giorni. Ed è molto diverso dai film, dalle fiction... soprattutto in quest’opera la prima regola è fare quello che ci sentiamo di fare. Se sbagliamo qualcosa, ricominciamo, mostriamo a chi ci osserva che ci siamo ingarbugliati e che dobbiamo riprendere da dove ci siamo interrotti. Jean ci vuole veri, vivi». E quando Betti, il giorno seguente, ci invita per il nuovo spettacolo, ci anticipa la sua modernità (anche se – ci tiene a dirlo – “moderno” non significa nulla): l’abbiamo capito dalle musiche di Battiato, di Mina e di Dalla, che non siamo abituati a sentire in un teatro, tra versi alessandrini e fiato invidiabile per pronunciarli tutti di fila. Dai colori, dai costumi di scena, che ricordano un po’ un Gucci e un Missoni del ’70, ancora attualissimi, e da un sipario che non esiste perché un personaggio (Ruggero Dondi in Cleante) lo troviamo già sdraiato, mentre ancora cerchiamo i nostri posti tra le poltrone.
A seguire passiamo la serata con lei, nella trattoria dove di solito si raccoglie con gli altri attori a fine spettacolo, quando lo stomaco si riapre e ci si abbandona alle chiacchiere. Così abbiamo fatto, parlando con lei del suo passato e del suo presente, di tutto quello che ha vissuto, senza rimpianti e che rifarebbe convinta: «La vita mi ha regalato tutto quello che volevo, le sono grata per questo. Ho fatto il lavoro che desideravo, ho amato e mi sono divertita fino a qui». Tra un continuo scambio di piatti e l’altro, insieme a calici di vino rigorosamente rosso, abbiamo parlato anche del suo rapporto con Instagram: «Non sono capace di usarlo!». In quel momento, unico anche solo nel ricordarlo, noi – figli del digitale – ci siamo sentiti in dovere di insegnare alla grande attrice l’arte del following. E così iniziamo a farle seguire gli amici e i colleghi, da Paolo Sorrentino a Toni Servillo, e come non seguire Fabietto? Le leggiamo un po’ di nomi, di alcuni non le importa (ma qui non soddisferemo la vostra curiosità nel dirvi quali).
Il momento social termina con un ultimo consiglio, quello di rinominarsi come la conoscono tutti: nasce così @bettipedrazzi. «Betti, sei carica per domani?» «Me lo chiedete perché siete preoccupati? Giuro che dormo stasera, così sarò riposata.» Quando l’abbiamo convinta a diventare il soggetto del nostro servizio, le abbiamo spiegato che anche questa è una forma di costume. Che un’attrice nasce per interpretare e che può diventare quello che vuole, basta che si senta a proprio agio e libera di fare quello che vuole. Così Betti accetta la sfida, la nostra e la sua, di uscire dagli schemi soliti di una fotografia patinata e posata, concentrandosi sull’ascolto (non è forse proprio lui alla base della recitazione?) della fotografa napoletana Eleonora D’Angelo, alla quale rivela: «Tu non mi sembri una fotografa come tutte le altre. E percepisco che anche tu hai tanto da raccontare». L’attrice ci accoglie così nella casa di cui è ospite, affacciata sul mare e piena di luce. Non posa per noi – proprio come ci eravamo promessi – ma sorride, cerca di fare, di distrarsi, mangia goffamente una sfogliatella di Scaturchio e alla richiesta di un po’ di musica chiede Keith Jarret o Mina. La vediamo vestita di seta, in rosa confetto, un po’ cotonata e con le labbra lucide: «Se mi vedo non mi riconosco, certo lo so che sono io, ma è come se mi stessi osservando dal fuori e non avessi la stessa percezione che ho io di me stessa.», dice sempre ad Eleonora.
Ad un certo punto, come in una di quelle scene mute che non hanno bisogno di nessun contorno recitato, Spotify sceglie per noi Mi sei scoppiato dentro il cuore e Betti si emoziona, dietro la lente ferma di Eleonora. Per un attimo un’eclisse di emozioni copre quei click, lasciandoci tutti in ascolto, davanti al volto intenso di Betti che non teme i nostri occhi addosso perché il ricordo di una persona importante le sta parlando. Cambiamo canzone e riprendiamo il ritmo, come un cambio di scena, di abito, di personaggio. Si riapre un sipario. Il fumo di sigaretta si fa sempre più intenso, come un’anima che si trascina e che le fa compagnia. Non può separarsene, tanto che fuma anche sul palco a teatro, raccontandoci di quella volta divertente in cui quella sigaretta maledetta non si degnava di accendersi. Ci spostiamo poi in Piazza Plebiscito, tra la folla curiosa che la riconosce e ci chiede se-lei-è-quella-attrice-che e la vestiamo in denim con mules gommate Y/Project, mentre ci cammina tra i colonnati, divertita e completamente a suo agio, forse perché noi, involontariamente, ancora una volta, altro non siamo che il suo pubblico. Così Elisabetta Pedrazzi, per tutti Betti, per i social ormai @bettipedrazzi, è una donna senza filtri, che a sessanta-e-non-ci-importa-quanti si è messa in gioco per noi, nei panni di qualcuno, di chi nello specifico non ha voluto dircelo, per dimostrare che, forse, quella umanità orrenda sa regalarci, a volte, delle sorprese.
MI SEI SCOPPIATA DENTRO IL CUORE
Credits:
Art Director: Vincenzo Schioppa
Photographer: Eleonora D'Angelo
Photographer Assistant: Danilo Cautero
Stylist: Ramona Tabita
Stylist Assistant: Giovanni Tritto, Lisa Mastrapasqua
MUA: Cinzia Trifiletti
Editorial Coordinators: Elisa Ambrosetti, Edoardo Lasala