Monella never dies, la storia di Monella Vagabonda
Ascesa, declino e rinascita del brand amato da veline e tronisti
12 Gennaio 2022
Colori accesi, glitter e soprattutto un'inconfondibile rana verde. Il nome di Monella Vagabonda è uno di quelli presenti nella mente di chiunque sia nato negli anni '90, uno di quei simboli in un certo senso immortali e legati all'immaginario di una moda italiana che ha visto protagoniste realtà come Sweet Years, Guru e A-Style. Fondato nel 2003 da Gino Gorgoglione, il brand proprietà di Gielle cresce nella cornice del polo produttivo di Barletta, che ben prima di diventare famoso per le vicende dei legit fake ha visto la nascita e la crescita di una realtà come quella messa in piedi dalla famiglia Gorgoglione, arrivata nel corso degli anni a collaborare con una lunga serie di brand e licenze. Ma oltre al lato logistico, la genesi di Monella Vagabonda avviene in un'Italia ancora lontana dai grandi gruppi del fast-fashion, che stavano iniziando ad affacciarsi proprio in quel periodo, ma florida di realtà Made in Italy che dal 2000 in poi hanno trovato le proprie fortune, affondando i denti in un paese ipnotizzato da un mondo in cui fama e alla celebrità erano tutto. Erano gli anni del Grande Fratello, di Passaparola e della coppia "velina e calciatore", un mondo che Monella Vagabonda ha saputo sfruttare a proprio vantaggio, usando il neonato "divismo vip" come porta d'ingresso nelle case dei suoi futuri acquirenti.
I testimonial e il successo
Prima di arrivare ai grandi testimonial della televisione italiana, il brand di Gorgoglione riuscì infatti ad insinuarsi negli schermi grazie a una serie di pubblicità occulte all'interno di alcuni programmi di punta dell'epoca. In un mondo in cui la parola influencer ancora non esisteva le figure di Veronica Rega, Filippo Bisciglia, Karina Cascella e Raffaella Fico iniziarono a portare il brand in tv, anticipando l'avvento dei primi veri influencer ufficiali del brand. Eva Henger, Anna Tatangelo e Belen Rodriguez rappresentavo i simboli perfetti di un marchio che voleva flirtare con il trash scegliendo personaggi al centro della cronaca e percepiti dal pubblico come trasgressivi ed eccentrici. Ben presto quell'immaginario fatto di tronisti e veline trovò un corrispettivo nelle scelte semantiche delle linee Vip e Snob, ma soprattutto nell'appariscenza che passava non solo per le foto paparazzate dei volti noti dello spettacolo, ma soprattutto nella ricerca stilistica dell'eccesso in cui i capi diventavano elementi sempre riconoscibili grazie a scelte di design che qualcuno definirebbe ardite, ma che per certi versi, soprattutto nell'ossessione dei loghi sempre presenti e spesso stampati in formato gigante, erano riuscite ad anticipare quell'ondata di revival Y2K che ci ha accompagnato nell'ultimo periodo. Un mix di ingredienti vincente che, dalla nascita del brand nel 2003 fino al 2008 lo portò verso un'ascesa inesorabile, rendendolo un tutt'uno con l'immaginario pop italiano di quel decennio. Ma quanto sarebbe durato?
La fine di un'epoca
Sono tanti i motivi dietro la fine di Monella Vagabonda, uno su tutti è sicuramente quello sociale e la fine del mondo che aveva fatto le fortune del brand di Gino Gorgoglione. La televisione era cambiata, ma soprattutto era cambiato il mondo che la circondava e che aveva perso l'amore spasmodico per quell'immaginario trash e appariscente su cui Monella Vagabonda aveva saputo costruire il suo successo. Ai motivi sociologici vanno poi aggiunti anche quelli di mercato: dall'avvento in Italia di H&M e Zara fino a un radicale cambio nei gusti dei consumatori. Il brand non riuscì mai ad adattarsi ai cambiamenti della società, rimanendo fermo all'estetica un tempo efficace ma diventata nel giro di poco tempo quasi una macchietta una volta che questa si era esaurita.
Il vero colpo di grazia fu però una sovrapproduzione di capi immessi sul mercato in una quantità tale da far perdere valore tanto ai capi quanto al brand stesso. Nonostante il suo progressivo declino, quella lasciata da Monella Vagabonda è la testimonianza di un decennio per molti versi lontanissimo da oggi in cui il concetto di stile rappresentava un insieme di eccessi e stravaganze incomprensibili per gli standard contemporanei. Questa capsula del tempo è diventata la base del "rilancio" del brand attraverso l'idea di una sostenibilità concettuale in cui, prima ancora della vendita, c'è la sensibilizzazione del pubblico ad abiti fuori moda, facendo in modo che questi possano tornare ad essere nuovamente appetibili trasformandone la percezione in un processo di riscoperta.
Se l'idea non è certamente quella di riportare il brand negli store in tempi brevi, il progetto di rilancio pensato dal nuovo direttore creativo Mara Russo insieme a Ettore Gorgoglione, vuole recuperare insieme all'aiuto di una serie di designer e artisti, come nel caso di Valentina De Zanche, quella che è un po' per tutti un pezzo di storia e che forse solamente oggi, dopo anni di ombra e dimenticatoio, ha trovato il contesto culturale adatto per raccontarsi.