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Perché Helmut Lang è ancora cool?

No, non si tratta del minimalismo

Perché Helmut Lang è ancora cool? No, non si tratta del minimalismo
Helmut Lang FW98
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW94 Campaign
Helmut Lang SS04 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang SS00 Campaign
Helmut Lang SS97 Campaign
Helmut Lang SS93 Campaign
Helmut Lang SS93 Campaign
Helmut Lang SS99 Campaign
Helmut Lang SS99 Campaign
Helmut Lang SS99 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang Eau de Parfum Campaign
Helmut Lang SS92 Campaign
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)

La prima parola che viene in mente quando si parla di Helmut Lang è "minimalismo". E in effetti nelle sue collezioni anni '90 si avverte ancora una semplicità che quasi stona con l'opulenza un po' chiassosa di molti dei suoi contemporanei. Ma, si potrebbe ribattere, negli anni '90 tutti facevano i minimalisti: per citare qualche nome, Jil Sander, Calvin Klein, Martin Margiela, Ann Demeulemeester. Perfino le collezioni di Gucci e Prada di quegli anni erano dominate dall'abito sensuale e semplificato – una risposta all'overdose di opulenza degli anni '80. Secondo Olivier Saillard, che cita il designer nel suo essay The Empire of Signs, Lang andrebbe definito più un essenzialista che un minimalista: cioè un artista non interessato a eliminare quantitativamente il superfluo ma a fare emergere qualitativamente la pura essenza delle cose, da Less is More a Less is Better.

Nel corso della sua carriera, Lang è diventato un fenomeno completamente a sé – un fenomeno che va oltre il minimalismo propriamente detto, considerato come l'apparente semplicità dei design, che era invece costellata di dettagli eccentrici come seni scoperti, cinghie bondage, tessuti sintetici dall'effetto bagnato, top trasparenti, pelle nera, jeans macchiati di vernice, luccicanti pantaloni di vinile, fasce da smoking e gilet antiproiettile, dettagli utility che trasformavano l'aspetto di capi rigidamente tradizionali. Nel panorama anni '90, le forme disegnate da Lang erano archetipiche, quasi elementari, ciò che colpiva era la disinvoltura di quelle silhouette, la loro mancanza di inutili complicazioni e la loro coolness che era insieme facilmente individuabile eppure inafferrabile, quasi impossibile da ridurre a un aggettivo preciso.


Un innovatore senza pretese

Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98
Helmut Lang FW98

Nato a Vienna nel '56, cresciuto coi nonni materni nell'oscuro villaggio tirolese di Ramsau am Dachstein dove imparò le basi per la costruzione degli abiti e poi tornato a dieci anni a Vienna, fra le mani di una matrigna che lo costringeva a vestirsi con abiti inestetici e fuori misura, Lang rimane fondamentalmente criptico e imprevedibile. A diciotto anni lavorava in un bar, frequentava i circoli dell'arte viennese e passava i lunghi turni notturni a studiare le uniformi dei borghesi e i codici di quelle subculture che pullullavano all'ombra della cultura ufficiale negli anni '60 e '70. Il mondo dell'arte lo attraeva e infatti, dopo che la fama internazionale come designer gli piombò addosso quasi per caso, fu all'arte che Lang tornò. 

Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)
Helmut Lang SS91 (via Rare Vintage Blog)

Essendo un autodidatta, un outsider rispetto alla moda mainstream, il suo approccio fu naturalmente out-of-the-box. I suoi inizi quasi umili, in un piccolo studio viennese dove creava abiti su misura, lo portarono a non lavorare secondo i canoni e i preconcetti di altri designer che dovevano obbedire ai diktat di retaggi e tradizioni culturali. L'infusione di arte concettuale, l'ingenuità creativa, la sensualità quasi fredda e distaccata delle sue creazioni lo portarono ad anticipare e innovare qualunque ambito si trovasse ad attraversare: disegnò un completo da uomo dalla silhouette iper-asciutta e anticipò la skinny suit di Hedi Slimane; usò palette di colori basici e silhouette decostruite e anticipò Yeezy; inventò la fusione di tech ed eleganza classica declinata in sfumature monocromatiche e anticipò il lavoro di Matthew Williams; mandò dei pantaloni da biker in passerella e anticipò Balmain; creò una canotta asimmetrica che lasciava scoperto un capezzolo e anticipò Telfar e Ludovic de Saint-Sernin. La lista potrebbe andare avanti.

Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03
Helmut Lang FW03

Tutto quello che riguardava Lang andava contro le regole prestabilite: le sue modelle non indossavano trucco, le sue pubblicità a stento contenevano vestiti e venivano pubblicate su National Geographic, i suoi design furono i primi a includere tessuti tecnici, la sua decisione di mostrare la sua collezione con sei settimane di anticipo fece spostare l'intera New York Fashion Week prima di quella di Parigi, le sue collaborazioni con artiste come Louise Bourgeois e Jenny Holzer furono le prime del loro genere, la fragranza Eau de Parfum creata per lui da Maurice Roucel non odorava di fiori ma di lenzuola pulite dopo una notte d'amore – era conturbante, muschiosa ma mai volgare. Tutto ciò che portava la sua firma, incluse le celebri foto di backstage firmate da Jurgen Teller, era insieme crudo, elegante e quasi ipnotico, anche se ciò che lo rendeva così ipnotico era del tutto indefinibile.


Il segreto della coolness

Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang SS04 Campaign
Helmut Lang SS92 Campaign
Helmut Lang SS00 Campaign
Helmut Lang SS97 Campaign
Helmut Lang SS93 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang SS93 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang SS99 Campaign
Helmut Lang SS99 Campaign
Helmut Lang SS99 Campaign
Helmut Lang SS01 Campaign
Helmut Lang Eau de Parfum Campaign
Helmut Lang FW94 Campaign

La storia della fine della carriera da designer di Helmut Lang è segnata, come in moltissime storie, dalle ingerenze di investitori esterni, ossia il Gruppo Prada che acquistò il brand e volle seguire una strategia commerciale innaturale per esso, più orientata alla vendita di accessori che a quella dei jeans per cui era diventato celebre. Le cose andarono male e Lang abbandonò per sempre la moda nel 2005 con il brand che passò di mano in mano pur continuando a presentare nuove collezioni che reinterpretano l'archivio di Lang, andato distrutto nel 2010 in parte a causa di un incendio, in parte a causa dello stesso Lang che tritò ogni pezzo rimastogli per trasformarlo in una delle sue opere d'arte. Lo stesso gesto iconoclasta di Lang dimostra il suo approccio del tutto astratto da una visione preconcetta della moda e del suo valore. L'anno scorso il designer disse a Vogue:

La mia intenzione è sempre stata quella quela di diventare un artista. Ho iniziato a sperimentare per trovare il mio linguaggio e sono stato sviato. Avevo l'idea autoinflitta che avrei potuto fare vestiti come lavoro secondario per sostenermi fino a quando l’arte non lo avrebbe fatto. Come sapete, è cresciuto molto più di quanto mi aspettassi. La moda doveva sempre essere temporanea. 

Questa attitudine devil-may-care è la chiave del fascino di Helmut Lang, che è il fascino di una sincerità intelligente e di una creatività concreta e priva di filtri. In un'epoca di facili idealismi di facciata, di connotati politici e ideologici e di enfatici comunicati stampa che descrivono la moda con un lessico curiale, che non le appartiene e pare quasi sforzarsi di ignorare la naturale commerciale del business, esaltando una presunta arte a discapito dell'autentico artigianato, la carriera di Helmut Lang è ancora oggi una lezione di sincerità, di quella inafferrabile realness che la moda ha perduto romanticizzando se stessa per il pubblico pagante. Quanto al romanticismo, Lang disse, nella stessa intervista a Vogue: "L'ho astratto nella maniera più intelligente che potevo, cercando di non renderlo troppo ovvio. Il romanticismo funziona quando è una qualità interiore, che non appare all’esterno".