La battaglia fra Nike e Warren Lotas
Come è nato lo scontro legale più feroce del 2020
14 Dicembre 2020
UPDATE 14/12/20 - L'ultimo capitolo della saga legale che ha visto il gigante Nike contrapporsi al designer Warren Lotas negli ultimi mesi è destinato a rimanere avvolto nel mistero: la causa intentata dal brand di Beaverton al designer sembrerebbe finalmente conclusa con un non meglio precisato accordo privato fra le due parti. Rimane comunque il divieto, per Lotas, di vendere prodotti che siano affini a quelli di Nike - i cui trademark sono stati giudicati validi.
Lotas rimane fiducioso sulla possibilità di commercializzare almeno la Reaper Sneaker, non si sa con quali modifiche. In un recente post di Instagram, ha infatti annunciato l'imminente pubblicazione di un video che spieghi il processo di creazione della scarpa.
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A vedere le più recenti evoluzioni della querelle fra Nike e il designer Warren Lotas ci si potrebbe domandare cosa c’entri un film horror di culto uscito 40 anni fa con quello che forse passerà alle cronache come la battaglia legale dell’anno dopo quella, felicemente conclusasi, di LVMH e Tiffany. Eppure tutto parte proprio dal quarantesimo anniversario del debutto di Jason Vorhees sugli schermi in Venerdì 13 – ricorrenza che Lotas ha deciso di celebrare con un’edizione limitata a sole duemila paia di sneaker custom-made da 300$. Unico, cruciale problema: le scarpe sono una replica quasi esatta di un paio di Nike SB Dunk ispirate a Jason Vorhees e mai rilasciate al pubblico; la seconda colorway rosa e marrone creata era invece una copia della Stussy x Nike SB Dunk “Cherry”.
Per un mese le acque restarono tranquille, poi Lotas decise di collaborare a una nuova versione della silhouette insieme a Jeff Staples di Staples Pidgeon – un remake della leggendaria Nike SB Dunk Low Pro “NYC Pigeon” presentato con un drop a sorpresa. Rifare una sneaker iconica come quella di Staples, e per di più insieme a Staples, toccò un nervo scoperto: alcune voci del pubblico si levarono a definire la sneaker un knock-off e, nelle prime settimane di settembre, Nike fece causa a Lotas davanti la Corte di Los Angeles per plagio e pubblicità ingannevole. Secondo i documenti:
«Warren Lotas ha intenzionalmente creato la confusione e sta provando a specularvi sopra sia impiegando il marchio “Dunk” registrato da Nike, utilizzando l’aspetto delle Dunk registrato da Nike e utilizzando un marchio che è simile allo Swoosh di Nike fino alla confusione per promuovere e vendere i suoi falsi».
Come risarcimento, Nike domandava il triplo dei ricavi che la vendita della sneaker aveva portato a Lotas, oltre che danni e copertura totale delle spese legali, intimandogli di ritirare qualunque oggetto di merchandise che contenesse il simbolo fuorviante – inclusi volantini, file digitali e biglietti da visita. Insomma, una completa tabula rasa.
Invece che retrocedere, Lotas piantò il piede a terra con più forza e assicurò i suoi clienti che i loro ordini sarebbero arrivati puntualmente. Di fronte a questa indiretta ma aperta sfida, qualche settimana dopo l’apertura della causa, Nike presentò in tribunale un’ingiunzione preliminare volta ad arrestare tutti i pre-ordini. La motivazione dell’ingiunzione era ora diventata la goodwill di Nike, ossia il valore intrisenco dei suoi trademark e, in senso lato, la reputazione dell’intero brand. Nel filing si legge: «Bisogna impedire a Warren Lotas di condurre a termine i pre-ordini per la sua sneaker falsa per la durata di questa azione legale». A Lotas vennero concessi 30 giorni per mettersi in regola, ma non ne passarono che sette e rispose per le rime a Nike: creò la Reaper Sneaker “Chainsaw”, sempre sulla falsariga della Nike SB Dunk, senza rilasciarle al pubblico ma inviandole ai clienti che non avevano ricevuto le sneaker originali. La motivazione venne spiegata da Lotas stesso:
«Crediamo che Nike stia facendo delle richieste non necessarie per intimidire i proprietari di piccoli business e impedirgli di esercitare la propria libertà creativa in futuro».
Ovviamente, la risposta di Nike non si fece attendere e arrivò una nuova ingiunzione, sottolineando come nemmeno i termini della prima fossero stati ancora rispettati. Inoltre la Reaper Sneaker risultava ancora troppo simile al trade dress registrato da Nike e non era mai stata presentata al brand per approvazione. L’intera questione venne rimandata al 19 novembre – giorno in cui il caso sarebbe stato messo di fronte a un giudice. Il giorno dopo la seconda ingiunzione ci fu il colpo di scena: Warren Lotas fece controcausa a Nike sostenendo che i trademarks per la Dunk, registrati originariamente nel 1985, non potevano essere considerati validi. L’argomentazione segue questa logica: il trade dress è un tipo di proprietà intellettuale relativo all’aspetto di un certo prodotto, ma alcuni degli elementi della sneaker di Lotas che Nike accusa di plagio, come le cuciture e i panel della tomaia, sono elementi strutturali della scarpa, che non ricadono dunque nell’ambito della proprietà intellettuale. Jeff Staples arrivò poco dopo a dare man forte a Lotas, sottolineando in un’intervista come le BAPE STA di A Bathing Ape fossero nate come imitazione delle Air Force 1, spiegando la differenza fra plagiari e customizzatori e, come affondo finale, chiamando Jeff Knight di Nike l’«OG bootlegger» per aver copiato da Onitsuka Tiger il design della Nike Cortez.
Domenica 22 novembre è arrivato quello che per ora pare il capolinea della saga: il giudice Mark Scarsi ha dato ragione a Nike e validato la sua ingiunzione a Lotas di arrestare i pre-ordini e, sostanzialmente, di arrestare tutte le sue attività (di marketing e non) relative alla sneaker. Il giudice ha anche ordinato di non commercializzare la Reaper Sneaker – altra potenziale fonte di profitto indebito. Allo stesso tempo il giudice ha negato la richiesta di Nike di trattenere tutti i soldi dei pre-ordini in garanzia per poi risarcire i clienti di Lotas in seguito. Curiosamente, la base per la vittoria legale di Nike è stata il mondo del resell: il fatto che su eBay le sneaker di Lotas fossero definite come Nike e con la sigla SB è stato la prova definitiva per dimostrare che le sneaker fossero un prodotto fuorviante. Al momento Warren Lotas non ha rilasciato dichiarazioni in risposta alla sentenza.