Evisu e la storia di come il denim giapponese ha conquistato il mondo
Dal distretto di Osaka ai video rap, come Evisu ha re-inventato il denim
02 Aprile 2020
Comincia (quasi) tutto con James Dean.
La quasi ossessiva fascinazione dei giovani giapponesi per l’estetica americana coincide pressappoco con l’uscita di Gioventù Bruciata, nel 1955, in cui Dean indossa appunto un paio di jeans. È proprio nel secondo dopoguerra che si sviluppa la Ametora, - “American Casual” - una nuova subcultura che nasce dall’attrazione giapponese per il denim americano, per la sua iconicità e per la sua potenza narrativa. La Ametora aveva tutti i connotati di una subcultura, anche nella sua sovversività:
«L'unico capo d'abbigliamento veramente controverso è il jeans. A un certo punto divenne il simbolo del fuorilegge. Al college gli studenti li indossavano, e i professori li cacciavano dalla classe perché erano troppo "sexy"», racconta Masayoshi Kobayashi nel documentario Weaving Shibusa.
Kobayashi è il fondatore di The Flat Head, un brand di denim della prefettura di Nagano, nel 1996, nato pressappoco nello stesso periodo in cui, ad Osaka, si andavano formando gli Osaka 5, di cui Weaving Shibusa racconta la storia.
Gli Osaka 5 sono, per l’appunto, cinque brand di denim che si sono formati ad Osaka, è che hanno contribuito alla creazione del mito e dello stile del denim giapponese. Studio D’Artisan, Denime, Evisu, Fullcount e Warehouse sono tutti nati, in quest’ordine, tra il 1980 e la metà degli anni ‘90, raccogliendo l’eredità della Kojima Denim Street, dove negli anni ‘70, BIGJOHN e la Kurabo Mills diedero vita al primo denim giapponese di sempre, il KD-8. L’immaginario degli Osaka 5 però fu quello che per prima riuscì a conquistare il mercato estero, riuscendo a ribaltare la prospettiva di acquisto: non erano più i giovani giapponesi a comprare i vecchi Levis’ americani, adesso gli americani volevano a tutti i costi i jeans giapponesi. Il primo vero brand a riuscire nell’impresa, fu Evisu.
W. David Marx, nel suo libro Ametora: How Japan Saved American Style scrive che Evisu fu il primo brand di denim giapponese a vendere per davvero agli Americani e, soprattutto, il primo a convincere un pubblico che andasse oltre la nicchia giapponese che il futuro del denim high-end passava dal Giappone. Per certi versi, dunque, Evisu ha inventato - per l’occidente - il concetto stesso di denim giapponese.
Evisu nasce nel 1991, fondato da Hidehiko Yamane. Yamane lavorava in uno dei più popolari negozi di Osaka, Lapine, famoso sia per essere uno dei maggiori importatori di Levi’s deadstock, sia per la proposta di denim Studio D’Artisan, il primo degli Osaka 5 e, insieme proprio ad Evisu, il principale innovatore stilistico del denim giapponese. Yamane mette allora in piedi il suo brand, lo chiama Evis come Ebisu, dio della fortuna e dei pescatori (la raffigurazione del dio diventerà il logo del brand) ma soprattutto come Levi’s senza una L, e disegna sulle tasche dei gabbiani stilizzati che assomigliano pure agli archi di Levi’s: «Il marchio dipinto voleva essere una battuta. Non credevo che qualcuno li volesse comprare davvero», ha raccontato Yamane. Lo stile, la ricerca in fatto di fit e la qualità di Evisu portano immediatamente il brand ad essere un successo, tanto che Yamane aggiunge una “u” al nome del suo brand per non correre il rischio di essere confuso con Levi’s. La produzione giornaliera di Evisu non superava le 14 unità, e i “gabbiani” venivano dipinti a mano da Yamane, restituendo in tutto e per tutto l’artigianalità di lusso del prodotto.
Il successo che porta Evisu negli Stati Uniti, però, passa in realtà dalla Gran Bretagna, e da una partnership che Yamane riesce a instaurare con un businessman di Hong Kong, Peter Caplowe, fondatore di The Hub, che gli permette di esportare i suoi jeans nel Regno Unito. Il denim, venduto in alcuni dei migliori store di Londra, come Duffer of St. George, diventa molto in fretta un item ricorrente nella scena culturale della Londra di metà anni ‘90, specialmente in quella clubbing fatta di acid house, garage e hip hop. è per questo motivo che la collaborazione tra Evisu e Palace è stata comunicata come un omaggio all’importante ruolo giocato dal brand giapponese nella scena clubbing londinese degli anni ‘90 e primi ‘00, con il coinvolgimento - in fase di lancio - di MC Skibdee, leggendario DJ jungle e drum ‘n bass londinese. Da lì a David Beckham, il passo è stato breve: l’allora numero 7 del Manchester United - nonché uno dei calciatori più popolari al mondo - viene fotografato mentre indossa un Evisu, e solo qualche settimana dopo l’Herald Scotland, il più antico quotidiano scozzese, riporta la notizia della storia dell’acquisto di un particolare modello di Evisu da parte di Beckham. Un Evisu con cinque bottoni in oro 18 carati - realizzato in soli 100 pezzi - venne spedito a Londra direttamente da Dundee, su ordine di Evisu stesso, così che Beckham potesse ottenere il suo modello in taglia 32.
In quel momento, siamo nei primissimi anni 2000, Evisu è già diventato un brand di culto in quelli che sono gli albori dello streetwear. Anche negli Stati Uniti, dove comincia a circolare tra i rapper: nel 2002, Jay Z cita il brand nel suo brano Show You How, («This ain't Diesel, nigga, these is Evisu»), e poi si presenta sul palco dei BET Awards indossando proprio un paio di Evisu. Qualche anno più tardi anche Beyoncé, nel video delle Destiny’s Child Lose My Breath, indossa uno dei più iconici modelli di Evisu, quello con il “gabbiano” gigante, disegnato su tutto il retro del jeans. Ma anche Lil Wayne, Young Jeezy, TI hanno spesso citato il brand all’interno dei loro testi, brand che la costumista June Ambrose - che si è spesso accreditata come la persona che ha portato Evisu negli States - inserisce in Belly, il film di Hype Williams ancora oggi ritenuto uno dei capisaldi del gangsta-movie, a testimoniare come l’estetica Evisu fosse entrata a far parte del linguaggio comune della street culture americana. Soprattutto, Evisu sembra simboleggiare più d’ogni altro brand l’adorazione che l’industria della moda americana provava verso le tecniche di lavorazione giapponesi. Evisu rappresentava un prodotto “di lusso”, in un epoca in cui il nuovo lusso e la contaminazione tra l’high fashion e lo streetwear erano ancora lontani dal diventare una realtà.
Nel momento in cui tutti i brand di streetwear cominciavano a conquistarsi la loro importante fetta di mercato, da Supreme a Bape a Stussy, proponendo quei pezzi che verranno poi considerati i fondamentali dello streetwear (t-shirt, hoodie e sneaker su tutto), Evisu trovò il modo di rendersi complementare a essi, andando a coprire quel buco sulla produzione di denim di alta qualità. Dal periodo di picco in poi, la storia di Evisu si fa più misteriosa. L’enorme successo commerciale porta il brand ad aprirsi alla produzione di una intera linea di apparel e di una linea femminile. Soprattutto, la popolarità del brand in Asia porta all’apertura di un numero considerevole di store in Cina, dove si sposta anche parte della produzione. Ed è proprio dalla filiera cinese che arrivavano tutti i prodotti poi venduti sul sito internazionale di Evisu, per circa 200 dollari, mentre gli autentici denim giapponesi continuavano ad essere in vendita unicamente sul sito giapponese - o pagando un sovrapprezzo di circa 700 dollari. Al di là di due store a Londra, Evisu non è mai riuscita ad aprire uno store negli Stati Uniti: secondo alcune voci nel 2006 era andata vicino all’apertura di uno store a Soho, a Manhattan, nelle immediate vicinanze di BAPE, ma la successiva crisi dei mutui sub-prime cancellò l’avventura ancora prima di nascere.
Dalla metà degli anni ‘00 in poi su mercato e stampa occidentale si cominciano a perdere le tracce di Evisu, colpa dei cambiamenti dei fashion trend occidentali, di un massiccio spostamento verso la Cina e di un cambio di proprietà. Fino allo spot di Travis Scott in Evisu dello scorso novembre e all’annuncio della collaborazione con Palace l’unico modo per ricevere qualche news su Evisu e sulle sue ultime collezioni era il South China Morning Post. Il crescente interesse però attorno alla moda d’archivio, il ritorno del denim e l’avvento del nuovo lusso sono però tutte condizioni che giocano a favore del brand, che facendo leva sulla sua artigianalità giapponese può tornare ad essere un player importante nel complesso sistema del fashion system moderno.