Guru, il brand della margherita che ha segnato gli anni Duemila
La storia del marchio tra t-shirt, incassi stellari, eccessi e fallimenti
08 Novembre 2019
Il disegno di quella margherita bianca e di quel logo nero dai tratti decisi hanno segnato la moda italiana dei primi anni Duemila. Guru è entrato nell'immaginario colletivo e, stando alle ultime indiscrezioni, sarebbe pronto a tornare.
Il brand che nei primi anni 2000 vestiva tutti con le sue t-shirt, sta pianificando il rilancio con la società di Lugano Ibc sagl. Sotto la guida del nuovo direttore creativo Simone Biagioni, già collaboratore di Dirk Bikkembergs e Calvin Klein, la collezione SS20 è pronta a riconquistare l’attenzione persa nel 2008 dopo l'arresto per bancarotta fraudolenta del fondatore Matteo Cambi. Il primo passo per riuscirci è stato il riavvio delle attività di marketing con una serie di sponsorizzazioni di gare ciclistiche, seguito da una distribuzione internazionale affidata alla società monegasca specializzata Ghep.
Volevo creare un’azienda molto semplice, improntata sulla tshirteria. In un paio d’anni nasce l’idea della margherita. La stampa era riconoscibile e anche il marchio aveva un grande impatto grafico. Gian Maria gestiva negozi di abbigliamento a Parma, io allora lavoravo per mia madre a Carpi, nel suo vecchio maglificio. Abbiamo costituito una società con pochi milioni di lire, abbiamo creato il marchio, abbiamo prodotto un piccolo campionario di magliette e felpe. La moglie di Gian Maria faceva le grafiche, usavamo un garage come showroom, dove ci trovavamo nei ritagli di tempo, la sera.
Il nome del progetto è Guru, scelto senza alcun riferimento alla cultura indiana o altro significato particolare, ma solo perché è una parola originale, facile da scrivere, che si pronuncia allo stesso modo in tutte le lingue. Nel corso del primo anno, su cinquemila magliette prodotte, ne vengono vendute mille. È allora che arriva la margherita a sei petali, un simbolo semplice capace di dare riconoscibilità all’azienda. Ora che c’è il logo, bisogna solo renderlo appetibile coinvolgendo i giusti testimonial.
Cambi e Montacchini non hanno molta esperienza, ma non importa, perché Matteo, oltre ad un diploma in ragioneria e qualche studio di marketing all’estero, ha un innato talento per le pubbliche relazioni. La sua prima mossa dopo aver registrato il marchio Guru è fare il giro delle discoteche più cool della riviera e di Milano lasciando sulle sedie “limited edition” delle sue magliette con la margherita sopra. Il ragazzo è simpatico, ha un misto di faccia tosta e naïve che alla gente piace, anche alle celebrities che incontra nei suoi giri notturni, starlet della tv come Elisabetta Canalis e Elenoire Casalegno e, soprattutto, sportivi come Bobo Vieri, Paolo Maldini, Filippo Inzaghi o Fabio Cannavaro. Il resto del successo lo fanno destino e fortuna come ricorderà l’imprenditore:
A quel tempo erano i più famosi e conosciuti, calciatori da prime pagine. Non erano sotto contratto con noi, ma avevano piacere ad indossare il nostro marchio. Il prodotto piaceva molto e loro trovavano divertente il fatto di comunicare attraverso le t-shirt. Andai ad uno showroom a Milano in cui c’era Maldini e gli regalai delle maglie che poi iniziò a mettere.
Complice il cattivo gusto diffuso nei primi anni 2000, insieme ad una foto uscita sui tabloid nell'estate 2001 di quei giocatori fotografati in spiaggia con la margherita stampata sulla schiena, gli item Guru diventano un must-have irrinunciabile. Cambi coglie al balzo il successo e inizia una serie di sponsorizzazioni sempre più importanti: da quelle di locali alla moda come Pineta a Milano Marittima e Billionaire a Porto Cervo, al Parma calcio, fino alla Formula Uno con la Renault e il campione Fernando Alonso.
La Sardegna era un posto stupendo e a quel tempo raccoglieva tutta la gente più dinamica e conosciuta. Ho trovato in quel luogo un ambiente in cui costruire delle operazioni di marketing e conoscere persone che potevano sposare il mio progetto.
È così che il giovane imprenditore entra in contatto con Flavio Briatore, stringendo quella che lui stesso definirà “un’amicizia lunga e di successo”:
Briatore mi ha portato ad essere sponsor della Renault per tre anni, due dei quali da campione del mondo con Alonso alla guida. Ciò mi permise di aprire al mercato spagnolo e di fare con Guru 35 milioni di euro in Spagna.
Parallelamente alla popolarità cresce in modo esponenziale anche il fatturato dell’azienda. Nel 2002 la cifra è già di 10 milioni di euro, nel 2004 arriva 70, nel 2006 a 90 e nel 2007 si prevedeva che avrebbe superato i 100. Guru si diffonde a macchia d’olio, raggiungendo Medio Oriente, Turchia, Stati Uniti, Giappone, Brasile, Cina e India. Tutti conoscono il brand della margherita che, tra il 2003 ed il 2005, si moltiplica dando vita ai marchi satelliti Guru Gang dedicato ai bambini e ragazzi dai 4 ai 16 anni, Guru Baby Gang, per bambini fino ai 3 anni, Blue Blood focalizzato sui jeans. Il successo economico incide sulla struttura della società che cambia presto nome in Jam Session, holding che ha al comando oltre a Cambi anche la madre Simona Vecchi ed il suo compagno Gianluca Maruccio De Marco, mentre ha Patrick Nebiolo, ex manager del Parma calcio, come direttore generale.
In meno di dieci la società fondata da un ventenne con 50 milioni di lire “per comprare un computer, un telefono e affrontare le spese vive” si è trasformata in un colosso che cresce al ritmo di 15 milioni di fatturato all'anno, talmente importante da realizzare campagne pubblicitarie con Stéphane Sednaoui, LaChapelle o Terry Richardson e con protagoniste come Pamela Anderson e Esther Cañadas.
All’apice del successo, il golden boy della moda italiana si perde tra feste faraoniche con Lele Mora, Flavio Briatore, Fabrizio Corona, belle donne, alcol e cocaina. Lo racconterà lui stesso in Margherita di spine – Ascesa e caduta dell’inventore di Guru, biografia scritta con Gabriele Parpiglia. È una vita esagerata fatta di 8 grammi di cocaina al giorno, i più costosi alberghi del mondo, ville, auto private, elicotteri, yacht con le sue sette carte di credito che continuano a strisciare un pagamento da centinaia di euro dopo l’altro. La cronaca dell’epoca svelerà che, secondo la Guardia di finanza di Bologna, Matteo e famiglia, “arrivano a spendere due milioni per orologi di marca, 15 per serate di gala in discoteca o in locali alla moda, altri due per noleggiare Ferrari, Bentley o Porsche. In tutto 32 milioni, a cui ne vanno aggiunti altri 22 come compensi per consulenze che Cambi si fa pagare dalla sua stessa azienda. Una voragine finanziaria che contribuisce pesantemente al tracollo del gruppo.” In una recente intervista ad Affaritaliani.it spiega così qual è stato il suo errore:
Essendo Guru una mia creatura, realizzata a 24 anni – io sbagliai nel non scindere mai quello che era l’azienda dai miei vizi, il mio esagerare nelle spese. La trattai come fosse una cosa unica con me, secondo la logica di “l’hai fatta tu, puoi farne un po’ quello che vuoi”. Il grande imprenditore invece sa bene la differenza sostanziale tra sé e l’azienda. E come non abusare di un patrimonio che alla fine non ti appartiene completamente, ma che è anche di soci, dipendenti, fornitori e via dicendo.
Ora Guru è sotto la guida della Ibc sagl e ha un nuovo direttore creativo che spera di ottenere ottimi risultati dalle prossime collezioni, ma la gloria dei primi anni 2000 sembra destinata a rimanere un lontano ricordo.