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Danilo Paura x G-SHOCK, l'irriverenza di un'icona

Il designer italiano ci ha raccontato della collaborazione con il brand di orologi indistruttibili

Danilo Paura x G-SHOCK, l'irriverenza di un'icona Il designer italiano ci ha raccontato della collaborazione con il brand di orologi indistruttibili

Ci sono degli oggetti che con il passare del tempo sono diventati delle vere e proprie icone, nel senso più puro del termine. Basta un’occhiata per riconoscere quegli item che fanno ormai parte del nostro immaginario collettivo, il dettaglio di una camicia, il colore di un logo, il manico di una borsa, la forma di un orologio.
È partito da questo concetto Danilo Paura, designer italiano tra i più talentuosi degli ultimi anni, quando è stato chiamato da G-SHOCK per una collaborazione inedita. Il creativo che ha dato vita ad una sintesi unica tra streetwear e tailoring, frutto di influenze e ispirazioni diverse, ha deciso di reinterpretare uno dei modelli di punta del brand di orologi indistruttibili per eccellenza, il modello a cassa quadrata DW-5600, dipingendolo con una sofisticata combinazione di bianco e nero.

Ciò che colpisce ulteriormente del progetto è la campagna pubblicitaria, irriverente, provocatoria e fuori dagli schemi, che fa leva proprio sull’iconicità dell’orologio scelto come soggetto dell’unione tra Paura e G-SHOCK: il fotografo Adriano Cisani, con l’art direction di C41 Studio, ha scattato infatti una campagna in cui l’orologio effettivamente non si vede mai, ma il segno che lascia sulla pelle di chi lo indossa è assolutamente inconfondibile. 

Di questa collaborazione, di streetwear, di Milano Fashion Week e di molto altro abbiamo parlato con Danilo Paura, quando l’abbiamo incontrato alla presentazione ufficiale del suo G-SHOCK da 10 Corso Como. Ecco cosa ci ha raccontato. 

 

#1 Come è nata questa collaborazione? 

Mi ha fatto veramente super piacere essere contattato da G-SHOCK, perché gli orologi del brand sono un po’ un simbolo, come una sneaker o un trench di Burberry, fa parte di quegli oggetti che sono effettivamente un culto dei nostri giorni. Oggi sto indossando un orologio che da bambino ho sempre desiderato e che da adulto ho sempre osservato, soprattutto perché G-SHOCK è un brand che nelle collaborazioni ha fondato la sua storia. Essendo questa collaborazione basata su un oggetto, un accessorio, voleva essere rappresentativa del mio network, un segno identificativo non solo delle cose che facciamo, ma soprattutto di come le facciamo. È ancora di più il modo di rappresentare di far parte di un gruppo. Rispetto a tutte le altre collaborazioni per me è stato fondamentale guardare tutti i passaggi, concentrandomi più a lungo sulla comunicazione, sulla scelta dell’immagine, su tutto ciò che sembra collaterale ma che in realtà è parte integrante del progetto. Tutti questi passaggi diversi portano ad un unico obiettivo, portano dove vuole il designer, non ci si può più fermare dall’osservare certe cose se si vuole capire qual è il messaggio del creativo. Per questo abbiamo scelto Cisani come fotografo, a cui abbiamo dato il compito di essere irriverente: con lui e con C41 ho un linguaggio condiviso, non poteva esserci nessuno di meglio per trasmettere il mio messaggio. Questa è una collaborazione realizzata in maniera più estesa, è stata più intellettiva che creativa

 

#2 Raccontaci appunto della campagna pubblicitaria che è stata realizzata per presentare l'orologio, che effettivamente non si vede mai negli scatti di Cisani. 

Tutto si basa sulla semplicità e sull’essere diretti. Per me era importante cercare un segno identificativo, che anche da lontano riesci a riconoscere, un simbolo di appartenenza. Siamo partiti un po’ come con Il Toro di Picasso, il primo che ha disegnato era iperrealista, con dei dettagli perfetti, ma l’opera finale non è che la sintesi della sintesi di tutta la creatività che ha esploso durante il suo processo creativo. Io ho cercato di fare la stessa cosa, ho prima esploso creatività, poi abbiamo maturato il concetto e siamo arrivati invece a quello che è il segno più semplice, ma che rimane. Quello che volevo fare era valorizzare e interpretare il DNA del brand in maniera un po’ diversa. Il brand nasce dall’esigenza di un ragazzo di indossare un orologio indistruttibile, un orologio che racchiudesse in sé i concetti di forza e resistenza. Noi abbiamo interpretato proprio questo concetto nel passaggio essere indistruttibile - essere immortale: il contenuto nella forma è la cosa più alta a cui possa aspirare un designer, essere riconosciuto solo da una forma. Soprattutto nella comunicazione abbiamo portato all’ennesima potenza questo concetto: siamo veramente orgogliosi anche di questo perché effettivamente è stato un concetto inverso, una comunicazione dove non c’è un prodotto, però non serve un prodotto per comunicare G-SHOCK, basta la forma. Nella comunicazione c’è irriverenza, cultura, e spero vi piaccia tanto quanto piace a me. 

#3 Che significato ha per te il concetto di collaborazione, una pratica di cui nel mondo della moda negli ultimi anni si è spesso anche abusato. 

Per me molti partono da un’esigenza, cioè nei momenti di difficoltà si buttano su una collaborazione, magari perché Kanye West o Virgil hanno fatto quel che hanno fatto. In realtà le collaborazioni non sono solo quello, è come fare un featuring in una canzone, è qualcosa che c’è sempre stato, come un duetto, anche Mina e Celentano hanno fatto una collaborazione. Io credo che collaborare in assoluto sia il momento di condivisione massima, quindi non esiste una collaborazione che possa far male, se fatta in maniera sana, naturale e coinvolgente. La cosa fondamentale da fare sarebbe prendere i valori dei due brand che collaborano e metterli a disposizione di una creatività in un progetto nuovo, come in un laboratorio. La collaborazione deve essere un modo per apprendere, ma non attraverso delle imposizioni: quello che imponi al mercato non ha una risposta secondo me, ha un’abnegazione. Invece io sono convinto che collaborare è un modo molto democratico e soprattutto aperto di condividere non un business, ma un pensiero. Le collaborazioni vanno viste molto di più come un investimento che come un semplice obiettivo di ricavo, mentre molti brand oggi le vedono come un’esigenza commerciale. È una pratica di cui si è largamente abusato, quindi non ci si può stupire se non tutte le collaborazioni hanno gli stessi risultati, anche perché si è massificato un contenuto. Io ho sempre interpretato ogni tipo di proposta come qualcosa che personalmente mi arricchisse, mi sono messo sempre alla prova. Non c’è cosa più fondamentale da fare che alzare l’asticella e mettersi alla prova davanti a una cosa nuova. Ho sempre interpretato le varie collaborazioni in modo molto personale, non ho scelto la strada più semplice ma ho scelto quella che per me poteva essere la più costruttiva, per questo sono più le volte che ho detto di no di quelle in cui ho detto di sì. 

 

#4 Sei stato spesso definito un’icona del mondo streetwear, esponente per eccellenza di questo trend. Qual è lo stato di salute di questa realtà ora? E’ giunto il momento di passare ad altro? La tua ultima collezione sembrava andare in una direzione ben precisa

Io penso di essere una persona che fa del suo lavoro la sua vita. Per me sarebbe assolutamente deleterio fermarsi a degli stereotipi che definiscono lo streetwear da un punto A a un punto B, per me non è quello lo streetwear. È la libertà che si ha di esprimere determinati concetti, è un po come l’hip-hop. La cosa più sbagliata che si possa fare è chiudere determinati contenuti in degli schemi, a quel punto lo distruggiamo lo streetwear. Secondo me la moda aveva bisogno di identificare un modo preciso di vestirsi e di dargli una parola, un simbolo, e si è scelta la parola streetwear, arrivando ad anche di quella. Per come la vedo io lo streetwear non finirà mai, non posso veramente immaginarmi una persona senza una sneaker, senza una hoodie. Non posso limitarmi a questo però. Per me il modo in cui interpreto il tailoring è streetwear, per l’immagine e l'estetica a cui vengo associato anche il mio tailoring è street. L’unica cosa mi ha un po’ disorientato e destabilizzato è il fatto di aver visto tante sneaker e tante hoodie in passerella. Per me oggi è sbagliato pensare che una felpa 3XL sia simbolo del mondo hip-hop, quello è stato il vero problema, l’interpretazione che ne è stata fatta, prendere certe cose e mandarle in una certa direzione. Ora siamo tutti più liberi, ed è una cosa bellissima. Grazie allo streetwear la gente veste veramente come le pare

#5 Siamo in piena Milano Fashion Week: pensi che questa manifestazione abbia ancora la rilevanza e la potenza comunicativa di un tempo?

Non posso negare che mi aspetterei qualcosina in più, però non posso nemmeno far finta di non vedere quello che sta succedendo. Da creativo, avendo comunque scelto una direzione un po’ diversa da tanti, è ovvio che il mio prossimo obiettivo è quello di sfilare a Parigi. Credo che Milano oggi sia una delle città migliori d’Europa, esserci per me è un prestigio e un privilegio. Poter dire anche la mia e vedere dall’altra parte persone che ascoltano e mi seguono per me è veramente meraviglioso. Quello che non dobbiamo fare è aspettarci cose che in questo momento non possono avvenire. Io sto facendo il percorso e voglio continuare così, però mi piacerebbe sfilare a Milano così come a Parigi. Le due cose dovrebbero tornare ad essere una conseguenza dell’altra, non una negazione dell’altra. 

 

L’orologio DANILO PAURA X G-SHOCK sarà in vendita dal 28 settembre 2019 presso una rete di rivenditori selezionati e presso G-Shock Corso Como al prezzo al pubblico consigliato di €129,00.