A Guide to All Creative Directors

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Il Made in Italy dovrebbe prendere esempio da Inditex?

Mentre il lusso scarta il middle market, Zara alza il tiro

Il Made in Italy dovrebbe prendere esempio da Inditex?  Mentre il lusso scarta il middle market, Zara alza il tiro

Il Made in Italy sta soffrendo. Solo nella prima parte del 2024, in Toscana sono state chiuse oltre 300 aziende tra pelletterie, concerie, tintorie e produttori di accessori - e una situazione simile ha sconvolto anche le Marche e la Campania. La manodopera perduta è un carico enorme sul Paese, fino a poco prima autore di tutti gli accessori presenti nelle più importanti boutique di lusso al mondo. Verrebbe naturale pensare che il lusso, con i suoi grandi guadagni, potrebbe aiutare il Made in Italy a sconfiggere la crisi; eppure anche i conglomerati LVMH e Kering non sono messi benissimo. Inditex, gruppo spagnolo proprietario di Zara e altri brand di fast fashion, in compenso se la sta cavando alla grande, avendo lanciato solo nell’ultimo anno collaborazioni e progetti con i creativi più seguiti del sistema nonché capsule di abbigliamento ad alta prestazione tecnica (anche se in questo campo c’è ancora molta strada da fare). I risultati finanziari del gruppo dimostrano la sua lungimiranza: durante il 2024 LVMH è restato in cima in termini di ricavi, con un gruzzolo di 20,7 miliardi di euro contro i 7,6 miliardi di Inditex, ma la crescita del titano di Amancio Ortega è stata inagguantabile, al 13% rispetto al 3% dell’azienda di Arnault. In un periodo di crisi per il lusso e l’artigianato, il gruppo di Zara ha individuato un’opportunità laddove nessuno riponeva più speranze: i clienti aspirazionali. A questo punto non resta da chiedersi se Inditex non sia davvero l’unico in grado di salvare il Made in Italy. 

Nell’ultimo anno il lusso ha smesso di dialogare con la realtà, l’unica che tutela il concetto di moda e di innovazione. Sì, perché agli albori della crisi delle vendite i brand hanno trovato rifugio nell'esclusività, nella convinzione che i clienti avrebbero apprezzato il loro impegno per la protezione del design nobile, ma hanno finito per alienare il pubblico. Il quiet luxury, per quanto affascinante, ha appiattito la direzione artistica di tutte le maison, e la rincorsa ai trend ha ulteriormente livellato il panorama stilistico delle proposte: riducendo  le collezioni a una mera ripetizione della stessa formula, la desiderabilità dei brand è calata a picco e, di conseguenza, il loro dominio di mercato. Con lo spostamento dell’attenzione dal design alla qualità del prodotto, dall’innovazione creativa alla nostalgica ricerca delle immagini passate, è anche venuta meno la rilevanza dei designer, un meccanismo che ha attivato quello che oggi conosciamo come “il gioco delle sedie dei direttori creativi”. La brand magic, quella formula che rende un marchio attuale e rilevante a livello culturale, è però un’energia che non si esaurisce e che, se abbandonata, può essere raccolta da un’azienda più attenta - come ad esempio Inditex.

Lo scorso autunno Zara ha avviato un calendario fittissimo di collaborazioni ed edizioni limitate, sia per l’abbigliamento che per l’arredo casa, con alcuni dei protagonisti della moda contemporanea. A fine settembre 2024 è stato scoperto il secondo capitolo di Zara x Harry Lambert, celebrity stylist di Harry Styles, seguito dalla collaborazione con il designer Stefano Pilati a ottobre, con il brand ungherese Nanushka nello stesso mese e con Kate Moss a novembre. All’inizio del nuovo anno il brand ha lanciato sul mercato la partnership con il designer inglese Samuel Ross e negli ultimi giorni ha annunciato le prossime uscite realizzate insieme ad Aaron Levine e StyleNotCom - non un designer, ma una pagina di Instagram che pubblica solo scritte. Il piano del precursore del fast fashion sembra non avere pieghe: il lancio di un portfolio di collaborazioni diversificate, che vedono la partecipazione sia di it-girl conosciute in tutto il mondo (Moss), sia di designer conosciuti prevalentemente nella fashion industry (Pilati), che di content creator “di nicchia” che ammassano quasi mezzo milione di follower (SyleNotCom), ha permesso al brand di attirare una nuova ondata di interesse, nuovi clienti e anche l’attenzione dei circoli della moda che fino a poco prima snobbavano il brand. 

C’è di più: la reazione a catena innescata dal lusso ha avuto ripercussioni su tutto il settore, filiera produttiva compresa. Pur avendo trovato riparo nell’aumento dei prezzi e nell’esclusione dei clienti aspirazionali dal mercato, nell’ultimo anno i conglomerati non sono stati in grado di mantenere due delle promesse che rendono il lusso davvero esclusivo, ossia l’inaccessibilità e la qualità. Nel 2024, i prezzi esorbitanti della moda e la crisi del Made in Italy hanno dato vita a un grande paradosso. Come giustificare la cifra altissima dei capi in vendita, se la filiera produttiva (specialmente quella italiana) sta soffrendo, travolta da un lato da accuse di sfruttamento dei lavoratori e dall’altro dalla chiusura di decine di centinaia di fabbriche? Isolati nel segmento del lusso ingiustificato, apparentemente inermi di fronte alla situazione critica dei distretti italiani dell’artigianato, i brand sono finiti con un fianco scoperto, hanno scartato troppi jolly. Nel frattempo, Inditex e colleghi erano pronti a raccogliere il resto e a colpire nel segno. Per il gruppo spagnolo gli ultimi due anni hanno rappresentato la tempesta perfetta: il competitor dell’ultra fast fashion Shein era finito nel mirino della critica sostenibile al posto di Zara, sia a causa dell’impareggiabile tasso di produzione che della sede dell’azienda (purtroppo la dicitura Made in China non ha una buona reputazione nell’immaginario comune), mentre il lusso aveva scartato il middle market e ridotto in frantumi il mito del direttore creativo. Così Inditex ha cominciato un processo di ripulitura del suo brand di punta che, più che a un rebranding, corrisponde a un repositioning.

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Attraverso edizioni limitate ma non troppo costose, qualità leggermente più alta rispetto alla concorrenza fast fashion (Pilati si è persino detto stupito delle capacità produttive del brand spagnolo), nonché a una ristrutturazione degli store da non-luoghi caotici e disordinati a oasi minimal dello shopping, Zara è andata a prendersi lo spazio di mercato che Shein e il lusso avevano lasciato libero. Come conferma la reazione di Pilati alla qualità del brand, il repositioning di Zara non è passato solo attraverso l’elevazione della direzione artistica ma anche della qualità. Sebbene il metodo di produzione del marchio aderisca tuttora alla filosofia del fast fashion, ossia una manifattura rapida ed economica che premia la quantità (spesso trascurando l’impatto del proprio operato sui lavoratori e sull’ambiente) e non la qualità, le ultime attivazioni dimostrano uno slancio da parte di Zara verso il miglioramento dei materiali tecnici. Solo nell’ultimo mese, il brand ha aperto un pop-up store di skiwear a Verbier, sulle Alpi svizzere, e svelato una linea di scarpe da corsa placcate in carbonio. La tuta da sci è già stata messa su neve da alcuni utenti di TikTok, che hanno criticato la sua inadeguatezza, ed è possibile che le sneaker, in vendita per appena 139 euro, non arrivino allo stesso livello di competitor affermati come On e Hoka. A ogni modo, il prodotto c’è, pronto per essere sfoggiato sulle piste da sci e da corsa meno professionali. 

Nonostante il sistema produttivo adottato da Zara e Inditex aderisca ancora al fast fashion, quindi promuove una moda dall'impatto ambientale colossale, bisogna ammettere che il marketing del colosso spagnolo è impeccabile. Adesso che Inditex ha dimostrato di avere le risorse economiche e artistiche per contribuire alla cultura reale, ossia quella che tutela il concetto di moda e di innovazione, occorre domandarsi per quale motivo il lusso e ancor di più il Made in Italy non vogliono entrare in dialogo con l’azienda spagnola per ripartire. Creativi e designer stanno migrando verso il fast fashion per tenere a galla la propria carriera e i consumatori sono stufi dell’ipocrisia delle maison che alzano i prezzi ma abbassano la qualità, perciò è ancora opinabile una collaborazione tra lusso e fast fashion, tra nicchia e commerciale? Secondo Statista, il settore del fast fashion nel 2027 arriverà a un valore di $185 miliardi, quindi una crescita del 74,5% in cinque anni. È possibile che questa prospettiva non susciti neanche un po’ l’interesse dei piani alti della moda? A conti fatti, l’idea di una collaborazione tra Zara e l’artigianato italiano non sembra così strana: il primo riuscirebbe a diminuire i costi elevando ulteriormente il proprio posizionamento, mentre il Made in Italy riuscirebbe una volta per tutte a tutelare il proprio patrimonio culturale. Forse è solo una prospettiva utopica, ma di certo si tratta di un’alternativa migliore alla chiusura di ulteriori fabbriche nei distretti artigianali più famosi al mondo.