Theatre of fashion: quando la sfilata di moda diventa arte
Contaminazione o semplice distrazione?
06 Ottobre 2017
Visioni complesse, stratificate nelle quali il significato delle creazioni resta mistero.
Tra location da sogno e abiti che sono vere e proprie architetture da indossare, finisce anche la settimana della moda di Parigi, l’ultima di una lunga serie di giornate dedicate alla Women's SS18.
Più che semplici sfilate, quelle che si susseguono una dopo l’altra sono piece teatrali, installazioni artistiche in movimento che sottolineano come moda ed arte siano diventati ormai concetti speculari veicolati in modi sempre più ingegnosi e spettacolari.
Da Elsa Schiaparelli e i Surrealisti ai quadri da indossare di Viktor and Rolf per la Fall 2015 Couture, dai bellissimi e curatissimi set di Chanel ad Alexander McQueen con il suo mood gotico, le performance iconiche e gli abiti scultorei, un filo lega queste due entità in maniera viscerale. Arte ed artisti ispirano, offrono idee e suggestioni, ma, in certi casi, plasmano le silhouettes degli abiti, la loro costruzione, ne influenzano la scelta cromatica, determinano accessori, trucco, hairstyle ed il modo nel quale vengono presentati al pubblico.
Così i fashion show aumentano il loro grado di teatralità nel tentativo di evocare un determinato stato d’animo, una sensazione, un’esperienza che traduca i capi di una collezione in qualcosa che resti vivo, impresso nella memoria e nel tempo.
Negli ultimi anni quando il sipario sta per alzarsi su una nuova stagione di sfilate di moda, giornalisti e fashionista sanno che non vedranno solo delle modelle camminare su una passerella, ma si aspettano la magia, la meraviglia, il coup de théâtre - e poco importa che queste cose arrivino dagli abiti o dai set, l'importante è che ci siano.
I designers sono a tal punto consapevoli che i consumatori non vogliono più solo possedere un prodotto di lusso, ma vuole farne esperienza, gareggiare fra di loro per l’idea più innovativa, quella col maggiore appeal.
Basta pensare alle presentazioni drammatiche dell’ultima Paris Women's Fashion Week SS18, tra tutte, quella che ospita il maggior numero di creativi che optano per creazioni architettoniche, artistiche, performance e location spettacolari.
Saint Laureant, ad esempio, ha portato la sua collezione ai giardini del Trocadero, dove la luna in un cielo stellato e la Torre Eiffel in sottofondo riempivano gli occhi degli spettatori di bellezza, lo stesso sentimento evocato dalla cascata d’acqua ricreata da Karl Lagerfeld e Chanel all’interno del Grand Palais. Comme des Garçons, Rick Owens, Dior e Undercover, pur mantenendo alto intorno ad essi hype e spettacolarità hanno scelto di trasmetterla attraverso presentazioni più basiche, ma creazioni concettuali, iperdecorate, arricchite da una forte connessione col mondo dell’arte. Il primo, realizzando quadri viventi di Arcimboldo o Macoto Takahashi; Owens continuando il discorso criptico su Marinetti e Thayath iniziato con la precedente collezione uomo; Maria Grazia Chiuri per Dior omaggiando le opere colorate di Niki de Saint Phalle e Undercover quelle di Cindy Sherman.
Dato per certo che il trend del “theatre of fashion” sia una realtà destinata a restare, la domanda è: la bellezza intorno agli abiti o la loro contaminazione col mondo dell’arte distolgono l’attenzione da essi o, al contrario, la amplificano?