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Supreme Italia - Il caso della 'concorrenza parassitaria'

Ne abbiamo parlato con Martina Maffei, avvocato dello studio legale Simmons & Simmons ed esperta di Proprietà Intellettuale

Supreme Italia - Il caso della 'concorrenza parassitaria'  Ne abbiamo parlato con Martina Maffei, avvocato dello studio legale Simmons & Simmons ed esperta di Proprietà Intellettuale

Siamo all'inizio del 2016 e l’ambientazione è quella di Pitti Uomo 89 quando fa la sua comparsa per la prima volta al grande pubblico il brand Supreme Italia.

Venduto come un rivenditore autorizzato di Supreme sul territorio italiano e facendo leva sulla disinformazione vigente nel Bel Paese per quanto riguarda il brand americano, Supreme Italia inizia la sua spirale ascendente. Sfruttando il successo mediatico e il capitale reputazionale così faticosamente costruito da Supreme New York nel corso di trent’anni di attività, Supreme Italia viene acquistato dai fan meno informati e dai novizi dello streetwear ma anche da retailer e shop convinti di star acquistando il brand originale.

Il motivo di questo diffuso malinteso?

Supreme Italia ha copiato in tutto e per tutto gli elementi distintivi del brand originale: dal materiale pubblicitario fino al celeberrimo logo, Supreme Italia ha colto al volo la mancanza di un marchio Supreme registrato, se ne è appropriata e ha cavalcato l’onda dell’impreparazione giovanile in merito al marchio originale. Due anni dopo, a seguito di innumerevoli segnalazioni, il 20 aprile 2017 il Tribunale di Milano ha accertato la condotta di Supreme Italia come “concorrenza parassitaria”, ai danni di Supreme New York.

Per capirne di più sul significato e le conseguenze di questo provvedimento abbiamo intervistato Martina Maffei, avvocato dello studio legale Simmons & Simmons ed esperta in controversie sul diritto d’autore e proprietà intellettuale. 

 

#1 Quanto è diffuso il fenomeno della contraffazione in Italia?

 

Purtroppo si tratta di un fenomeno molto diffuso e in crescita, anche a causa della presenza del web che facilita la circolazione di falsi dando spesso origine a un vero e proprio mercato parallelo. Ad oggi l’Italia resta una tra le nazioni maggiormente colpite dal fenomeno della contraffazione e secondo le più recenti stime il settore più colpito in assoluto è proprio quello dell’abbigliamento e degli accessori.

Sulla base della recente analisi condotta nell’ottobre 2016 da Confcommercio - Imprese per l’Italia in collaborazione con Format Research, nel 2016 il 27% circa dei consumatori (l’1% in più rispetto al 2015) ha acquistato almeno una volta prodotti contraffatti e il 73,3% del campione degli intervistati ha dichiarato di acquistare prodotti illegali in prevalenza “perché pensa di fare un buon affare risparmiando”. Gli stessi dati dimostrano anche i gravi effetti della contraffazione che vanno dalla riduzione del fatturato dell’imprese alla perdita di reputazione della stessa nei confronti dei clienti e consumatori. 

 

#2 Che cosa si intende per “concorrenza parassitaria” e in che modo è riconducibile al caso di Supreme Italia?

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Per concorrenza sleale “parassitaria” s’intende quel fenomeno per cui l’imitatore, ponendosi sulla scia di un concorrente, copia in modo continuo e sistematico i prodotti di quest’ultimo, ne sfrutta la creatività, gli sforzi organizzativi e gli investimenti di carattere pubblicitario in modo “parassitario”, ovverosia senza sostenerne i relativi costi. Si tratta di una condotta in contrasto con le regole della correttezza professionale tra imprenditori e pertanto sanzionata ai sensi dell’articolo 2598 del codice civile. Di fatto l’agganciamento parassitario all’immagine del marchio celebre imitato induce il pubblico ad operare un collegamento psicologico anche inconscio tra i due segni, permettendo al contraffattore di acquisire indebitamente uno spazio specifico sul mercato che altrimenti non sarebbe in grado di occupare. Nella vicenda relativa al marchio Supreme, il Tribunale di Milano, con ordinanza datata 20 aprile 2017 ha accertato la concorrenza sleale parassitaria posta in esser da parte della società che chiameremo “Supreme Italia”, sottolineando come quest’ultima non solo ha utilizzato il marchio identico “Supreme” per prodotti streetwear identici a quelli originali, ma ha ripreso anche immagini pubblicitarie e la grafica di casa madre in modo continuativo. Secondo le parole degli stessi giudici milanesi, in questo caso la sussistenza di una concorrenza parassitaria sarebbe palese, in quanto la società Supreme Italia si sarebbe addirittura presentata nei propri cataloghi come la “licenziataria autorizzata” di Supreme. 

 

#3 A causa di questa condotta illecita, Supreme Italia è stata soggetta ad un’ "ordinanza cautelare di inibitoria", che cosa significa?

 

Significa che il Tribunale di Milano ha accolto la domanda presentata in via cautelare da Supreme e ha ordinato al concorrente italiano di interrompere immediatamente la produzione, l’esportazione e la commercializzazione di capi di abbigliamento o di qualsiasi altro prodotto recanti illecitamente il marchio “Supreme”. 

In ottemperanza dell’ordinanza, Supreme Italia deve ritirare dal mercato tutti i cataloghi, tutti i materiali promozionali e tutti prodotti con marchio “Supreme”; in altre parole dovrà assicurarsi che non siano offerti in vendita prodotti fake sull’intero territorio italiano.  Con l’ordinanza del 20 aprile 2017 il Tribunale di Milano ha anche ordinato a Supreme Italia di cessare l’utilizzo del nome a dominio supremeitalia.com, illecitamente registrato a suo nome.

 

#4 Supreme Italia è attiva sul mercato da ormai due anni, per quale motivo si è dovuto aspettare tanto prima che un Tribunale impugnasse la questione?

 

In realtà, in questi casi il Tribunale non procede d’ufficio ed è necessaria l’iniziativa spontanea del legittimo titolare del marchio, il quale può rivolgersi al Tribunale competente in via cautelare (chiedendo d’urgenza un’ordinanza simile a quella resa nei confronti di “Supreme Italia”) o può instaurare un vero e proprio giudizio di merito, volto ad accertare la contraffazione o la concorrenza sleale e ottenere la condanna del convenuto al risarcimento dei danni. 

 

#5 Per diverso tempo si è detto che, a causa di un vacuum legislativo, il marchio Supreme non potesse essere registrato, è davvero così? Com’è possibile che siano entrati in possesso del dominio online supremeitalia.com?

 

In effetti, sulla base di quanto risulta da una ricerca effettuata sulla banca dati online dell’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti (UIBM) la domanda di registrazione del marchio italiano Supreme è stata depositata solo pochi anni fa, nel 2015 (precisamente il 9 ottobre 2015). In base alle notizie circolate ad oggi, sembrerebbe però che tale ritardo sia stato causato, più che da impedimenti di natura legislativa, da vicende interne al gruppo societario Supreme. 

Quanto alla registrazione da parte di Supreme Italia del nome a dominio supremeitalia.com, si tratta purtroppo di un episodio di “cybersquatting” o “cybergrabbing”, termini che indicano la condotta di occupazione abusiva di domini corrispondenti ai segni distintivi o marchi di una impresa o di un ente, nel tentativo di sfruttarne la notorietà o nel tentativo di rivendere detti nomi al miglior offerente.
Oggi è pacifico che l'utilizzo di un nome a dominio che riproduce un marchio registrato da un terzo integra le fattispecie di contraffazione e di concorrenza sleale di cui all'art. 2598 c.c. 

 

#6 Quali sono le conseguenze, legali e non, legate al risultato ottenuto in tribunale contro Supreme Italia?

 

Come conseguenza immediata dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, la società Supreme Italia ha dovuto interrompere immediatamente la commercializzazione dei propri prodotti fake in qualsiasi forma e in qualsiasi punto vendita italiano. Quanto alle conseguenze legali, non è escluso che Supreme possa instaurare nei confronti del concorrente italiano, già condannato in via cautelare, anche un’azione di merito chiedendo il risarcimento dei danni.

In termini non strettamente legali, il risultato giudiziale ottenuto da Supreme potrebbe avere delle conseguenze positive anche per la reputazione e il valore del brand americano. Come è noto infatti il valore di un marchio supera l’ambito esclusivamente giuridico ed è strettamente collegato alla reputazione che gode presso il pubblico, soprattutto nel settore della moda e luxury. 

 

#7 Il caso “Supreme Barletta” è esploso grazie a una serie di segnalazioni, in che modo le aziende possono venire a conoscenza di questo tipo di comportamenti sleali?

 

Il caso Supreme dimostra come sia essenziale per le imprese monitorare il mercato, anche on-line in modo puntuale e capillare e ciò al fine di intervenire tempestivamente ed impedire il perpetrarsi di atti di contraffazione e concorrenza sleale che possono mettere a repentaglio non solo il valore dei marchi violati, ma anche la reputazione e la credibilità dell’intero brand.

È bene ribadire che il nostro ordinamento giuridico fornisce strumenti efficaci per far fronte a questi rischi, a tutela delle imprese che investono nel nostro Paese e dei consumatori che vogliono sempre più effettuare acquisiti consapevoli. 

 

Nota di Redazione
 
L'esplosione della questione incentrata su Supreme Italia ha aperto negli ultimi anni un vero e proprio vaso di Pandora inerente la questione del legal fake e la conseguente possibilità da parte di terzi di appropriarsi e speculare , anche in minima parte, dei successi di altri. nss ha tastato per primo questa nuova frontiera con l'articolo Supreme Italia - Fenomenologia del 'legal fake' made in Barletta e continuerà in futuro ad interessarsi alla questione, posizionandosi come una fonte per chi, come noi, non è mai stanco di cercare.