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Nulla è mai stabile Intervista a Marco Panconesi

In un’industria della moda di lusso che si trova in crisi d’identità, il mondo dei gioielli appare come uno stabile faro. Per tutta la durata della sua storia, i gioielli hanno accompagnato l’umanità e proprio come l’oro invecchia ma non si corrompe, anche l’arte della gioielleria non perde mai la propria attualità ma continua ad adattarsi, filtrata di epoca in epoca dalle menti di designer sempre nuovi. Uno di questi è Marco Panconesi, designer-prodigio italiano che dopo anni trascorsi a lavorare per i maggiori nomi del lusso è diventato Design Director di Swarowski e ha fondato un cult-brand di gioielleria che porta il suo nome. Le sue creazioni sono di una semplicità ingannevole: dietro i loro cerchi e spirali si nasconde un’architettura intricata e il concetto comunque a cui tutti fanno riferimento nelle loro componenti essenziali (l’oro, l’argento, le perle, le gemme, i cristalli e lo smalto) è «il senso che niente sia mai stabile e la nostra prospettiva cambi ogni volta che ci spostiamo». I gioielli di Panconesi vivono di questa natura cangiante: sono più integrazioni che ornamenti del corpo, elementi che si muovono con esso al pari del drappeggio di un abito. «Mi piace trovare un equilibrio tra lo scientifico e lo spirituale», spiega il designer. «E la gioielleria è interessante perché non ha limitazioni funzionali ma esiste in concomitanza col corpo dato che deve muoversi con esso. C’è sempre qualcosa di speciale nella maniera in cui i gioielli si adattano al corpo». E se la natura scientifica del lavoro di Panconesi risiede nello studio di chiusure, di gemme, di tecniche e lavorazioni, quella spirituale ha a che fare con «una connessione spirituale con i colori e le texture che formano un legame emotivo con una pietra rispetto a un'altra».

Gioielli come simboli di una realtà transitoria, in flusso perenne, connessi per vie inequivocabili ma misteriose agli «stati emotivi e alle attrazioni spirituali» delle persone, ma anche frutti (forse involontari) di un’epoca in cui prospettive e angoli di lettura si moltiplicano a dismisura, dilatandosi ai confini dell’incertezza. Sempre seguendo questo concetto del gioiello che segue e cambia col corpo, Panconesi ha introdotto nelle sue creazioni una tecnica antica e insolita, i gioielli en tremblant. «È un termine francese che indica il tremolio. Era una tecnica d’incastonatura dei diamanti molto comune nell’alta gioielleria del XVIII e XIX secolo, usata specialmente per le spille», spiega il designer. «I diamanti sono attaccati a un sottile filo metallico trasformato in una molla. In questo modo, il gioiello si muove con il corpo e permette al diamante di catturare la luce da diverse angolazioni. Fa parte del mio modo di lavorare, trovare la modernità in luoghi che appartengono alla storia e al passato». E il passato, specialmente l’arte del passato, hanno una forte risonanza in Panconesi che è nato nella letterale culla del Rinascimento, Firenze. Tanto il pensiero della sua città è presente nella sua mente che le prime due pietre di cui fa menzione nell’intervista sono «l’occhio di tigre e la pietra paesina», una roccia sedimentaria costituita da calcare compatto e argilla che, vista in sezione, sembra riprodurre il profilo «di vallate e di montagne. Da fiorentino, sono sempre stato affascinato dalla qualità pittorica che possiede».

E anche se è dai tempi di Maria de’ Medici che esiste un ponte culturale tra Firenze e Parigi, viene naturale chiedersi come mai un giovane e rampante designer abbia aperto il suo brand all’ombra della Tour Eiffel. «Ho studiato in Italia e alla fine ho trovato i miei primi stage e lavori lavorando per case francesi», racconta. «Penso che entrambi i luoghi siano ideali per l'avvio di marchi indipendenti. Ma dato che la mia esperienza e il mio network sono sempre stati in Francia, ha avuto senso fondare Panconesi a Parigi». E, volendo ripercorrere quest’esperienza e questo network, si rimarrebbe sorpresi nel constatarne l’ampiezza: per sette anni, consulente e designer freelance; poi capo del design dei gioielli di Fenty, ambizioso progetto di LVMH interrotto nel mezzo del lockdown; da quattro anni e mezzo Head Designer della gioielleria di Fendi, da tre anni e mezzo Design Director di Swarowski e praticamente da cinque anni fondatore, amministratore e principale forza creativa dietro il proprio brand.

«Il desiderio di costruire un brand mio è nato dal fatto che stavo alimentando idee che potevano essere trasformate in un intero universo», spiega Panconesi. «Potevo costruirci intorno la mia storia, l'estetica e la comunità - tutto. Mentre lavorando con altri marchi, la sfida principale è capire i codici e farli evolvere. Si segue una storia già fatta e ogni stagione si costruisce il capitolo successivo». Un brand proprio, poi, consente anche nuove e interessanti espansioni: già sul sito del brand si trovano t-shirt e poster che riproducono stampe e illustrazioni vintage di pietre, ma anche tatuaggi-sticker e ciondoli porta-accendino. Presto, arriveranno anche gli accessori in pelle che saranno presentati a inizio dicembre: «Le nuove borse in pelle hanno la classica forma a sella e sono impreziosite da sfere metalliche punteggiate in cristallo e argento. È una borsa ingioiellata molto morbida ed elegante. Ho sempre voluto creare un'altra categoria di accessori che potesse coesistere nello stesso mondo delle collezioni di gioielli».

Dunque è il caso di dirlo: i gioielli sono solo l’inizio per Marco Panconesi – e sicuramente non sono la fine. Sicuramente il suo ambito di specializzazione, che non conosce crisi dai tempi delle piramidi, rimane uno stabile fondamento: quel senso di intemporaneità, di adesione identitaria istintiva che i brand di moda ricorrono con sempre maggiore accanimento, la gioielleria lo possiede da sempre – e il pubblico inizia a capirlo. «Il mercato della gioielleria è cresciuto enormemente», spiega Panconesi. «È diventato una categoria sulla quale le persone investono. A volte compri un gioiello e lo indossi per tutta la vita. Non è soggetto alle mode passeggere come l’abbigliamento». E quanto ai trend? «Stiamo notando un ritorno al massimalismo, che per me è interessantissimo. In generale, l’intero settore ha una nuova attitudine genderless e il pubblico non ha paura di indossare i propri gioielli di questi tempi».

Photographer: Thomas Cristiani at Parent
Photographer Assistant: Matthieu Clément-Lescop
Interview: Lorenzo Salamone
Editorial Director: Elisa Ambrosetti, Edoardo Lasala