Gli uffici di The Attico sono un po’ un paradosso. In primis perché, nonostante il nome, si trovano al piano terra di un palazzo dal gusto liberty, in secondo luogo perché, nonostante gli arredi di design, il tripudio di moquette panna, l’illuminazione anni ‘70 e una collezione di magazine di moda che potrebbe far invidia agli archivi Vogue, l’atmosfera è, in effetti, di casa. «The Attico per noi è una questione di intimità» dirà poco dopo Gilda, mentre scalza affonda nel divano verde lime del suo studio (che in effetti sembra particolarmente comodo) e racconta pro e contro di un periodo della sua vita che possiamo con sicurezza definire “di svolta”. Il team lavora affiatato ai fitting, un brusio sottile ma gradevole accompagna i preparativi. Si sente nell’aria che qualcosa di grande sta per succedere: il primo Fashion Show del brand, intitolato The Morning After, dalla sua fondazione nel 2016. «L’idea di allestire una sfilata è una cosa che è venuta poi, con il tempo, perché da quando abbiamo lanciato il marchio non abbiamo mai pensato che fosse un tipo di format che volevamo affrontare. La sfilata canonica è un modo troppo distaccato di interagire con il pubblico, i buyer, la stampa e gli amici. Volevamo invitare le persone a unirsi a noi, a entrare nel nostro mondo.» Dopo le presentazioni, i pop up, le feste, la sfilata era un nuovo modo di raccontare una storia, storie di donne chiaramente ma soprattutto di individui che non hanno bisogno di avere un pretesto o chiedere il permesso per uscire in strada in minigonna, con un boa di piume di struzzo, un abito di paillette o un comodo cappotto sartoriale con pantaloni cargo. Ed è stata proprio la strada in effetti il punto di partenza di una narrativa che vedrà sfilare diversi caratteri in una piazza milanese, dentro e fuori dai portoni dei palazzi che la accerchiano, tra mobilio vintage e pubblico immerso nella scena.
The Attico è un punto di vista edonista che si nutre di due personalità molto diverse: una estroversa, audace ed esuberante (Gilda) l'altra riservata, calma e misurata (Giorgia). Differenze che emergono con forza alla vigilia della sfilata mentre si raccontano, animate da stati d’animo contrastanti: «Sono felice. Sarà un momento bellissimo, me lo vorrei godere, non voglio che arrivi la paura» dice Giorgia. «C'è questo grado di perfezionismo che ci porta a tentare di avere il controllo su tutto. Provo ansia per lo show perché so che posso controllare tutto ma non gli imprevisti. Quando un designer presenta una collezione si mette a nudo. Sono mesi e mesi di lavoro, ispirazioni, sogni, anche delusioni, ma di certo non sono solo vestiti» prosegue Gilda. Queste due personalità ben distinte si traducono in un’estetica che spazia dal daywear alla nightlife: «quando abbiamo cominciato ci dicevano che facevamo abiti da indossare dalle 22.00 in poi. Negli ultimi anni il nostro lavoro si è evoluto in questo senso, The Attico è uno stile di vita: sia il vestito in lamé che il cargo baggy, il club e la strada. Il nostro primo Fashion Show parlerà proprio di questo». Un fraintendimento che nasce probabilmente agli albori, nel 2016, quando il womenswear in vigore prendeva forma con il minimalismo rigoroso di Phoebe Philo per Céline e la sensualità era stata esclusa dal paradigma. Sembrava che le donne dovessero essere sobrie, se non proprio “vestite da uomini”, per potere essere prese sul serio. «Bisogna eliminare la narrativa secondo cui una donna debba vestirsi da ufficio per risultare emancipata, indipendente, intelligente. Qualcuno potrebbe pensare che le nostre gonne siano troppo corte ma non ci interessa. Non vogliamo cambiare, virare in un'altra estetica e adattarci agli standard degli altri. Non abbiamo bisogno dell’approvazione di nessuno» prosegue Gilda.
L’approvazione, in effetti (o la consapevolezza di non averne bisogno) è un tema importante per il duo. The Attico è stato a lungo considerato l’emblema di quella nuova generazione di brand trascinati dal seguito social dei loro founder. Ma se da un lato la visibilità di Gilda e Giorgia ha permesso loro di convertire una parte della loro community in fan del marchio, dall’altra ha penalizzato la loro credibilità come designer agli occhi del settore e ancora oggi il duo deve combattere contro tale pregiudizio. L'intellighenzia della moda milanese ha spesso attribuito meno credibilità a delle influencer-designer rispetto a delle stiliste e basta, nonostante la loro formazione (IED per Giorgia e Istituto Marangoni per Gilda) e gli anni di carriera. E se da un lato avere una forte community social ha sicuramente aiutato il brand ad acquisire seguito - «l'esposizione che avevamo ci ha aiutato tantissimo, è una una finestra in più per mostrare il nostro lavoro quindi un'arma a doppio taglio» dice Giorgia - allo stesso tempo tale seguito le ha portate ad una sorta di cortocircuito tra vita privata e lavorativa. «Ci scattiamo foto nei momenti di spensieratezza, ma quello che la gente non vede sono le ore che passiamo in ufficio. La nostra vita in fondo è molto diversa da come appare sui social. All’inizio abbiamo sofferto le critiche, ma il brand è forte, vende e piace, e soprattutto piace a noi. Cosa abbiamo da dimostrare ancora? Niente.» Si concludono così due ore di conversazione, tra battute e momenti di riflessione, con la consapevolezza che nessuno ha mai bisogno della legittimazione degli altri per seguire la propria strada, specie se la destinazione è il successo.
Photographer: Eugenio Intini
Digital Assistant: Lara Gencten
Interview: Maria Stanchieri