Qual è il posto di Zerocalcare nella cultura italiana contemporanea?
Un autore che racconta di una generazione bloccata nel proprio passato
24 Novembre 2021
A pochi giorni dalla sua apparizione su Netflix, la nuova serie animata Strappare lungo i bordi, creata da dal fumettista romano Michele Rech, in arte Zerocalcare, è rapidamente diventata la più vista in Italia, superando addirittura Squid Game. Oggi, l’hashtag #zerocalcare è diventato trend topic su Twitter e su Instagram mentre su TikTok ha già raggiunto i 6,2 milioni di views – un successo che ha portato legioni intere di utenti social a riscoprire i suoi lavori apparsi nella loro forma finale a partire dall’ottobre del 2011 con La Profezia dell’Armadillo e poi sviluppatosi sempre di più, ramificandosi in tutti i campi che la comedy può toccare: editoria, critica cinematografica, commento dell’attualità e cronaca della pandemia. Proprio la cronaca della pandemia, la web-serie Rebibbia Quarantine andata in onda su Propaganda, è stata la scintilla che acceso il fenomeno Netflix di Zerocalcare e che soprattutto ha portato sulla prima linea del discorso pubblico un autore che, come succede spesso nel nostro paese, aveva latitato per anni all’interno della pop culture, abitando una nicchia nemmeno troppo piccola, ma rimanendo separato dal mainstream, anche in ragione delle sue posizioni apertamente di sinistra che ancora fanno storcere il naso a molti nel contesto dei media italiani. Ma ciò che rende particolare Zerocalcare è proprio questo: quale altro autore italiano ha mai menzionato gli eventi del G8 di Genova senza impegolarsi in controversie? O parlato di razzismo e sessismo con precisione e leggerezza insieme senza scivolare nel facile cliché?
La grandissima parte del pubblico online si è molto concentrata sui momenti quotabili della serie, sull’aforisma esistenzialista da condividere su Instagram o Twitter, sulla frase uplifiting che parla dei massimi sistemi. Eppure la radice del fascino di Zerocalcare è la sua capacità di portare sullo schermo o sulla carta i concerti nei centri sociali della Garbatella, l'ascesa dei sovranisti e i neofascisti italiani, la questione curda esplorata già nel volume Kobane Calling o le vicende del G8 di Genova mescolandoli a rimandi a Tiziano Ferro, Shrek, Neon Genesis Evangelion, e tutto un mondo della cultura pop dei Millennial italiani che semplicemente i media mainstream non raccontano o, peggio, demonizzano. È quasi un miracolo che non sia esplosa una polemica sul fatto che, nella prima puntata, il protagonista fumi erba in un parco e racconti collateralmente del consumo di droga fra i giovani senza sensazionalismi; mentre sorprende poco che, di fronte a una serie italiana capace finalmente di dipingere con onestà la vita quotidiana della periferia, menzionando anche episodi politici controversi, si decida di chiosare, ad esempio, sull’uso del romanesco nelle serie o su una battuta del tutto casuale su Biella.
Va sempre e comunque ricordato che il valore culturale di una qualunque opera sta nel rumore che questa causa: era dai tempi di Manzoni che non si discuteva tanto di dialetti e lingua italiana fuori da un’aula universitaria, così come era da tempo che non si passavano al setaccio i fotogrammi di una serie italiana per cogliere riferimenti, dettagli ed easter egg riscoprendo film anni ’80, artisti della scena punk o dell’indie italiano; o che non si vedeva una ragazza con un dread ballare in un centro sociale, immagine che forse non è mai apparsa sui media mainstream italiani ma che è assolutamente comune nella vita vera. Molti hanno accusato Zerocalcare di non voler crescere, di essere troppo ancorato al passato – eppure proprio lui rimane uno dei pochi autori in circolazione capace di essere progressista senza suonare woke, capace di parlare di politica senza voler fare il politico e, in sostanza, capace di parlare senza retorica o giri di parole, in maniera consapevole e matura, di una realtà quotidiana di fronte alla quale lo stesso dibattito pubblico arretra.