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Come siamo arrivati ai pronomi per parlare del gender?

Un cambiamento nel linguaggio che può tradursi in un cambiamento nella società

Come siamo arrivati ai pronomi per parlare del gender? Un cambiamento nel linguaggio che può tradursi in un cambiamento nella società

Negli ultimi anni la battaglia per il riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQIA+ è diventata anche formale, andando a permeare il linguaggio - soprattutto online - introducendo un nuovo vernacolo fatto di pronomi non binari, asterischi, schwa, U, e tutti i segni grafici che possano colmare il vuoto nella lingua italiana per le categorie al di fuori del maschile e del femminile.
Non esiste infatti nella lingua italiana il neutro, e per sopperire a questa mancanza vengono comunemente utilizzati i pronomi di lingua inglese, che sono ormai presenze fisse nelle bio di Instagram e in calce nelle firme delle mail. I "nuovi" pronomi rappresentano tre categorie, maschile, he/himfemminile, she/her, e neutro, they/them, includendo chi non si riconosce nelle categorie binarie.Il risultato è spesso divisivo: in molti si rifiutano di cambiare il proprio linguaggio, ignorando una richiesta di inclusione e accampando scuse di ideologismo, un po' come sta avvenendo proprio in questi giorni nella discussione attorno al DDL Zan

Dell'effetto della genderizzazione e l'uso corretto dei pronomi sulla vita delle persone hanno raccontato a nss magazine Bee & Licht di @senzaoffesama, due educatrici che si occupano del tema da un punto di vista pedagogico ed educativo. "Come numerosi studi antropologici e sociologici hanno dimostrato, nel corso degli anni, sono numerose le culture in giro per il mondo che da secoli hanno modificato il concetto di binarismo di genere (uomo o donna), integrando nelle loro società identità che si discostano da questo dualismo. Genderizzare significa caratterizzare qualcosa affinché sia immediatamente chiaro il genere a cui l'oggetto si riferisce. L'esempio classico, rosa per le femmine e blu per i maschi. Infatti quando diciamo che la genderizzazione influenza ogni aspetto e aspettativa della vita di una persona intendiamo un coinvolgimento a 360°: dalla nascita, alla scuola, agli interessi, al carattere di quella determinata persona. Per cui se il neonato sarà identificato come femmina, ci si aspetterà che ami il rosa, che sia composta e pacata, empatica, con un certo tipo di interessi come la danza e basse aspirazioni lavorative. Lo stesso schema si attuerà inconsciamente per un neonato identificato maschio, ma con aspettative molto diverse. In una società così strettamente segmentata è quindi facile capire cosa accade quando una persona non si identifica né come uomo, né come donna: stigma e spesso discriminazioni che possono sfociare in aggressioni o isolamento della persona che non si sente accolta e riconosciuta, che deve quindi necessariamente lottare per i suoi diritti."

Al di fuori di quella bolla digitale di attivismo impegnato su vari fronti, dal gender alla sostenibilità ambientale fino al femminismo, quella dei pronomi a molti sembra una fissa estetica e passeggera, destinata ad esaurirsi una volta scemata l'attenzione intorno alla questione. "L'uso dell'asterisco, della "Y" al posto della "i" nel plurale maschile, o della schwa, sono gli strumenti che per ora abbiamo. Rispondono alla necessità di un linguaggio inclusivo per le persone non binarie e per le donne sistematicamente escluse dal maschile plurale, ma purtroppo rendono la lettura molto complessa, sia per la mancanza di una categoria mentale di neutro, ma soprattutto a persone anziane o con problematiche legate alla lettura come la dislessia. Per questi motivi, a mio parere nessuna delle modalità di inclusione linguistica è esaustiva, ma sono dei tentativi assolutamente nobili e apprezzabili", ha commentato Lucrezia Maria Marino, psicoterapeuta specializzata in educazione sessuale ed affettiva. Una sorta di passaggio necessario dunque, un modo per riconoscere almeno sulla carta qualcosa che nella realtà ancora non è dato per scontato. "Non credo che sia un trend quanto più una esigenza che è sempre stata taciuta. Il mio desiderio è che linguisti ed espert* di inclusione collaborino sempre di più al fine di proporre nuove modalità che forse non sono ancora state pensate" conclude Marino. 

Secondo Bee&Licht: "In questi ultimi tempi, anche in merito al cambiamento attuato dalle nuove generazioni e dalla voglia di acquisire rappresentazione e diritti per le persone queer (termine per indicare la comunità LGBTQIA+) e non-binarie, cresce la necessità di attuare delle modifiche. Infatti usare pronomi binari è estremamente limitante, in quanto ci sono persone che non si identificano in nessuno dei due generi o al contrario, si identificano con entrambi. Inoltre l'uso di un determinato linguaggio, per quanto possa sembrare banale, può creare disagio per chi non si riconosce in uno o entrambi i generi, e noi dando per scontato il pronome di una persona rischiamo di fare misgendering. Il misgendering ovvero l'appellare, in modo intenzionale o meno, la persona transgender e non-binaria con l'articolo, la desinenza, il pronome che non corrisponde alla sua identità di genere. Questo non solo è un'azione irrispettosa, ma è anche un modo indiretto per non riconoscere e mettere in discussione l'autenticità delle persone trans. A chi non lo sperimenta su di sé, può sembrare un dettaglio da poco ma, venire chiamat* ripetutamente con la desinenza o l'articolo errato di fatto può indurre disforia (il profondo disagio che la persona prova per alcune parti o per il proprio corpo), può far sentire le persone in pericolo ed è una grande mancanza di rispetto. Per questo noi ci auguriamo che l'uso corretto delle parole in generale, e dei pronomi nello specifico, diventi abitudine quotidiana. Significherebbe aver raggiunto l'obiettivo: inclusione e restituzione della pari dignità che ogni essere umano dovrebbe avere, a prescindere dal genere e/o dall’orientamento sessuale."

@mariabeatrice_

Quello che penso dell’identità di genere ##imparacontiktok

suono originale - MariaBeatrice Alonzi

Per chi ritiene che i pronomi o anche solo gli asterischi siano una fissa, una concessione neanche troppo giustificata ai membri della Gen Z, risponde @aroacefox, attivit* non-binario: "I pronomi rappresentano chi siamo e come ci sentiamo nei confronti di noi stess*. Che tu sia cis, trans* binari* o non binari* poco cambia. Forse l'unica nota importante da fare è che mentre per le persone binarie i pronomi possono essere scontati, per quelle non-binarie non lo sono. Per me è affermazione della mia identità non-binaria proprio in contrasto con le aspettative dell'immaginario comune nei confronti delle persone non-binarie, immaginate sempre come persone con caratteristiche androgine. Per me è scelta di usare il femminile, e di essere femminile perché io ho voluto esserlo, e non perché mi viene imposto da chi non sa nulla della mia identità. I pronomi femminili mi infastidiscono quando sono obbligatori, ma se sono io a dire: "usa lei/sua", allora assumono un nuovo valore di autodeterminazione." 

Nonostante "il dibattito sulle tematiche relative al genere è sempre stato presente, in questi ultimi anni stiamo assistendo a un inasprimento dei toni anche a causa del fenomeno che storicamente in pedagogia e sociologia viene definito Gender Backlash ovvero contraccolpo di genere. Quando una maggioranza che detiene la maggior parte dei privilegi, si sente minacciata dalla minoranza che comincia a lottare per i propri diritti (come nel caso delle manifestazioni della comunità LGBTQIA+ per l'approvazione del Ddl Zan contro le continue aggressioni omolesbobitransfobiche di questo periodo), si attua un rafforzamento degli stereotipi e di abitudini anche discriminatorie nei confronti della minoranza per "rimetterla al suo posto"; come un ripiegamento nostalgico al passato", commentano Bee & Licht.