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Il nuovo ruolo di Milano nel mondo post-Covid

Più che una ripartenza, il 2021 deve segnare un cambio di narrativa

Il nuovo ruolo di Milano nel mondo post-Covid Più che una ripartenza, il 2021 deve segnare un cambio di narrativa
Fotografo
Alessandro Bigi

Il 2020 è stato l’anno della Milano «sospesa» - l’anno in cui tutto ciò che la città era, in cui tutto ciò in cui la sua vita collettiva e il suo ruolo internazionale si manifestavano è stato messo in un on hold indefinito. Cambiamento improvviso e drammatico, specialmente perché piombato dall’alto in un momento in cui la progettualità e l’espansione della metropoli erano al loro culmine. Ma qui si pone il problema di trovare una nuova strada o, per meglio dire, una nuova narrativa che, allontanandosi dal positivismo oltranzista di #MilanoNonSiFerma (un hashtag invecchiato malissimo), torni a definire il ruolo della città con nuova fiducia nel futuro e uno sguardo più chiaro sulle cose. La pandemia può essere un’opportunità per Milano per ripensare una dimensione urbana più bilanciata, che sia inclusiva e non solo esclusiva, vivibile e attraente oltre che patinata.

Il 2021 deve diventare un anno in cui il suo ruolo vada oltre la semplice nomea di cool spot per la moda e il design, muovendosi verso un ruolo più decisivo che la porti a diventare non una finestra, ma una porta sull’Europa. La vitalità della città non è stata del tutto sedata dal lockdown: dietro le saracinesche sbarrate, dietro le finestre silenziose e dietro il silenzio dei suoi sabati sera i suoi creativi e le sue grandi figure sono rimaste operose, pur tra mille difficoltà. Durante questo periodo non si sono fermate le iniziative di sviluppo urbano, come ad esempio il recupero dell’ex-scalo ferroviario di Porta Romana, ora in mano, fra gli altri, al gruppo Prada; oppure come i progetti del nuovo stadio di San Siro, i progetti di nuovi parchi e giardini pubblici nella ex-Caserma Mameli e le collaborazioni fra Luxottica e la Pinacoteca di Brera. Nemmeno la fashion week si è fermata e la prossima che si terrà a Milano sarà l’unica in Europa a prevedere show fisici – un segnale di forte fiducia nei confronti tanto della moda italiana quanto della sua comunità creativa. E, soprattutto, restano ancora un obiettivo le Olimpiadi Invernali di Cortina, da tenersi del 2026 – sempre ricordando che, proprio a causa di tutto ciò che è accaduto nel 2020, del domani non c’è vera certezza.

Ma non è tutto rose e fiori. Il cammino che la città deve intraprendere porterà le sue autorità a dover affrontare i problemi che la prosperità del passato ha lasciato crescere fino a farli diventare enormi elefanti nella stanza. La minaccia di una bolla immobiliare che, nonostante un aumento dei prezzi del 1,5% nell’ultimo trimestre del 2020, rimane un problema irrisolto, legato com’è alla questione dei costi e della qualità della vita, che ha portato la metropoli a scendere dal 29° al 45° nella classifica delle città italiane, e anche quello dell’inquinamento – spinosa questione che va sì migliorando ma rimane al centro di lunghi dibattiti tra Comune e Regione. Senza nemmeno menzionare la conta dei danni che, a un certo punto, andrà fatta per valutare la salute di quell’ecosistema di locali grandi e piccoli, cocktail bar e ristoranti che erano fioriti un po’ ovunque all’ombra del mito dell’Expo.

Più in generale, nella sua ripresa, la città e le sue community dovranno anche venire a patti con le disfunzioni di un modello di crescita che, come gli eventi del 2020 hanno reso chiaro, non può essere esponenziale e infinito ma diventare più sostenibile per la città, le sue molte e diverse community e per le sue periferie proponendo sia un sistema che lo studio architettonico e di ricerca 2050+ ha definito, parlando con nss, di «città-arcipelago», ossia città decentrata e a misura d’uomo, animata diversi punti focali. Su un piano più sociale, poi, per usare le parole di Filippo d’Asaro nella Digital Cover N.04 di nss magazine, intitolata appunto Milano Sospesa:

«Se il “distanziamento sociale” sembra inevitabile per la nostra condizione post-pandemica, spazi sicuri che consentano “l’avvicinamento sociale” rimangono cruciali. Milano ha bisogno di più spazi “non codificati”, in cui gli individui possano interagire spontaneamente, senza aderire alle prescrizioni di un copione già scritto”».

Guardando agli ultimi vent’anni di storia della città, in ogni caso, è chiaro come la chiave della ripartenza sia un cambio di marcia e di paradigma – cambio che la pandemia ha reso più che mai necessario. Alla fine degli anni ’90 il nome di Milano rievocava l’aura edonistica ma stakanovista del berlusconismo, le grandi industrie e il mondo tedioso e compassato degli uffici – le cose cambiarono quando, col secondo mandato del sindaco Albertini il paradigma venne cambiato, la narrativa stravolta e il ruolo di “capitale del design” della città rilanciato una volta per tutte. La storia deve ripetersi. Come ha sottolineato Alessandro Poggi, marketing director di Uniqlo Italia, la città «ha il vantaggio competitivo di essere più snella e local rispetto alle altre città europee, questo deve portare ad un cambio di marcia più veloce rispetto alle altre». A distanza di un ventennio dalla sua evoluzione, insomma, una nuova narrativa va trovata per la città, una dimensione più umana riscoperta e la nuova generazione di locals, tutti, chi più chi meno, milanesi d’azione, sarà lì per farlo.