Come si crea una popstar
L'abbiamo chiesto a Erasmo Ciufo, direttore creativo di Sfera Ebbasta
27 Novembre 2020
A guardare il curriculum di Erasmo Ciufo viene da chiedersi dove abbia trovato il tempo di mettere insieme una lista così fitta di lavori e collaborazioni in una sola vita. Designer per natura, con un padre pittore e scultore, una madre insegnante e pedagoga e un nonno pittore ed ebanista, Erasmo è cresciuto mangiando arte tutti i giorni costruendo nel corso degli anni un forte legame con la creatività e l’espressività in differenti discipline.
Oltre a far parte del team di direzione creativa di adidas presso la Brooklyn Creators Farm, ha curato progetti per Marcelo Burlon, Heron Preston, Off-White, Prada, Louis Vuitton, Ermenegildo Zegna e Uniqlo solo per citarne alcuni. Una serie di esperienze lavorative internazionali che l'hanno portato a fondare nel 2008 Lettergram, una Creative Design Boutique con sede a Milano e a New York.
Oltre al lavoro nella moda, Erasmo ha messo le mani anche nel mondo della musica, diventando direttore artistico e designer in una serie di progetti che l'hanno portato a lavorare con artisti del calibro di Big Sean, 21 Savage, Metroboomin, Joey Badass, Gue Pequeno e Sfera Ebbasta. L'ultimo step nella sua carriera è forse la somma di quanto fatto nel corso degli anni, il lancio del suo brand, UNTITLED ARTWORKS™️, dove la ricerca stilistica si unisice con quella manifatturiera per qualcosa di unico. Abbiamo chiesto ad Erasmo da dove è partito, come lavora ai suoi progetti e come sta l'industria musicale italiana rispetto a quella americana.
Da dove si parte per arrivare a lavorare con brand come adidas, Prada, Louis Vuitton e Off-White?
Ho sempre creduto nell’importanza delle relazioni umane, e in tutta la mia carriera ho investito per costruire rapporti di fiducia e rispetto, dimostrando sempre le mie qualità di designer. Lavoro costantemente su me stesso per continuare a crescere, soprattutto imparando a capire le necessità delle persone che mi circondano, con unico obiettivo, quello di creare valore per loro e per il loro pubblico. La curiosità e le grandi ambizioni mi hanno permesso di poter viaggiare molto per lavoro e conoscere nuove persone ogni giorno.
Il tuo curriculum è lunghissimo e variegato c’è qualcosa che accomuna tutti i tuoi lavori?
Sicuramente. Oltre alla cultura per le arti visive, la mia voglia di mettermi alla prova, senza pormi limiti. Ogni esperienza mi ha permesso di studiare culture, estetiche e logiche di mercato diverse. Al giorno d’oggi, sempre di più, i confini tra i settori, sono sempre più sottili. Basti pensare alle interazioni tra moda, musica ed arte, e alle attività di collaborazione che sono nate negli ultimi 5 anni. Di recente anche la grande distribuzione e l’automotive si stanno rinnovando, entrando con forza in questo grande processo di unificazione e sperimentazione tra culture e mercati.
Quanto conta ad oggi “la confezione” nella promozione e nel successo di un artista? Quanto di questo pensi passi per le tue mani e il tuo lavoro?
L’immagine di un artista è parte integrante di tutto il pacchetto. Figure come Kanye West, Travis Scott, Beyoncé e Frank Ocean ne sono la manifestazione più evidente. Ciascuno di loro ha saputo costruire un’identità unica, un ruolo chiaro sul mercato ed un immaginario inconfondibile che li rappresenta in tutte le attività che firmano, dentro e fuori dal settore musicale. La dimostrazione di questo è che tutti noi conosciamo per nome anche i loro progetti: Yeezy, Astroworld, Homecoming, Blonded. Fenomeni di branding e comunicazione più forti del loro stesso nome, che si sono trasformati in movimenti culturali, aggregatori di operazioni di diffusione di una missione, che eccedono la musica stessa. Chiaramente all’interno della “confezione” il prodotto musicale è ancora il più importante, ma non è più l’unico.
Ho sempre interpretato il mio ruolo come chiave per dare sostanza e coerenza alle figure artistiche con cui lavoro, per rivolgersi al proprio pubblico come un brand.
Avendo lavorato con artisti italiani come Sfera Ebbasta e Ghali ma anche con stranieri del calibro di Big Sean e 21 Savage noti ancora grandi differenze nel modo di fare e pensare musica e tutto quello che le sta intorno tra l’Italia e gli Stati Uniti?
Di differenze ce ne sono molte: dal contesto sociale e culturale, a quello commerciale ed economico. Gli Stati Uniti hanno un mercato più sviluppato perché hanno saputo trasformare un’arte in un business. La differenza principale è che la figura del direttore artistico in Italia non è ancora ben compresa, mentre risulta essere chiave all’estero. Lavorare nell’entertainment oggi significa saper comunicare, coinvolgere, raccontare con successo, che si tratti di un album, di un concerto, di merchandising o di collaborazioni con i brand.
Nell’ultimo periodo Travis Scott ha ridefinito il significato del merch trasformandolo in un vero mezzo di business per gli artisti parlo soprattutto delle collabo con McDonald’s e Sony. Quando pensi si arriverà a qualcosa di simile in Italia? Sfera Ebbasta e KFC può essere un punto di partenza?
Fare musica è sempre stata un’arte, ma oggi se si associano ad essa strategia e mentalità business non ci sono più confini. Quello che fa davvero la differenza è la mentalità con cui si affrontano le proprie sfide. Il recente progetto di Sfera Ebbasta “Famoso” ne è la dimostrazione.