"New York è morta". Milano è sopravvissuta?
Ne parla Jerry Seinfeld in un editoriale del NYT che rilancia il dibattito sul futuro delle grandi metropoli
28 Agosto 2020
È uscito qualche giorno fa sul New York Times un breve editoriale firmato da Jerry Seinfeld in risposta ad un articolo uscito in precedenza su LinkedIn che decretava senza troppi giri di parole la morte di New York. Nonostante New York e Milano siano due città molto diverse, negli ultimi mesi si sono trovate ad affrontare una situazione simile e, anche se su scala diversa, la pandemia è andata ad intaccare pesantemente due metropoli che vivono di eventi, di incontri, dell'energia che si respira nelle loro strade.
La lunga riflessione pubblicata da James Altucher, imprenditore, giornalista e proprietario di un comedy club proprio a Manhattan, faceva capire fin dal titolo - NYC IS DEAD FOREVER. HERE'S WHY - il tenore della visione dell’autore verso il futuro della città. Quello che dipinge Altucher è uno scenario apocalittico, una città fantasma, completamente svuotata, abbandonata dai suoi abitanti che l'hanno lasciata in favore di stati e città più piccoli, spesso trasformando quello che doveva essere un breve soggiorno nell’inizio di una nuova vita. Tanto a New York quanto a Milano, l'emergenza sanitaria ha portato a galla le diverse contraddizioni che rendevano la vita in città insostenibile, ma allo stesso tempo irrinunciabile. Se da una parte ad esempio il prezzo degli affitti era cresciuto in modo incontrollato, a fronte di appartamenti minuscoli e una qualità della vita discutibile, dall'altra nessun'altra città offre la stessa quantità di benefit, come eventi, ristoranti, locali, attività per il tempo libero, tutti uccisi dalla pandemia. Seppur non nascondendo una certa malinconia, Altucher è molto deciso quando afferma che non ci sarà più motivo di tornare a NY, e che nonostante una delle frasi più spesso associate alla città, But NYC always always bounces back - NYC si rialza sempre - questa volta è diverso, questa volta è la fine. Nonostante la Grande Mela sia uscita da periodi drammatici, dalla bancarotta e dalle strade invase dalla criminalità negli anni 70 e 80, alla tragedia dell’11 settembre, fino alla recessione del 2008, cinque mesi di lockdown sono troppi da superare, perfino per New York.
Con quel tono che l’ha reso famoso, a metà tra lo strafottente e il passivo-aggressivo, Jerry Seinfeld ha risposto a Altucher descrivendo invece una New York diversa. Seinfeld è altrettanto deciso nell’affermare:
Manhattan è un'isola al largo della costa Americana. Facciamo parte degli Stati Uniti? Più o meno. E questo è uno dei momenti più difficili che ci troviamo ad affrontare da molto tempo a questa parte. Ma una cosa la so per certa: l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno nel bel mezzo di così tante difficoltà è qualcuno che va su LinkedIn a lamentarsi e a piagnucolare al grido di 'Se ne sono andati tutti! Rivoglio il 2019'.
Sempre con quel tono che a qualcuno potrebbe sembrare altezzoso, risponde così quando Altucher racconta che diverse persone che conosce sono scappate da Manhattan:
Dice che conosce tantissime persone che hanno lasciato New York per andare nel Maine, in Vermont, nel Tennessee, in Indiana. Sono stato in questi posti tante, tantissime volte in tutti questi anni. E con tutto il rispetto...: mi stai prendendo in giro?
C’è un passaggio importante nel testo di Altucher che definisce una linea di demarcazione temporale dettata dalla velocità della rete internet di New York e degli Stati Uniti tutti, e in breve dichiara che si può fare tutto da remoto. Non solo non c'è più bisogno di recarsi in un ufficio, ma anche l'idea, il mito, di trasferirsi a New York per trovare il lavoro dei propri sogni perde completamente valore e significato, e lo stesso accade allo status della città nell'immaginario collettivo. Anche su questo punto Seinfeld è categorico.
C'è un'altra cosa molto stupida in questo articolo a proposito della banda larga e di come New York è finita perché tutti faranno tutto da remoto. Indovinate un po': lo odiano tutti. Tutti. Odiano. Lavorare. Da. Remoto. E sapete perché? Perché non c'è energia. Energia, voglia di fare e personalità non possono essere trasmesse da remoto, anche con la migliore fibra ottica. E questo è proprio la ragione per cui tantissimi di noi si sono trasferiti a New York. [...] La vera energia tra persone esiste quando ci mescoliamo in posti come New York City.
Il comico americano lancia infine una provocazione, chiedendosi se la stessa sorte attenderà anche altre città del mondo, Londra, Tokyo, Roma. È interessante tracciare invece un parallelismo con Milano, che, come accaduto a NYC, all'inizio della pandemia era diventato il luogo da cui scappare, e su cui ora ci si interroga se valga la pena tornare. Per quanto il modello smart working si sia rivelato efficiente - con tutti i limiti del caso - è sostenibile nel lungo termine? Per quanto potremo davvero andare avanti così? Un interrogativo che va applicato all'interno eco-sistema della città, che vive e prospera grazie alle persone che qui vivono, lavorano, guadagnano e spendono.
Seinfeld non ha torto quando dice che l’energia che si respira in una grande città non si può sostituire, e soprattutto non si può replicare “da remoto”. Sia per la componente economica, che per quella creativa, Milano deve tornare ad accogliere menti e personalità proveniente da fuori, tornando ad essere un hub innovativo e proiettato verso il futuro. Non si può immaginare, ad esempio, una nuova generazione di designer che lavorano ognuno chiusi nella propria stanza, a chilometri di distanza, senza un vero scambio di idee, senza una vera interazione. È sempre questo aspetto umano a decretare il destino di teatri, cinema, ristoranti, negozi, tutti quei luoghi di passaggio, spesso sottovalutati, che rendono una città quella che è. Gli eventi, le fashion week, i festival, che danno forma all’identità di un luogo, che lo rendono desiderabile e interessante, per cui vale la pena trasferirsi e pagare un affitto.
Come dice Seinfeld, le città "cambiano, mutano. Perché la grandezza è rara." Un principio che si può applicare anche al mondo dello streetwear, che come nss magazine racconta da tanti anni è cambiato, si è evoluto, forse finirà davvero o forse subirà un mutamento definitivo. Lo stesso vale per Milano, perché nonostante il passo falso di "Milano non si ferma" dello scorso febbraio, questo è il momento per pensare ad un futuro nuovo, senz'altro diverso da quello che ci eravamo immaginati, ma che parte e prospera in città.