‘Curon’ e il folk-horror all'italiana
La nuova serie di Netflix Italia è molto ambiziosa: un'analisi senza spoiler per chi vuole iniziarla
13 Giugno 2020
Negli ultimi giorni su Netflix è apparso il profilo di un campanile sommerso che emerge dalla superficie di un lago. L’immagine, a dir poco suggestiva, è quella del campanile della chiesa di Curon Venosta, un piccolo paesino nel Trentino Alto Adige che dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale è stato sommerso dalla costruzione di una diga. Quel paesaggio quasi sovrannaturale oggi fa da sfondo alla nuova produzione originale di Netflix Italia: Curon, disponibile sulla piattaforma dal 10 giugno.
Dopo la musica, l’estate e le spiagge di Summertime, Curon è la prima produzione Netflix Italia di genere folk-horror, un genere che la televisione italiana ha esplorato molto raramente. In un panorama dominato dai teen drama la serie, finita immediatamente nella Top 10 della piattaforma, mischia l’horror a una storia più tipicamente adolescenziale e apre le porte di un territorio finora sconosciuto ai media, forse anche un po’ snobbato: la provincia delle Alpi italiane, fatta di fitte foreste di pini, piccoli paesini e segreti incoffessabili. Non è un caso che sia già stata paragonata ad altre serie come Dark e Les Revenants, ma in qualche modo Curon cita anche Twin Peaks e il cinema horror italiano degli anni Settanta.
La storia segue il canovaccio di una tipica trama horror: fuggita a Milano in seguito a episodi misteriosi che hanno distrutto la sua famiglia, Anna Rainer (interpretata da Valeria Bilello) dopo 17 anni torna a Curon insieme ai figli gemelli di 17 anni. Accolta controvoglia persino dal padre, che è sempre rimasto a vivere nel grande hotel di famiglia (ormai in disuso), all’improvviso sparisce nel nulla, ma la sua scomparsa apre il vaso di Pandora che custodisce i segreti del paese. Il lago di Curon, che nasconde le macerie del vecchio paese sommerso, è molto più di un incantevole specchio d’acqua: è il luogo da cui escono le “ombre”, veri e propri sosia degli abitanti del paese che non vengono in pace (da qui la “O” che si duplica nel titolo). Considerato che l’unica forza dell’ordine che lavora a Curon è una guardia forestale dal dubbio senso di giustizia (nonché ex fiamma di gioventù di Anna), toccherà ai figli mettersi sulle sue tracce, mentre si abituano alla nuova vita adolescenziale di provincia fatta di rave nelle montagne, grappe e relazioni fluide con i loro compagni. E il mistero, come si suol dire, s’infittisce.
Le atmosfere che si respirano lungo tutti e 7 gli episodi ricordano vagamente quelle del cinema horror italiano degli anni Settanta, a metà tra il Pupi Avati delle origini (La casa dalle finestre che ridono) e il primissimo Dario Argento, soprattutto per la loro artigianalità. Ma con le sue tinte fosche Curon diventa un po’ la Twin Peaks d’Italia, non fosse altro che per il lago. Nonostante questo, l’immaginario dipinto è anche molto italiano. La strategia di Netflix Italia d’altronde ormai è chiara: confezionare prodotti dall’anima locale e distribuirli a un pubblico globale, facendo leva sull’italianità dei suoi contenuti. E così nella serie fanno capolino tendine di pizzo, ceri e crocifissi: tanti elementi che parlano di una tradizione sopravvissuta nelle case delle nonne di tutti.
Allo stesso tempo, Curon si apre a qualche squarcio di contemporaneità: dopotutto è il 2020 e gli adolescenti bevono superalcolici dalla bottiglia, fumano le canne sul SUV del padre, vestono Trasher e adidas e sognano di andarsene in città. Al bar del paese sembra quasi di sentire il profumo del bombardino della settimana bianca. Anche la colonna sonora è molto precisa nel raccontare la Generazione Z: per quanto abitino in mezzo al nulla, i ragazzi di Curon ascoltano Childish Gambino e PAZZESKA di Myss Keta.
Curon è il tipico horror in cui i protagonisti, invece di scappare a gambe levate, scendono in cantina per vedere che succede (o meglio, in questo caso salgono in soffitta). La serie pesca a piene mani dagli stereotipi del genere e soprattutto si inserisce nella tradizione del doppio, affrontata di recente da Jordan Peele in Noi. Nonostante le buone premesse, però, Curon è molto confusa: tolto qualche spavento, il mistero non s’infittisce con troppo entusiasmo e persino la rappresentazione dello spirito della provincia, che avrebbe potuto essere la sua vera forza, rimane sulla superficie del lago. Anche a causa di una recitazione non proprio al suo meglio, Curon fatica a trovare il giusto equilibrio tra i generi che vuole abbracciare, al contrario di quanto era successo a Dark (nonostante una trama ai limiti dell’incomprensibile).
Per guardare il bicchiere mezzo pieno, almeno dà una scossa al panorama della produzione italiana: mentre Netflix si prepara a sfornare il film dell’estate, Sotto il sole di Riccione (praticamente la stagione 1,5 di Summertime), Curon prova a mostrare al pubblico qualcosa di diverso e per una volta è quasi una boccata d’aria fresca.