L’estetica “world-weary” di Billie Eilish
La musa della Generazione Z
09 Giugno 2020
Billie Eilish è l’icona della Generazione Z. Sia nell’abbigliamento che con la sua musica, da quando il suo primo singolo è diventato virale su Spotify nel 2013 ispira milioni di adolescenti e bambini e incarna i principi di un’estetica precisa: quella della “world-weariness” (letteralmente “stanchezza del mondo”), un’attitudine tipica di molti teenager della Generazione Z fatta di mancanza di entusiasmo e ai limiti della misantropia.
La “world-weariness”, descritta come una nuova forma di nichilismo, oggi è una vera e propria categoria estetica: una sottocultura che copre diversi stili underground, dal punk all’emo. Il concetto deriva dal tedesco “weltschmerz” (tradotto anche come “dolore cosmico”), un termine che indica la sensazione di estraniamento e disagio provata da chi non si sente parte del mondo in cui vive: un sentimento che spesso sfocia in atteggiamenti anti-sociali e nella celebrazione estrema dell’individualismo. Come ogni sottocultura, la world-weariness ha precisi canoni estetici. Tra i brand che rappresentano questo stile, il primo è stato Rick Owens, “The Lord of Darkness”, che da sempre unisce una base sportswear al gothic, seguito da Vetements e in parte anche da Gucci di Alessandro Michele.
Partendo da questi principi, Billie Eilish si è appropriata del "world-weary" e ne ha scritto le regole: uno stile fatto di lenti a contatto color petrolio, lacrime dense e scure e il sangue che esce dal naso, le lettere minuscole in tutti i titoli delle sue canzoni e il cinismo nelle caption su Instagram. Lo ha fatto in primo luogo con la sua musica: sia nella voce che nei suoi videoclip si respira una sensazione diffusa di agonia. Non a caso, tra i suoi riferimenti ha detto di apprezzare American Horror Story, a cui si è ispirata per le ali nere da angelo della morte del video di all the good girls go to hell. Billie Eilish attraversa lo show-biz sporcandosi le mani di vernice di vario colore e con un atteggiamento rassegnato, guidando insieme al fratello Finneas (il suo produttore) verso un destino fatale, proprio come nel video di everything i wanted, di cui ha firmato anche la regia.
Ma l’estetica weary passa soprattutto per i suoi look. Billie Eilish porta la mascherina da ben prima che diventasse un’esigenza sanitaria e sembra che non si trucchi quasi mai, nemmeno sul red carpet: questo perché lo fa in modo molto semplice e discreto, lasciando l’onere della sua espressione artistica ai capelli e soprattutto alle unghie. Il suo stile è un pastiche di abiti oversize ripescati dalla cultura skate e hip-hop degli anni Ottanta/Novanta, squarciati da un uso schizofrenico dei colori fluo e riferimenti alla pop culture (Sailor Moon, Lamù, le Superchicche). In questo percorso, riflette anche sul corpo femminile: in un video per la campagna #InMyCalvins ha spiegato di indossare solo abiti baggy perché non vuole che le persone abbiano un’opinione sul suo corpo. Proprio per lo stesso motivo, di recente si è invece spogliata in un video pubblicato sul suo canale YouTube: Not My Responsibility, un cortometraggio contro il bodyshaming.
Tra i suoi brand preferiti Gucci di Alessandro Michele, Burberry di Riccardo Tisci e Louis Vuitton, che le ha persino customizzato un tutore quando si è rotta il piede. Proprio come la maggior parte dei suoi coetanei, è anche una grande appassionata di sneakers, soprattutto di Jordan - e per quanto ami ripetere che le piacciono soltanto gli item che di solito tutti gli altri odiano, quando è stata ospite di un episodio di Sneaker Shopping With Complex ha comprato tre paia di Off White x Nike. Nonostante qualche concessione mainstream, la sua world-weariness prende il controllo di qualsiasi brand indossi: a febbraio 2020, sul red carpet degli Oscar®, è riuscita a far sembrare punk persino un tailleur di Chanel.
Billie Eilish ha inaugurato un’estetica surreale, un po’ nerd e influenzata dalla cyberculture, ma allo stesso tempo nuda e cruda; niente di più lontano dalle foto “filtrate” sui profili Instagram dei Millennial, cresciuti a furia di applicare effetti su effetti ai loro selfie. Billie Eilish e la generazione world-weary si sentono tanto più cool quanto più sembrano naturali, rinnegando l’estetica dell’eccesso dei primi anni Duemila. Le sue scelte sono un atto di ribellione, una sfida alle icone pop del passato, come spiega la sua stylist Samantha Burkhart (che ha lavorato con Katy Perry e Christina Aguilera): “I suoi outfit sono eccessivi. Si diverte nella scomodità del non vestire abiti della sua taglia. Un atteggiamento che rappresenta alla perfezione una generazione a cui è venuta a noia l'artificiosità della pop music prodotta in maniera standardizzata, che sembra fatta da algoritmi.”
Dato che la Generazione Z rappresenta oggi una grande fetta del mercato del luxury e della moda in generale, i brand non solo hanno iniziato a sceglierla come testimonial, ma anche a proporre il suo stile nelle loro collezioni. Non è un caso, infatti, che UNIQLO UT abbia annunciato una capsule collection in collaborazione con lei e l’artista Takashi Murakami: una serie di t-shirt e di cappelli caratterizzati dalle grafiche che mixano il Blohsh di Billie agli iconici fiori di Murakami, disponibile online e negli store UNIQLO dal 25 maggio.