Op-ed: Sull'omicidio di George Floyd non si deve tacere
L'ennesimo caso che mostra come il problema del razzismo sia lontano dall'essere risolto
31 Maggio 2020
Nelle ultime 24 ore, siamo stati tutti testimoni virtuali dell'omicidio di George Floyd. Un uomo nero di 46 anni che è stato brutalmente ucciso a Minneapolis, negli Stati Uniti, per mano di tre agenti di polizia bianchi che lo hanno soffocato premendogli un ginocchio sulla gola mentre sussurrava le parole: "I can't breathe". Poche settimane prima, era diventato virale un altro video che ritraeva un uomo nero disarmato di 25 anni di nome Ahmaud Arbery ucciso da due suprematisti bianchi, un padre e figlio. Due settimane prima, in Texas, una donna di colore, Breonna Taylor è stata uccisa a casa propria, nel sonno, da tre agenti di polizia che hanno sparato alla cieca mentre irrompevano in casa.
Per le strade di Minneapolis e attraverso i social media di tutto il mondo si è sollevata una protesta, una dimostrazione di resistenza e solidarietà fin troppo familiare al movimento Black Lives Matter del 2013. In questi frangenti è essenziale non essere indifferenti: chiunque ami la cultura afroamericana, a prescindere dal proprio background etnico, non può né deve svanire nel nulla quando questa stessa cultura è minacciata dalla brutalità della polizia e dalla supremazia bianca. La comunità afroamericana ha bisogno di alleati e, in quanto suoi beneficiari, è nostra responsabilità darle ogni supporto possibile.
Questa è la stessa comunità che ci ha regalato l’hip hop, il jazz, lo streetwear, gli slang popolari, Michael Jordan, Travis Scott, Virgil Abloh, Beyoncé, Barack Obama, Kobe Bryant e Kanye West. E la lista potrebbe continuare. La comunità afroamericana ha avuto un impatto universale sulla moderna cultura pop, condizionandone ogni singolo aspetto dall'estetica fino al modo in cui pensiamo. Chiunque abbia goduto in qualunque modo di questa cultura, chiunque vi abbia trovato ispirazione o piacere, chiunque ami i suoi designer, i suoi artisti e i suoi musicisti, o semplicemente le persone ordinarie che ne fanno parte, non ha il diritto di rimanere in silenzio.
Il silenzio che circonda il problema è parte del problema stesso. Non è logico né giusto ammirare Barack Obama, Travis Scott e Jay-Z ma lasciare che i nomi di Trayvon Martin, George Floyd e Ahmaud Arbery vengano dimenticati. Questi uomini afroamericani potevano avere lo stesso potenziale di quelle figure che idolatriamo ma, a causa dei limiti della società in cui vivevano, non ne hanno mai avuto la possibilità. Aiutare a preservare e proteggere la cultura afroamericana e chiunque ne faccia parte è il modo migliore per mostrare il proprio amore per essa, soprattutto considerando che non sappiamo cosa ancora essa ci può riservare.
Anche se potrebbe sembrare che la voce di chi è estraneo alla cultura statunitense non possa avere un impatto, è importante ricordarsi non solo del potere che hanno i social media di denunciare al mondo intero queste ingiustizie, ma anche come l'atto stesso del denunciarle possa diventare la punizione di tutti i colpevoli. Alcuni potrebbero sostenere che i social media non sono una valida forma di protesta, ma è proprio grazie a questa ondata di social media coverage che, entro 48 ore, tutti i razzisti e i suprematisti bianchi coinvolti hanno perso il proprio lavoro, i contratti di locazione per le loro case e sono stati persino espulsi dalle loro palestre. Piccoli prezzi che i colpevoli hanno pagato per i propri crimini, piccoli passi verso la giustizia per gli omicidi commessi.
Anche se esiste ancora un razzismo palese, a livello sociale e lavorativo, a nessuno piace parlarne o associarvisi. È come un panno sporco che nessuno vuole toccare. Ecco perché ogni tweet, condivisione e dimostrazione di supporto è importante per amplificare il grido d'aiuto delle comunità nere. Tacere o rimanere neutrali pensando che la questione ci sia estranea o che dell’argomento si sia parlato già abbastanza, significa solo trovare una scusa per continuare ad alimentare il fuoco della supremazia bianca. Tuttavia, rimane importante ricordare che, in quanto alleati ma non membri di quella cultura, non si può presumere nemmeno per un secondo di sapere cosa significa essere neri. Bisogna piuttosto ascoltare le esperienze degli altri e mostrare il proprio sostegno, non credendosi eroi che salveranno il mondo, ma semplicemente con l’umiltà intellettuale di chi dà un piccolo contributo a una questione ben più vasta. Questo può essere attraverso la condivisione della storia su Facebook, Twitter, Instagram o donazione alle famiglie colpite o il movimento Black Lives Matter.