Disney+ sta censurando alcuni dei suoi film
E i risultati sono a dir poco grotteschi
06 Maggio 2020
Qualche settimana fa, Twitter è impazzito quando un utente ha fatto notare che nella versione di Splash – Una sirena a Manhattan (Ron Howard, 1984) disponibile su Disney+ il fondoschiena di Daryl Hannah è stato censurato: in una scena con un discutibile effetto di sfocatura, in un’altra con l’allungamento digitale della sua bionda chioma. L’obiettivo è chiaro: evitare ogni accenno alla nudità. L’episodio, che ha scatenato l’ilarità di molti fan, ha acceso i riflettori su un argomento spinoso fin dal lancio della piattaforma: Disney+ censura alcuni dei suoi contenuti.
Spulciando nel catalogo, infatti, si scopre che è stata eliminata anche la scena dopo i titoli di coda di Toy Story 2 (1999): un finto “blooper” (gli errori di scena) in cui Stinky Pete, un giocattolo di una certa età, faceva il piacione con due Barbie suggerendo loro che, comportandosi bene, avrebbero ottenuto una parte in Toy Story 3. La gag era già sparita all’uscita della versione HD del film nel 2019, tra l’altro dopo l’allontanamento dalla compagnia del regista del film John Lasseter, accusato in diversi episodi di “sexual misconduct”.
Ma la censura non finisce qui. In una modifica che ha fatto il suo “debutto” nella versione DVD di Lilo & Stitch, l’asciugatrice in cui si nasconde Stitch è diventata un box per la pizza: non sia mai che a qualche bambino venga in mente di sgattaiolare dentro un elettrodomestico. Allo stesso modo, l’episodio Papà-zzo da legare de I Simpson è stato eliminato dal catalogo perché includeva una performance di Michael Jackson. E se nella versione originale de Il re leone nel firmamento alle spalle di Simba si poteva intravedere la scritta “SEX” (uno degli Easter-egg più divertenti della Disney), in quella su Disney+ si vede solo un limpidissimo cielo stellato. Non solo: il nome di un personaggio di Hannah Montana è stato cambiato in “Ice”, al posto dell’originale “Isis”. Non stupisce allora che la battuta "Don't f*** with the babysitter" in Tutto quella notte (1987) sia diventata "Don't fool with the babysitter", o che la parola "homo" sia stata sostituita con "weirdo". Infine, per quanto non siano stati censurati, altri grandi classici sulla piattaforma sono introdotti da una frase che giustifica alcuni “scivoloni”; in particolare Peter Pan e Dumbo si scusano per una rappresentazione stereotipata di culture diverse da quella occidentale.
Queste scelte sono giustificate dalle linee guida dettate dalla casa madre. Disney+ ha da poco superato i 50 milioni di iscritti in tutto il mondo: nonostante un panorama di servizi di streaming già ricco, in pochi mesi è diventato uno dei competitor più importanti sul mercato. Il suo problema più grande sembra il sesso ma, per quanto discutibile, quest’approccio è coerente con il progetto: a dicembre, un portavoce della compagnia aveva già reso chiaro che tutti i film sulla piattaforma avrebbero avuto un rating massimo di PG-13 (la visione è sconsigliata ai bambini sotto i 13 anni senza la presenza dei genitori). “Traducendolo” in italiano, significa che su Disney+ si possono trovare al massimo film con il bollino giallo. Non stupisce, quindi, che la nudità non sia contemplata.
Questa politica sul sesso ha già avuto ripercussioni su alcune produzioni originali. Sono ferme, ad esempio, le riprese del reboot di Lizzie McGuire a causa di "divergenze creative" con lo showrunner Terri Minsky. In pratica, le avventure “adulte” di Lizzie McGuire non si abbinano al rating previsto da Disney+. È Hilary Duff a spiegarlo attraverso un post su Instagram (e a chiedere il trasferimento della serie su Hulu). A questo proposito, non è un caso che la produzione di High Fidelity con Zoë Kravitz e Love, Victor (lo spin-off di Love, Simon) siano state rimandate proprio a Hulu, più adatta a un contenuto "adulto" (ma sempre di proprietà del gruppo Walt Disney).
Però i conti non tornano: a seconda dei titoli, sembra che Disney utilizzi due pesi e due misure. Perché la stessa sorte non è toccata a Bart Simpson che scorrazza nudo nel film de I Simpson? Se in Hannah Montana nessuno può chiamarsi “Isis”, perché lo stesso nome non è stato cambiato al personaggio di Even Stevens (con un giovanissimo e ancora ingenuo Shia LaBeouf)? E perché la stessa giustificazione che introduce Dumbo non appare all’inizio di altri film come Aladdin o Pocahontas (suscitando lo sdegno di alcuni gruppi, come la Middle Eastern North African Arts Advocacy Coalition e l’American Indians in Film and Television)?
Il criterio con cui viene deciso quali contenuti debbano essere censurati rimane un mistero. Mentre i fan di Hilary Duff rimangono a bocca asciutta, il didietro di Brendan Fraser fa capolino in George re della giungla…?, i demoni di Fantasia restano con il seno scoperto e in Tre scapoli e un bebè si parla serenamente di eroina. Senza parlare degli Avengers: volendo stuzzicare un po’ la polemica, non è chiaro perché Thor che sbatte il suo martello in testa ai nemici sia meno diseducativo di una bambina che si nasconde dentro un’asciugatrice.
Per il momento, Disney si è rifiutata di dare spiegazioni, dimostrandosi come al solito al di sopra di qualsiasi regola. Su una nota positiva, però, ha fatto un grande regalo ai fan: in questi mesi di lockdown, con lo streaming che è diventata la principale compagnia di tutto il mondo, è già partita la caccia a tutti i “ritocchini”. Non resta che aguzzare la vista.