Quale candidato del Partito Democratico USA ha il merch migliore?
Prima del Super Tuesday, passiamo in rassegna il merch dei candidati Democratici
03 Marzo 2020
La storia del merchandising dei candidati alle elezioni presidenziali americane è vecchia quanto l’America stessa, almeno per come la conosciamo. Il primo merch infatti è probabilmente una spilla celebrativa di metallo di George Washington, stando a quanto detto a Racked da Harry Rubenstein, curatore dello Smithsonian National Museum of American History. Le successive degenerazioni sul tema - il merch di Nixon proponeva lunghi abiti femminili, quello di Harrison delle lampade a olio e posaceneri - rappresentano in fondo l’essenza stessa del capitalismo americano, capace di rendere commercializzabile, oltre che funzionale alla propria causa, qualunque prodotto.
Nell’era dei big data infatti, l’acquisto del merch di un candidato è, prima ancora che un supporto economico, il modo di raccogliere ogni tipo di informazione sul proprio elettorato, un’arma ormai indispensabile per anche solo cercare di arrivare alla Casa Bianca. Basti pensare alle ultime due campagne elettorali di successo (quella di Obama del 2008 e quella di Trump del 2016) e quanto siano state influenzate dal merch dei due candidati che poi sono risultati vincitori. Il MAGA hat di Donald Trump è diventato non solo il simbolo della sua candidatura, ma quello di un intero segmento sociale, spesso associato ai redneck e alla white trash in quanto rappresentativo delle più basse fasce sociali bianche.
Quest’anno, nella baraonda che ha coinvolto i candidati alle primarie del Partito Democratico, tanti dei candidati hanno provato ad utilizzare il loro merch per ottenere social buzz e qualche condivisione che potesse essere rilevante. Su tutti Andrew Yang, il candidato di origini cinesi che chiama i suoi sostenitori “Yang Gang”, è stato quello che meglio di tutti è riuscito a utilizzarlo: a partire dal logo MATH (acronimo intelligente del MAGA: Make America Think Harder), fino al designer d’eccezione della sua collezione di apparel, Childish Gambino. L’artista era presente accanto a Yang anche durante il “drop” della collaborazione, avvenuta un giovedì in un pop-up shop di Los Angeles molto vicino a Supreme, così tanto da portare la fila creatasi a confondersi con quella dello skate brand newyorkese. Oltre la limited edition (chiamata $1K), lo shop di Andrew Yang - che dopo il ritiro del candidato alle primarie continua a vendere a prezzo di saldo - presenta anche tutta la collezione MATH oltre che delle Retro Edition Jersey che strizzano l’occhio proprio alle Photo Tee di Supreme.
Quello delle Photo Tee è sicuramente un trend tra i candidati Democratici: accanto a un merch molto istituzionale, durante la sua esperienza breve ma ricca di speranze (che potrebbero renderla la candidata ideale alla vice-presidenza), Kamala Harris ha rilasciato una speciale tee “That Little Girl Was Me” ispirata ad un momento di un dibattito con Joe Biden. La tee - che non è più disponibile sullo shop - è per certi versi molto simile a quella realizzata da Awake NY e ispirata a Michelle Obama e al suo celebre discorso del “When they go low we go high”.
Anche Elizabeth Warren sul suo shop ha messo in vendita una Photo Tee, che rispecchia in maniera quasi perfetta la sua personalità. Si tratta della “Debate Champion” Tee, un shirt con stampata una foto di Warren con uno di quei trofei per i dibattiti delle high school americane, e la didascalia: «This throwback t-shirt is perfect for any high school or college debaters in your life — or anyone who loves watching Elizabeth win». Se è vero che il merch di un candidato è capace di dirti buona parte delle sue chanche di vittoria, può ugualmente rivelare le motivazioni della sua probabile sconfitta. Sullo shop di Warren è possibile anche trovare una tee raffigurante un cane, disegnata da Stephanie Rohr, una “Chicago fiber artist” supporter di Warren.
Anche Julien Castro e Amy Klobuchar hanno proposto dei merch molto creativi, seppur per ragioni diametralmente opposte. Castro - un candidato di cui molto probabilmente sentiremo parlare - ha puntato sulla creatività, abbinando slogan energici (come "Adìos Trump") a lettering discutibili (come i neon e i font da motociclista). Castro, che ha 45 anni e può dunque essere considerato uno dei più giovani candidati alla Casa Bianca, ha inoltre realizzato una tee ispirata ai fumetti, “Los Cuates”, proponendo se stesso e suo fratello Joaquim come «due fratelli di San Antonio uniti per sconfiggere il male», dove il male, manco a dirlo, è rappresentato dal Presidente degli Stati Uniti in persona.
Klobuchar ha invece utilizzato la semplicità del suo nome, Amy - uno dei più diffusi degli States - per coniare uno slogan che l’ha portata a raggiungere risultati sorprendenti, e arrivare fino quasi al Super Tuesday come candidata più o meno credibile: “Amy for America”, con un font molto simile a quello della A24, la più cool tra le case di produzione di Hollywood. Poi c’è Beto O'Rourke, che con il suo design minimale - che ha catturato le attenzioni di Lebron James e Beyoncé - non è riuscito a ritagliarsi l'agognato posto da protagonista, e Pete Butgieg, che ha proposto una tee “Invest in black america” per certi versi simile a quella realizzata da Off-White™ in occasione del suo show di Parigi: “I Support Young Black Business”.
Arrivati al Super Tuesday però, sono tre i candidati che ancora possono sperare nella nomination (Elizabeth Warren non si è ancora ritirata, ma lo farà presto), tre candidati con merch molto diversi tra loro.
Joe Biden
Non c’è niente di sorprendente nel merch di Joe Biden, se si esclude una tazza simpatica “Cup O'Jo” e una photo tee di un giovane Joe Biden. La stessa photo tee utilizzata per realizzare un accessorio in grado di tenere al fresco le lattine di birra. Utilità dubbia ma estetica abbastanza solida.
Michael Bloomberg
Il merch di Bloomberg praticamente non esiste, esiste il merch di Bloomberg contro Donald Trump, che poi rispecchia l’intenzione ultima della candidatura dell’ex Sindaco di New York: battere Trump. Non ci sono tee particolari, né item particolarmente costosi (d’altronde, Bloomberg è talmente ricco che non ha bisogno di raccogliere soldi in merch) e l'acquisto consigliato è una scatola di fiammiferi con la faccia di Trump disegnata sopra e la scritta “You’re Fired”, evidente gioco di parole con la catchphrase più famosa di Trump ai tempi di The Apprentice.
Bernie Sanders
Nessuno, tra i candidati democratici e repubblicani, ha la carica estetica e la coolness di Bernie Sanders. Non è una novità: il logo utilizzato da Bernie per le elezioni del 2016 era stato ripreso da Balenciaga, per la realizzazione della collezione di maggior successo commerciale del brand. Il suo rapporto con le star, e la sua naturale capacità di attirarsi le simpatie degli artisti ha fatto di Bernie Sanders il miglior esempio di brandizzazione di un candidato, almeno dai tempi di Obama e dello “Yes We Can”. Sul suo shop sono disponibili le tee realizzate in collaborazione con i Public Enemy, e quella realizzata con i The Strokes, due band che in tempi diversi si sono esibite durante i comizi di Bernie. L’attenzione quasi maniacale che Sanders - e la sua infinita schiera di volontari - riversano nel merch ha generato, quasi per osmosi, una produzione di merch secondario - quindi non direttamente prodotto dal candidato - di altissimo livello e con riferimenti alla pop e street culture più che evidenti. Emily Ratajkowski è stata spesso vista indossare una photo tee che combina il volto di Bernie con il naming “Rage Against The Machine”, mentre prima del Caucus in Iowa, l'attivista Philip Agnew ha indossato una incredibile hoodie che ricalcava il motivo di Billionaire Boys Club, sostituendolo con un “sandersiano”, "Billionaire Shouldn’t Exist". Feel The Bern, streetwear edition.